Se Zootropolis 2 ha avuto tanto successo è perché piace agli adulti, ai bambini e soprattutto ai furry

Il film Disney è da settimane in cima al botteghino italiano e mondiale. A contribuire a questo successo c'è stata la comunità dei furry, per la quale questo film è una faccenda molto, molto seria.

25 Dicembre 2025

Andare al cinema a vedere Zootropolis riserva un’unica certezza: trovare la sala piena, dato che il sequel del fortunatissimo film d’animazione Disney del 2016 continua a registrare presenze notevoli, nonostante sfiorasse già il miliardo di dollari d’incasso globale già dopo le prime due settimane di programmazione. Più incerta però è la composizione del pubblico con cui si condividerà la sala. Potreste trovarvi gomito a gomito con famiglie con bambini, spettatori adulti amanti della saga, proprietari di cani e gatti che vogliono vedere su grande schermo il film insieme al loro animale domestico o spettatori che indossano costumi pelosi a foggia di animale. Non sono cosplayer, bensì fan decisi a godersi il film nelle vesti della loro fursona, una sorta di alterergo animale da impersonare.

Non è un mistero che Zootropolis sia, sin dalla sua nascita, una sorta di testo sacro per la comunità furry, tanto da spingerne i membri a prenotare intere sale per vedere tutti assieme il secondo capitolo nelle vesti del proprio alterego zoomorfo. D’altronde sin dai suoi albori nelle convention di fantascienza e nelle fanzine anni ’80, il furry fandom ha trovato nel canone animato Disney un punto stabile di riferimento. Per una comunità basata sull’amore per animali fittizi antropomorfi che parlano, interagiscono e si comportano come esseri umani, i classici Disney sono una destinazione naturale. Fanno parte del canone cinematografico furry film come il Robin Hood animato del 1973 con protagonista una coppia di volpi furbe e sexy o i leoncini che cedono a un momento d’intimità sulle note di “Can You Feel This Love Tonight?” di Elton John ne Il re Leone del 1994, insieme a videogame, cartoni animati, anime, telefilm e opere d’immaginazione che abbiano per protagonisti, appunto, animali antropomorfi.

Disney contro i furry

Meno entusiasta, almeno in apparenza, di questo sodalizio è Disney, che si pone da sempre come un’azienda i cui prodotti sono rivolti a un pubblico di famiglie e che per quasi un secolo ha lavorato in Occidente sulla percezione dei film animati come prodotto pensati per il pubblico dei più piccoli. Nonostante la natura del fandom furry sia quella di una comunità di appassionati che condividono illustrazioni e fan fiction sui personaggi del cuore, magari costruendo un proprio personaggio originale (OC, original character) con tanto di fursuit (la tutona pelosa di cui sopra) spesso viene associata e ridotta alla sola sfera sessuale. Invece quella che integra elementi erotici (yiff) nel furry e lo vive anche come un kink per aggiungere piacere a dinamiche relazionali o un fetish se focalizzato su tratti animali specifici è, nei fatti, una minoranza.

Il fandom furry, così ridotto a “una comunità di stramboidi arrapati” che porta su di sé lo stigma del feticismo, non può che essere invisa a un’azienda tradizionalista come Disney, che basa buona parte della sua comunicazione proprio sull’essere percepita come “sicura” per le famiglie. Eppure qualche dubbio, ai fan del furry e non, era venuto già nel 2016 di fronte le curve sinuose della coniglietta Judy e al suo seducente nemico/amico Nick la volpe (ovvero l’animale di gran lunga più popolare nel fandom furry). Nelle interviste i registi del primo film Byron Howard, Rich Moore e Jared Bus si dicevano consapevoli dell’esistenza della comunità furry e persino delle sue preferenze, lasciando a intendere che avessero pesato nella scelta di rendere Nick proprio una volpe. La conferma era poi arrivata con il leak di una mail pubblicata da BuzzFeed in cui un membro del team PR di Disney invitava alcuni rappresentanti della comunità furry a condividere sui social foto della visione in fursuit del film in sala con hashtag dedicati.

Animazione per adulti

A nove anni di distanza è facile ipotizzare come il successo di Zootropolis 2 derivi proprio dalla capacità di parlare a un pubblico di adulti, ancor più che a quello dei bambini, senza glissare sui suoi desideri di natura romantica ed erotica dello stesso. I dati raccolti al box office statunitense evidenziano come un terzo degli spettatori sia over 30, e ben il 60 per cento del pubblico pagante sia femminile. Spettatori che, come nel primo capitolo, si sentono toccati dalle tematiche lavorative e relazionali adulte della storia: Zootropolis infatti è tra le poche proposte animate Disney che ha per protagonisti adulti inseriti nel mondo del lavoro e alle prese con le sue dinamiche sociali, non bambini o adolescenti canterine.

La novità del secondo capitolo è che Nick e Judy sono dentro una dinamica di coppia professionale in cerca di un equilibrio che scivola molto vicino a un rapporto di natura sentimentale, con tanto di confessione dei sentimenti che provano l’uno per l’altra. Una svolta che ha sorpreso molti, frustrato altri per il suo fermarsi a un passo dell’essere esplicitata, ma anticipata da tempo dal fandom stesso. Nick e Judy infatti sono da anni al centro di una fitta produzione di storie e illustrazioni che ne esplorano il rapporto sentimentale, tra cui la celebre trilogia a fumetti I Will Survive di William Borba, in cui Judy rimane incinta e deve decidere se ricorrere o meno a un aborto. È forse il più celebre contributo di un fandom che, come molti spazi simili, è popolato da adulti che amano esplorare fino in fondo le dinamiche tra personaggi pre-esistenti, anche in chiave erotica, politica, talvolta con esiti provocatori e spiazzanti, almeno quando visti da fuori.

Un film per kidults

Fino a un decennio fa Disney si era appunto tenuta “fuori” dal pubblico degli adulti non genitori che interpretava in chiave adulta le sue storie e i suoi personaggi. Quello con gli adulti è sempre stato un rapporto molto delicato, giocato sulla volontà di avere clienti con una capacità economica importante (magari proprio perché non hanno figli) controbilanciata dalla riluttanza a discostarsi dal pubblico delle famiglie. Tanto, per esempio, da vietare agli adulti di vestirsi da personaggi Disney all’interno dei propri parchi, ufficialmente per questioni di sicurezza; divieto immediatamente aggirato grazie al Disneybounding, ovvero la pratica di vestirsi ispirandosi a un personaggio Disney usando abiti normali (colori, silhouette, accessori), così da passare i controlli ed evitare la confusione con i personaggi ufficiali.

È proprio il ritorno economico ad aver aperto se non proprio la porta principale, almeno quella di servizio del castello Disney agli adulti. Anzi ai kidults, la vera miniera d’oro del mondo del licensing e del merchandising: persone tra i 25 e i 45 anni, spesso senza figli, che spendono una fetta consistente del loro tempo e denaro per le loro passioni un tempo stigmatizzate come infantili.

Zootropolis 2 non è propriamente pensato per loro, ma ne ha fatto un pubblico con cui dialogare, che siano amanti del furry o del canone Disney. Lo si capisce da come, per esempio, spinga più decisamente su elementi come easter egg, citazioni e parodie che solo un pubblico adulto può cogliere, anche solo per ragioni anagrafiche. O da come continui a esplorarne le angosce professionali, relazionali e personali, quel sentirsi inadeguati che non ha più a che fare con l’adolescenza, i genitori e la scuola, ma che fa comunque sentire capiti e inclusi nel buio di una sala, tra le risa dei bambini e dei loro genitori.

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