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Anche quest’anno, il solito Tommaso Debenedetti ha diffuso la solita fake news sull’improvvisa morte del vincitore del Nobel per la Letteratura L'autodefinitosi «campione italiano della menzogna» prosegue così la sua lunga striscia di bufale a tema letterario, stavolta la vittima è László Krasznahorkai.
ChatGPT ha lanciato il suo browser con il quale vuole fare concorrenza a Google Chrome Si chiama Atlas, integra l’AI sin dalla barra di ricerca e aspira a insidiare il primato del web browser più utilizzato al mondo di Chrome.
Per due volte la Rai ha prima annunciato e poi cancellato la trasmissione di No Other Land e non si sa ancora perché È successo il 7 ottobre e poi di nuovo il 21. Al momento, non sappiamo se e quando il film verrà reinserito nel palinsesto.
A causa del riscaldamento globale, per la prima volta nella storia sono state trovate delle zanzare in Islanda Era uno degli unici due posti al mondo fin qui rimasto libero dalle zanzare. Adesso resta soltanto l'Antartide.
È uscita una raccolta di racconti inediti di Harper Lee scoperti nella sua casa di New York dopo la morte Si intitola La terra del dolce domani e in Italia l'ha pubblicata Feltrinelli.
A Teheran hanno inaugurato una stazione della metropolitana dedicata alla Vergine Maria La stazione si chiama Maryam Moghaddas, che in persiano significa proprio Vergine Maria, e si trova vicino alla più grande chiesa della città.
Cercando di uccidere una blatta, una donna in Corea del Sud ha scatenato un incendio in cui è andato distrutto un appartamento ed è morta anche una persona La donna ha usato un lanciafiamme fatto in casa con un accendino e un deodorante spray. La sorte della blatta al momento non è nota.
Si è scoperto che l’AI viene usata anche per produrre poverty porn, cioè immagini piene di stereotipi sulla povertà utilizzate poi nella campagne di sensibilizzazione Si trovano in vendita sulle piattaforme di foto stock, costano poco, non danno problemi di licenza né di consenso: è per questo che sono sempre più diffuse.

Nella vita di chi scrive

In La scrittura o la vita Annalena Benini ha raccolto le sue conversazioni con dieci scrittori italiani, indagando le pene e le gioie del mestiere.

23 Marzo 2018

Nessuno può dire di avere iniziato a scrivere con l’intenzione di farsi del male. Se mai il contrario. Si comincia usando la scrittura come una specie di medicinale fatto in casa, per supplire a qualcosa che manca, curare quello che non va. In questo senso, la dipendenza dalla scrittura funziona nello stesso modo in cui funziona qualsiasi dipendenza: nessuno inizia a drogarsi perché vuole mettersi nei guai o rendere la propria vita un calvario. L’aspirante tossico cerca qualcosa di meglio, una via di fuga che lo porti altrove. Vuole una medicina o forse, semplicemente, è troppo curioso per accettare la sua condizione. L’aspirante scrittore è uguale: inizia per disperazione, noia o curiosità, completamente ignaro – nonostante gli avvertimenti dei più esperti, di chi ne è uscito, di chi l’ha vissuto – del guaio in cui sta andando a ficcarsi.

In La scrittura o la vita, uscito con Rizzoli il 13 marzo, Annalena Benini ha raccolto dieci conversazioni con alcuni fra i più conosciuti scrittori italiani: Sandro Veronesi, Michele Mari, Valeria Parrella, Domenico Starnone, Francesco Piccolo, Patrizia Cavalli, Edoardo Albinati, Melania Mazzucco, Alessandro Piperno e Walter Siti. La cosa che traspare con più forza, quasi con violenza, da queste pagine, è una serie di valori incarnati in parole abbastanza demodé, ormai quasi strane da pronunciare, come “fatica”, “vocazione”, “fede” e “sacrificio”. Alla fine del libro, in ordine casuale, Benini ha raccolto e raccontato in poche righe trenta libri fondamentali citati durante le interviste, «una lista incompleta ma ardente di quello che serve per vivere, e per scrivere». Insomma, un ottimo manuale per aspiranti scrittori. Giusto? Non proprio. Non solo.

Sentiamo dire ormai da un bel po’ che Italia le persone che hanno pubblicato, stanno per pubblicare o pubblicheranno un libro sono tantissime, forse troppe, soprattutto in proporzione ai lettori. A parte alcune eccezioni (come i dieci raccolti qui) i guadagni di questi “autori” si aggirano tra lo zero e il pochissimo. Mentre leggevo il libro di Annalena Benini mi chiedevo: che cosa fa di uno scrittore un vero scrittore, a parte, evidentemente, il risultato del suo lavoro? Come fai a capire se sei uno scrittore, dentro di te, quando il mondo ancora non lo sa? E poi: esiste una cura, un modo per smettere? E ancora: è normale che la scrittura rovini la vita? O meglio: è normale che la scrittura rovini la vita, e che uno scrittore consideri questa vita rovinata, ammaccata dalla scrittura, la più stupenda e desiderabile che si possa immaginare?

