Il processo di Kafka, in confronto, è rapido e fluido: un'artista, figlia di genitori jugoslavi, racconta le enormi e tragicomiche difficoltà che ha dovuto superare per avere la cittadinanza italiana.
Pur di non sembrare pigri, i disoccupati cinesi pagano dei finti uffici in cui vanno a fingere di lavorare
Ci sono anche dei finti capi che assegnano finte mansioni, e talvolta capitano finti litigi e finti scioperi.

Ci sono due grossi problemi che i giovani cinesi devono affrontare in questo momento storico. Il primo è trovare un lavoro, impresa non facile, considerato il fatto che la disoccupazione nella fascia d’età 16-24 anni è ferma al 16,5 per cento (dati di marzo 2025) e non vuole saperne di scendere nonostante tutti gli sforzi politici e propagandistici del Partito comunista. Il secondo problema è cosa fare nell’attesa di trovare un lavoro. Da questa necessità sembra stia nascendo una florida industria, quella degli uffici finti per lavori finti svolti da lavoratori finti.
Come scrive Imma Bonet su El Pais, sono sempre di più le aziende che forniscono ai lavoratori in attesa di lavoro questo peculiare servizio, una sorta di co-working senza il working, uno spazio in cui essere disoccupati tutti insieme. Per un prezzo che varia dai 30 ai 50 yen al giorno (più o meno 4-7 euro), queste aziende offrono spazi completi di tutto ciò che serve per fingere di avere un lavoro: scrivanie, computer, Wi-Fi, macchinette per il caffè, tavoli per il pranzo. Ma non ci si limita soltanto alla scenografia: le offerte migliori comprendono anche dei finti capi che assegnano ai finti lavoratori delle finte mansioni da svolgere. Ci sono aziende che arrivano fino a prevedere nel pacchetto la possibilità di inscenare litigi con i colleghi o proteste, financo scioperi, contro i capi.
Certo, viene da chiedersi quanto tempo questa finzione sottragga alla ricerca di un lavoro vero. È uno dei motivi per cui queste aziende e questi servizi sono molto discusse in Cina. Da un lato, c’è chi sottolinea la loro funzione di sollievo psicologico, in un Paese in cui essere disoccupati è ancora un fortissimo stigma sociale. Dall’altro, ci sono critici che sostengono che queste aziende non servono proprio a niente, che l’unica cosa che fanno è approfittare di persone in difficoltà aggravandone ulteriormente i problemi, distraendole dalla ricerca del lavoro e ritardandone l’ingresso nella forza lavoro. In ogni caso, il fenomeno delle “pretend-to-work companies”, come sono state ribattezzate in inglese, sembra destinato a durare: su Xiaohongshu, l’equivalente cinese di Instagram, le loro pubblicità accumulano milioni e milioni di visualizzazioni, i loro canali su WeChat sono tra i più trafficati degli ultimi mesi.