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23:47 lunedì 16 giugno 2025
Pixar ha annunciato un film con protagonista un gatto nero e tutti hanno pensato che ricorda molto un altro film con protagonista un gatto nero Il film Disney-Pixar si intitola Gatto, è ambientato a Venezia e lo dirige Enrico Casarosa. Il film al quale viene accostato lo potete indovinare facilmente.
Tra Italia, Spagna e Portogallo si è tenuta una delle più grandi proteste del movimento contro l’overtourism Armati di pistole ad acqua, trolley e santini, i manifestanti sono scesi in piazza per tutto il fine settimana appena trascorso.
Will Smith ha detto che rifiutò la parte di protagonista in Inception perché non capiva la trama Christopher Nolan gli aveva offerto il ruolo, ma Smith disse di no perché nonostante le spiegazioni del regista la storia proprio non lo convinceva.
Hbo ha fatto un documentario per spiegare Amanda Lear e la tv italiana agli americani Si intitola Enigma, negli Usa uscirà a fine giugno e nel trailer ci sono anche Domenica In, Mara Venier e Gianni Boncompagni.
Le prime foto della serie di Ryan Murphy su JFK Junior e Carolyn Bessette non sono piaciute a nessuno La nuova serie American Love Story, ennesimo progetto di Ryan Murphy, debutterà su FX il giorno di San Valentino, nel 2026.
Il video del sassofonista che suona a un festa mentre i missili iraniani colpiscono Israele è assurdo ma vero È stato girato durante una festa in un locale di Beirut: si vedono benissimo i missili in cielo, le persone che riprendono tutto, la musica che va.
Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.

Tristan Harris vuole spegnerci lo smartphone

Chi è l'ex designer di Google che spiega al mondo come Facebook, Instagram, Netflix e le altre tech company creano volontariamente dipendenza.

01 Agosto 2017

Quando, nel 2013, gli editori Knopf e McSweeney’s hanno pubblicato The Circle (in Italia Il cerchio, uscito per Mondadori) in molti, compreso il New York Times, si chiedevano se Dave Eggers avesse scritto «una parabola della nostra epoca»: nel romanzo, ambientato in un futuro indefinito, la techie idealista Mae Holland ottiene un lavoro al Cerchio, sorta di Behemoth finale della Silicon Valley che ha accorpato ogni social network, e-commerce e motore di ricerca generando un impero di dati e algoritmi senza confini. Il libro di Eggers, di per sé abbastanza deludente, riflette un trend sempre più definito della contemporaneità, quello della ribellione alla dipendenza dalla tecnologia. Di una certa voglia di tornare alla natura abbiamo parlato di recente, qui su Studio, ed è anche vero che gli esempi di moniti anti-tech offerti dagli ultimi tempi si sprecano: Black Mirror e le sue distopie da smartphone sono diventate celebri a livello globale, e accanto ad esse si è sviluppato un filone di fiorenti attività dedicate al “digital detox”. Tra le altre figure che si sono intestate la battaglia (o, meglio dire, la richiesta di moratoria) c’è Tristan Harris, designer, ex filosofo di prodotto a Google e Millennial con la faccia da bravo ragazzo.

Negli ultimi dodici mesi, Harris ha ricevuto molta attenzione dai media d’oltreoceano per la sua scelta di fondare e farsi portavoce della no-profit Time Well Spent, un’organizzazione che si propone di «impedire alle tech company di sequestrare le nostre menti». Lo scorso aprile ha tenuto un TED talk particolarmente ispirato, pubblicato online in queste ore, in cui dichiara di volersi battere per una sorta di rinascimento del web design: una nuova era in cui designer di siti, sviluppatori di app e alti prelati della pubblicità online si metteranno la proverbiale mano sulla coscienza, mettendo sul mercato prodotti che non possano nuocere alla salute dei loro utilizzatori. Si obietterà: chi non riesce a vivere il rapporto col proprio smartphone in maniera non patologica ha problemi che vanno ben oltre la tecnologia. Tristan Harris non è d’accordo. Come ha spiegato al magazine The Atlantic qualche mese fa: «Potresti dire che è colpa mia, ma non sarebbe ammettere che dall’altra parte dello schermo c’è un migliaio di persone il cui lavoro è precisamente infrangere qualunque senso di responsabilità riesca a mantenere».

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Per questo motivo, il ragazzo propone che i software designer della Silicon Valley adottino un «giuramento di Ippocrate» che impedisca loro di «sfruttare le vulnerabilità psicologiche delle persone». Intervistato qualche giorno fa da Wired, Harris ha detto che «la tecnologia guida ciò che due miliardi di persone pensano ogni giorno», e «non perché sia cattiva, ma per via di questa corsa agli armamenti che è l’economia dell’attenzione». In sostanza, schiere di manodopera della valle del tech sono costantemente impegnate a trovare nuovi modi di farci tenere gli occhi sullo schermo perché è il sistema a richiederlo, un sistema che senza nuovi motivi di dipendenza non sarebbe profittevole. Il fondatore di Time Well Spent – il cui nome a questo punto apparirà più programmaticamente chiaro – fa degli esempi concreti: su Snapchat nuovi codici lusingano i ragazzini a inviare sempre più contenuti ai loro contatti; gli autoplay di Netflix e YouTube fanno sì che si passi in media molto più tempo del previsto a guardare video e serie tv; le indicazioni orarie dell’ultima connessione di un determinato contatto «inseriscono le persone in una specie di Panopticon», per usare le parole preoccupate di Harris, che comunque non è solo nella sua battaglia («le notifiche push mi stanno rovinando la vita», diceva di recente David Pierce in un pezzo uscito sempre su Wired).

Come si fa fronte a un sequestro di mente perpetrato su scala planetaria? Per Harris il primo passo è rendersi conto che sta avvenendo, dato che, di norma, siamo soliti pensare che i plagiabili siano sempre gli altri. «C’è un intero sistema molto più potente di noi, e diventerà sempre più forte», con gli inevitabili miglioramenti delle tecnologie che lo regolano, secondo l’ex uomo Google, per cui lo step successivo è necessariamente agire sul design, mettere in pratica il giuramento di Ippocrate della Silicon Valley. Come? Sostituendo il pulsante «Commenta» di Facebook con un più conciliante «Incontriamoci», ad esempio: «Quando vogliamo postare qualcosa di sopra le righe, possiamo avere la scelta di dire “ehi, parliamone di persona”, non online», ha chiosato. Suonerà naive –lo è, anzi – ma per Tristan Harris il punto della questione è la consapevolezza: basta sapere che stiamo passando ore a guardare immagini su Instagram per volere di un algoritmo; poi, eventualmente, può anche piacerci.

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