Nel 1998, quando venne annunciata l’uscita post mortem dell’inedito Vero all’alba di Ernest Hemingway, sulle pagine del New Yorker Joan Didion si interrogava sulla scelta di pubblicare un manoscritto incompiuto, sottolineando che un atto di questa portata depotenziasse l’autore, completamente estromesso dal processo editoriale. Vero all’alba è il racconto autobiografico di un safari in Kenya composto tra il 1954 e il 1956, ma che non fu mai dato alle stampe quando lo scrittore statunitense – morto suicida nel 1961 – era in vita. Il manoscritto venne editato dal figlio, Patrick Hemingway, che curò l’introduzione della prima edizione.
Sorge quindi spontaneo interrogarsi sulle questioni etiche relative alla volontà dell’autore in merito agli scritti inediti quando si sfogliano le pagine di Diario per John, il diario intimo di Joan Didion pubblicato postumo in contemporanea negli Stati Uniti e in Italia lo scorso aprile (edito da Il Saggiatore). Come spiegato nell’introduzione (non firmata) il diario è stato ritrovato poco dopo la morte di Didion, nel 2021, in una cartellina portadocumenti che si trovava vicino alla sua scrivania. Inizialmente il manoscritto fu affidato all’archivio Didion-Dunne della New York Public Library. La decisione di pubblicarlo – senza un lavoro di editing intrusivo – è della sua agente, Lynn Nesbit, e di due dei suoi editori, Shelley Wanger e Sharon DeLano.
Attraverso una scrittura intima, diretta e oltremodo confidenziale, la scrittrice si rivolge al marito, John Gregory Dunne, riportando le conversazioni avute con il suo psichiatra, Roger MacKinnon, tra il 1999 e il 2000. Non è una novità: già qualche tempo prima Didion si era sottoposta a delle sedute di terapia e aveva trascritto le conversazioni con il dottore che l’aveva in cura. A MacKinnon la scrittrice racconta del rapporto con la figlia adottiva, Quintana Roo, e dell’alcolismo in cui era ricaduta negli ultimi tempi, che costituiva la fonte di preoccupazione maggiore per Didion e il marito.
Dall’Eneide a 2666, gli inediti “sopravvissuti” ai propri autori
Pubblicare opere inedite dopo la morte di scrittori e scrittrici è una pratica più che mai consolidata: in passato ha permesso a molti autori che non hanno goduto di fama in vita di essere riscoperti dalle generazioni successive. Ne hanno tratto beneficio anche volti già noti nel panorama della letteratura, scomparsi prima di concludere o revisionare un’opera cui stavano lavorando e di poterla vedere pubblicata.
Senza questa pratica oggi non avremmo Il processo di Franz Kafka, romanzo composto tra il 1914 e il 1917 e rimasto incompiuto, edito da Max Brod nel 1925, quando l’amico era già morto. E non è un caso unico nel suo genere. Basti pensare a 2666, il capolavoro di Roberto Bolaño uscito nel 2004, a un anno dalla scomparsa dell’autore, oppure a Il maestro e margherita di Michail Bulgakov, pubblicato nel 1967, trent’anni dopo la sua morte. Casi simili in Italia si hanno con Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio (edito postumo nel 1968) e con Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950, il diario di Cesare Pavese dato alle stampe nel 1952, due anni dopo il suicidio dell’autore.
Oggi la pubblicazione di opere incompiute degli autori e delle autrici morti relativamente da poco è una pratica diffusa che, in un settore fragile e in crisi come quello editoriale, non è certo slegata dalle logiche di marketing. Tra i casi più recenti spicca l’uscita di una raccolta di racconti di Bolaño, pubblicati in Italia da Adelphi: Tutti i racconti contiene diciassette testi inediti ritrovati nel computer dello scrittore poco dopo la sua morte. Un caso simile è avvenuto con l’uscita di Dare la vita, il libro postumo di Michela Murgia edito da Rizzoli a inizio 2024.
Queste operazioni editoriali attirano la curiosità sia da parte della fanbase dell’autore appena morto, che potrà di nuovo provare l’ebbrezza di leggere un testo del suo beniamino per la prima volta, sia per potenziali nuovi lettori che, memori della scomparsa del personaggio di turno, vogliono avvicinarsi per la prima volta al suo lavoro. Dal punto di vista del marketing, per le case editrici questo tipo di operazione non rappresenta un salto nel vuoto, perché si ha a che fare con una figura celebre, il cui solo nome riesce ad assicurare un cospicuo numero di vendite.
Ma qual è il limite tra la pubblicazione di scritti inediti e il rispetto della volontà dello scrittore? E se l’intellettuale in questione, seppur consapevole della propria fama, non ha lasciato indicazioni in merito al ritrovamento di scritti inediti, che si fa?
Un diario che doveva rimanere tale?
Sono dubbi e domande che sorgono spontanei nel corso della lettura del diario di Didion. E non solo per la cornice da cui scaturiscono le riflessioni dell’autrice, ovvero le sedute psichiatriche – luogo per eccellenza in cui vige il patto di riservatezza – ma anche per la scrittura confidenziale, oltremodo intima, di Didion. Scevro dell’intensità che lo contraddistingue, il tono di Didion è estremamente privato, lo stile abbozzato, il testo personalissimo. Il lettore è catapultato a forza nelle dinamiche famigliari tra Quintana e i suoi genitori: più volte si ha la sensazione che le persone evocate dalla scrittura – non solo la figlia Quintana, ma anche altri membri della famiglia e amici – siano oltremodo esposte nella loro fragile quotidianità. In particolare, il diario è incentrato sull’analisi del rapporto con la figlia, reso difficoltoso dai problemi di alcolismo di Quintana. La relazione viene esplorata in maniera fin troppo autentica, senza filtri letterari: siamo ben distanti da Blue nights, il memoir scritto dopo la morte di Quintana in cui la dinamica madre-figlia è sì tematizzata, ma anche resa universale dalla scrittura letteraria di Didion. Inoltre, sebbene nell’opera la scrittrice tratti il tema della dipendenza della giovane donna, il suo alcolismo è in qualche modo edulcorato, filtrato: insomma, è meno esposto di quanto avviene in Diario per John.
Al contrario, in Diario per John il lettore può avere la sensazione di essere uno spettatore imprevisto e inatteso che, pagina dopo pagina, si infiltra in casa Didion-Dunne alla ricerca dell’ipotetico terzo tassello dei memoir L’anno del pensiero magico e Blue nights. Ma se è alla ricerca di uno stile in grado di tematizzare i rapporti umani, rendendoli universali, al pari di queste due opere, si imbatterà in una scrittura che si avvita su sé stessa, in pensieri che si attorcigliano intorno a una difficoltà soffocante, che non lascia via d’uscita. Nemmeno ai lettori.