E, soprattutto, 13 anni dopo Girls. In un lungo profilo su Variety, Dunham ha raccontato cosa ha fatto in questi anni e quanto di lei c'è in questa serie.
Che Lena Dunham fosse tornata a raccontare l’amore, ce lo aspettavamo. Che lo facesse trasformandolo in un esperimento horror sentimentale, un po’ meno. Too Much è il titolo della nuova serie di Lena Dunham, ma anche una diagnosi affettiva, un’etichetta imposta (o rivendicata?) a chi sente, vive, desidera con intensità non prevista dal manuale delle relazioni moderne. In questa storia d’amore tra un’ambiziosa produttrice pubblicitaria e un cantante inglese decisamente indipendente e dal fascino enigmatico, tutto è troppo. Troppo veloce, troppo caotico, troppo fragile.
Tutto troppo
Too Much è troppo, appunto. E nonostante – o forse proprio per questo – ci si finisce dentro con lo stesso trasporto sconsiderato con cui Jessica, la protagonista interpretata da Megan Stalter, si infila in una relazione con Felix (Will Sharpe), praticamente lo sconosciuto che incontra appena atterrata a Londra dopo una rottura devastante. La serie prodotta da Netflix e ambientata in una capitale britannica poco scintillante e molto reale, è l’evoluzione inevitabile di Girls: il passaggio dall’ironia disincantata delle ventenni newyorkesi alla disperazione lucida di una trentenne americana trapiantata nel Regno Unito. Tutto è racchiuso in questa semplice formula: lei, Jessica, emotivamente a pezzi, sbarca a Londra e nel giro di un paio di drink si infila in una nuova storia con lui, Felix, che tutto sommato sembra molto interessato alla ragazza ma ancor di più ad avere un tetto sopra la testa. Da qui la coabitazione immediata. Non è una dinamica del tutto nuova, anzi: nella fase acuta del capitalismo, quante coppie conoscete che stanno ancora insieme anche – e soprattutto – per dividersi un bilocale? In un’epoca in cui pretendiamo distanza e razionalità, Too Much è uno schiaffo sentimentale.
In questo senso, è una serie horror mascherata da love story: più che una commedia romantica, è una satira oscura che racconta neanche troppo sottilmente gli orrori del romanticismo contemporaneo con tutte le crepe e i compromessi che si fanno pur di sperimentare la connessione umana, e quella fastidiosa verità che si vorrebbe ignorare — ovvero che spesso ci si innamora senza sapere bene di chi, né perché. La relazione tra i due protagonisti, pur apparendo poco realistica – si conoscono per caso, si legano in modo quasi mistico, si lasciano travolgere da un sentimento che sembra non poggiare su nulla di solido – riflette con sorprendente lucidità un tratto distintivo delle relazioni contemporanee: l’irrazionalità come fondamento, la chimica come legame, il disallineamento emotivo come costante. L’amore non nasce più (solo) da compatibilità e tempi giusti, ma da bisogno, ansia, confusione, noia, proiezione. E spesso non è abbastanza per reggere, ma è too much per essere ignorato. È un legame che si costruisce sull’onda di un’ossessione più che su un’affinità reale. E questo, per quanto possa sembrare assurdo o sgradevole, è spaventosamente vicino alla realtà.
Che disagio
La serie funziona proprio lì: quando smette di voler piacere e si lascia travolgere dal disagio. E quel perenne fastidio che lascia allo spettatore sembra la reazione più consona. È too much il romanticismo come esperienza totalizzante, quasi ingombrante, che sconfina nel desiderio di annullarsi nell’altro, l’esposizione sentimentale senza filtri, il bisogno spasmodico di essere capiti, accolti, amati chiedendo tutto e offrendo pochissimo in cambio. È too much anche il modo in cui Lena racconta la femminilità: il narcisismo di Jessica è too much, la sua volontà di trovare per forza una red flag, un conflitto irrisolto con l’altro sesso, risulta tuo much. Così come lo è la sua ossessione per il suo ex (freddo, tossico, sfuggente anche quando erano insieme), e ancora di più per la sua nuova fidanzata. Le sue nevrosi sono estreme ma credibili. Chi non ha mai fatto stalking su Instagram in piena notte cercando segnali esoterici nel feed della nuova partner del proprio ex? Esagerato? Sì. Ma non inventato.
La serie è ispirata, nemmeno troppo velatamente, alla fine della relazione tra Lena Dunham e Jack Antonoff (attuale marito di Margaret Qualley) e al suo trasferimento a Londra nel 2018. Lena stessa ha dichiarato di non voler che lo spettatore legga la storia in chiave autobiografica — eppure è proprio lì, nella sovrapposizione tra personaggio e autrice, che la serie trova la sua forza. Jessica non è Lena, ma è troppo Lena per non pensarci. Eppure, va detto: Too Much non è un capolavoro. Non ha la forza narrativa, la profondità psicologica, né la coralità di Girls. È meno incisiva, meno brillante, più frammentaria. Le discussioni iniziano e non finiscono, i momenti emotivi si sciolgono in finali forzati, i picchi di comicità si alternano a lunghi tratti di imbarazzo involontario. Lena sembra voler alzare l’asticella e raccontare qualcosa di più adulto, ma il tiro spesso le sfugge. Il contenuto è interessante, ma resta in superficie. I personaggi sono credibili, ma poco esplorati.
Provaci ancora, Lena
Di cosa si innamorano i due protagonisti? Cosa li spinge a portare avanti questa conoscenza nonostante i mille difetti ed eccessi di entrambi siano messi in bella vista sin da subito? Cosa ci manca della travagliata relazione tutta in divenire tra i personaggi interpretati da Lena e Adam Driver in Girls? E forse è proprio questo il punto. L’amore che racconta Too Much è un amore che non va in profondità. Nasce in fretta, si consuma in fretta, resta addosso ma non scava. Non ha lo spazio per crescere, per articolarsi, per cambiare.
Quindi la domanda sorge spontanea: quella di Lena Dunham è una noiosa serie che parla con gli slang della Gen Z ma pecca di attinenza con la loro realtà o è semplicemente un’azzeccatissima serie horror che porta all’esasperazione tutti le lotte sentimentali che viviamo e l’amore rappresentato diventa un eccesso che, ahimè, ci assomiglia sin troppo? La sensazione finale è ambivalente. Da un lato, si ha voglia di urlare “Lena, puoi fare di meglio”. Dall’altro, le si perdona tutto. Perché, anche se la serie non è all’altezza delle aspettative, la sua onestà emotiva resta disarmante. Chi altro osa dire che forse vogliamo ancora essere salvati da una storia, anche se sappiamo che non può succedere? Per lei, a differenza dei suoi personaggi, riusciamo a provare ancora tanta empatia.