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07:46 domenica 22 giugno 2025
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La storia del disertore che Kim Jong-un accusa di aver portato il Covid in Corea del Nord

29 Luglio 2020

«Tre anni fa, disoccupato e affamato, il ventunenne Kim Geum-hyok scalò il Monte White Horse vicino alla sua città nordcoreana, Kaesong, rimuginando sull’insensatezza della vita». È così che sul New York Times inizia il racconto dell’epopea del disertore nordcoreano che, dopo essere scappato dal Nord con l’idea di trovarsi un nuovo lavoro a Seul, sarebbe ora tornato a casa per sfuggire all’arresto nel Sud, dove è ricercato per stupro. E che il dittatore nordcoreano Kim Jong-un ha accusato di aver portato il Covid-19 in Corea del Nord. Il Leader Supremo, infatti, poco tempo fa aveva affermato che la lotta al virus, nel suo Paese, era stata un “successo sfavillante”, ribadendo di non aver registrato nessun caso sul suo territorio.

Nel ripercorrere la sua storia, il Nyt racconta che tre anni fa Kim Geum-hyok è sfuggito dalla Corea del Nord, dirigendosi verso il Sud strisciando sopra e sotto le recinzioni di filo spinato, nascosto tra le canne del fiume, per poi nuotare per sette ore e mezza con un giubbotto di salvataggio improvvisato con la plastica trovata nella spazzatura. «Quando finalmente sono arrivato sul lato sudcoreano e ho visto avvicinarsi i soldati sudcoreani, ero così esausto che sono crollato», aveva raccontato in un’intervista. Questo mese, però, dopo tre anni di vita in Corea del Sud, Kim è dovuto tornare indietro, sempre nuotando nello stesso fiume che aveva attraversato nel 2017, per evitare di finire in galera con l’accusa di stupro. Il problema è che adesso sarebbe ricercato anche in Corea del Nord, considerando che con la sua risalita del fiume potrebbe aver portato il Coronavirus nel Paese per la prima volta. Al momento il ragazzo sembra però essere sparito, ma alcuni dei 33 mila disertori nordcoreani che vivono attualmente nel Sud hanno confermato che sia tornato dalla famiglia nel Nord. Intanto, la sua città natale, Kaesong, è stata chiusa.

Come scrive il New York Times, sarebbero stati almeno 11 nel corso degli ultimi 5 anni i disertori che sono fuggiti, mettendo in pericolo la loro vita, verso il Nord. Una piccola percentuale, di cui si sa poco, che ha sempre chiesto di tornare a casa, dai figli, dai consorti, dalla famiglia. Soprattutto perché, da quanto emerge dai loro racconti, in Corea del Sud vivrebbero una vita di stenti, condannati a essere “cittadini di seconda classe”, nonostante i programmi di governo per supportarne l’emancipazione.

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