Se questo libro è disseminato di indizi e risposte a queste domande – e al tempo stesso è capace di farne sorgere di nuove – il merito non è soltanto degli scrittori intervistati, ma della voce che chiede. Con una capacità di porre domande che funzionano come chiavi, sbloccando proprio le porte delle stanze lasciate in disordine, Annalena Benini ha generato un ritratto sublime (nel senso di spaventoso e attraente allo stesso tempo) del mestiere di scrivere, che non è, non sempre, qualcosa che paga e appaga. Più spesso, come nella bellissima dichiarazione di Marina Cvetaeva che l’autrice ha scelto per l’introduzione, è un nemico di fronte al quale, semplicemente, ci si trova disarmati. «Perché scrivo? Scrivo perché non posso non scrivere».

Nella sua introduzione, Benini ricorda l’aneddoto raccontato da una giovane catechista pallida e invasata (poi sciolta dall’incarico perché giudicata troppo “estrema”) della sua infanzia, ovvero la storia di una bambina che, presa dal fervore religioso, si era spaccata i denti da latte con una pietra, perché le avevano detto che avrebbe potuto fare la cresima soltanto quando avrebbe avuto dei denti veri. Nel ragionamento di Benini questa specie di fuoco – una fede così folle da sfiorare (e forse oltrepassare) il limite della stupidità – è una metafora della scrittura. La bambina infervorata, la catechista, Anne Frank, Marina Cvetaeva, Alice Munro, Natalia Ginzburg, Virginia Woolf: per la giornalista stanno tutte sulla stessa barca. Donne che hanno permesso alla loro “dipendenza”, o alla loro fede, di mettere a repentaglio la vita e, soprattutto, di contaminare anche quelle di chi stava loro intorno. Le testimonianze citate da Benini, infatti, sono anche quelle di chi ha visto il demone dall’esterno, dalla donna che salvò il diario di Anne Frank alla figlia di Alice Munro. Per completare la lista, qui appena accennata, si potrebbe aggiungere un libro uscito nel 2017 (In gratitudine, NN editore), in cui la scrittrice Jenny Diski, oltre a spiegare, tra le altre cose, cosa significa avere il cancro e il disturbo di personalità borderline, racconta com’è essere adottata e cresciuta da Doris Lessing.

Dopo la bellissima introduzione, che condensa in poche pagine una serie di immagini quasi troppo vivide per essere guardate a occhio nudo, Benini passa il microfono agli scrittori. Che sembrano condividere la stessa visione dell’autrice («la scrittura o la vita», appunto, non nel senso di aut-aut kierkegaardiano, ma come risposta alla minaccia del ladro: lo scrittore porge la borsa-scrittura per salvarsi le penne, non potrebbe fare altrimenti). Un dono e una condanna: Francesco Piccolo parla di un cubetto di ghiaccio nel cuore che impedisce di immergersi al 100% nell’esistenza, ovvero una voce che davanti a ogni cosa e a ogni persona e a ogni situazione fa dire soprattutto «scrivi» («sono una dilettante della vita», diceva Virginia Woolf, e Benini ce lo ricorda).

Ma il dato che emerge da queste testimonianze è che, in qualche modo, queste persone col diavolo in corpo sono comunque riuscite a costruirsi e mantenere una vita abbastanza “normale”: relazioni, figli, case, viaggi, lavori, e hanno affrontato, nelle loro esistenze, le cose che affrontiamo tutti  – a parte alcune eccezioni, tipo avere come padre Enzo Mari (e grazie a Michele Mari per aver raccontato questa straordinaria, difficilissima esperienza, tra le pagine di questo libro e nel suo splendido Leggenda privata) – la morte dei genitori (indimenticabile l’aneddoto di Sandro Veronesi sugli ultimi istanti della madre: ha a che fare con un cappuccino), la malattia, perfino le figure di merda e i momenti di auto-esaltazione e ridicola mitomania. Nel loro generoso condividere con Benini, e quindi con noi, le ambivalenze, i sensi di colpa, l’amore, le manie di persecuzione, le paranoie, i fallimenti, i traguardi e le gioie, i meccanismi quotidiani e le simbologie private, questi scrittori danno vita, tutti insieme, a una forma di umanità ipertrofica, da guardare con invidia ma anche con compassione.

La follia e la vocazione, il fuoco e i cubetti di ghiaccio, ma alla fine è evidente che chi scrive per vivere (e viceversa) è prima di tutto umano, forse troppo. Ed è anche questo il bello di questo libro. La scrittura o la vita non è soltanto per gli aspiranti scrittori. È un libro per tutti, perché racconta le vite di uomini e donne accomunati da una stessa, potente passione, che ognuno ha coltivato, inseguito, sviluppato in un modo diverso dall’altro. Che poi questa passione sia la scrittura è ancora meglio, perché è garanzia di uno sguardo spietato, brillante, esilarante (dettaglio importante, in questo libro si ride, si ride tantissimo) sui fatti della vita.

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