Quella contro il vivavoce in pubblico sta diventando un’altra guerra culturale

Video, Reel, telefonate e giochi a tutto volume in spazi pubblici sono sempre più diffusi in tutto il mondo, e stanno nascendo i primi divieti ufficiali.

10 Settembre 2025

Un giorno storico per la legislazione europea potrebbe diventare il 6 febbraio 2025, e non c’entra Ursula von Der Leyen, nessun Green Deal, non è merito di Pedro Sánchez o di un nuovo pacchetto di sanzioni. Invece è successo che in una parte molto silenziosa della stazione ferroviaria di Nantes, nella Francia nord-occidentale, un uomo che stava facendo una videochiamata in vivavoce senza auricolari o cuffie è stato, per questo, multato da un dipendente SNCF, la compagnia ferroviaria francese. L’ho scoperto leggendo un articolo di fine agosto del Guardian, il quotidiano inglese, che racconta di una nuova campagna pubblicitaria dei Transport for London contro, appunto, i rumori molesti provenienti dagli smartphone utilizzati come altoparlanti per telefonate, video, reel o giochi.

È una piaga molto recente, quella delle voci che dovrebbero essere private lanciate invece in vivavoce, dei suoni e degli avvisi molesti. In un manuale di conversazione contemporaneo, di certo meriterebbe un capitolo dedicato: mi sembra infatti che l’aneddotica, tra amici e conoscenti, su viaggi in treno o autobus o aereo rovinati da qualche molestatore acustico sia ricchissima e in continua espansione. Personalmente, oltre ai numerosi ascoltatori di Reel e video TikTok o giocatori di quelle applicazioni che emettono certi “ping!” acuti di tanto in tanto, racconto di tanto in tanto di quando mi sono ritrovato, su un treno ad alta velocità, un compagno di posto che ha iniziato a guardare un’intera serie tv senza auricolari e tutto volume, indisturbato sia dalla sua violenza acustica sia dal brusio di fondo che comunque in una carrozza si sviluppa.

È ancora colpa della pandemia

Sempre sul Guardian ho trovato un op-ed di Hannah Ewens, scrittrice e giornalista culturale britannica, intitolato “‘Do you mind listening to that with headphones?’ How one little phrase revolutionised my commute”: il titolo mostra tutta la timidezza (e certo, un po’ l’inettitudine) degli inglesi nell’interagire con altri esseri umani, ma l’analisi contiene un punto di vista particolarmente interessante. Scrive, Hannah Ewens, che «cinque anni fa, tutti sarebbero stati incollati ai loro telefoni sui mezzi pubblici – ma difficilmente avresti trovato qualcuno riprodurre qualcosa a volume alto, o almeno per più di cinque secondi, senza tenerli vicini all’orecchio». Quindi, cos’è successo? La risposta, credo, è sempre la solita: la pandemia.

Ci metteremo ancora decenni a realizzare una lista ordinata di tutti i cambiamenti, profondi oppure più effimeri, che quel raffreddore mortifero ha portato nelle abitudini di mezza umanità. Alcuni hanno (già) portato a guerre e invasioni e un profondo mutamento della politica internazionale, altri sono più leggeri, come questo. Cos’è successo, quindi, durante la pandemia in questo senso? Non penso ci sia una risposta soltanto. Da un lato il 2020 è stato l’anno del boom dello streaming audiovisivo (uno studio di Digital Tv Research dice che l’utilizzo dei servizi streaming è cresciuto del 50 per cento nella sola Europa ovvidentale), e questo potrebbe aver portato a un’assuefazione ancora più grave che in precedenza all’intrattenimento da smartphone, in qualsiasi momento della giornata, in qualsiasi luogo. Se prima la noia era soltanto qualcosa da evitare, ora è terrorizzante. E quindi va rasa al suolo, presa d’assedio, fatta scomparire.

Credo sia però anche una questione di rapporto tra pubblico e privato. Da un lato i mesi successivi al lockdown, con quel bisogno di spazi aperti, e aperti a tutte e tutti, hanno mostrato quanto le città abbiano ancora necessità di piazze pubbliche, di aree libere fruibili senza uno scopo esclusivamente commerciale; dall’altro, il confinamento di milioni (miliardi) di persone in casa per sei mesi ha accentuato un individualismo e un isolamento già molto presenti nella cultura contemporanea, riducendo le interazioni umane e, di conseguenza, la considerazione già bassa per la presenza di altri esseri umani intorno a noi. Per la dimensione del collettivo. L’aria che abitiamo, intesa come lo spazio intangibile che contiene i suoni o la loro assenza, è un bene comune e pubblico tanto quanto lo spazio fisico: invaderla, riempirla di rumori ad uso privato, è una violazione di un tacito contratto di rispetto sociale. È importante poi dire che non funziona, in questo caso, la comoda accusa generazionale: sarebbe semplice dare la colpa di questo nuovo cambiamento antropologico agli adolescenti, ma la verità è che l’invasione acustica viene da tutti i segmenti di età.

Loud Town

D’altra parte, queste considerazioni invecchiano e cambiano in fretta. Se ci sembrava impossibile, fino al 2019, rimanere intrappolati in carrozze sature delle voci gracchianti di riunioni, fratelli, amiche e video musicali, e le cuffie appaiono come una tradizione salvifica contro il disordine di un mondo senza più guida (sì, esagero), fino a qualche decennio fa le opinioni generali erano ancora diverse. Negli anni Ottanta, dopo aver cambiato il mondo con il lancio del Walkman, il Ceo di Sony Akio Morita aveva ammesso che riteneva «maleducato» che una persona potesse «ascoltare musica in isolamento», cioè con delle cuffiette (che all’epoca erano quelle di spugna, unite sopra la testa da un mezzo anello di alluminio).

Negli ultimi mesi si sta parlando con un’insistenza maggiore del solito dell’inquinamento acustico e dei rischi – documentati – per la salute di chi vi è esposto. Sono legati alla salute mentale, ma anche a malattie cardiovascolari, si parla di morti premature: lo dice L’Agenzia europea per l’ambiente. In un articolo su questo argomento, Il Post ha realizzato una specie di vademecum o archivio dei suoni molesti della città di Milano, qui. La città contemporanea o smart, ancora lontana dall’essere “a 15 minuti”, è per ora prima di tutto rumorosa: uno dei tag più utilizzati dal New York Magazine per raccogliere articoli è “Loud Town”, un segmento che raccoglie tutto ciò che concerne il rumore in una delle città più rumorose del mondo.

E certamente è anche questa presenza costante di caos e disordine uditivo a far dimenticare a molti quanto sia prezioso il silenzio. Purtroppo, come nel caso della lotta allo spreco e al cambiamento climatico, noi cittadini silenziosi ci sentiamo troppo isolati e quasi inutili con i nostri auricolari, le nostre parole sussurrate – le nostre piccole raccolte differenziate. Possiamo intervenire individualmente, chiedere: per favore, potresti abbassare, spegnere, considerare chi hai intorno a te? Lo faccio, lo facciamo, ma è un argine di pane contro la piena di un fiume. Com’è andata a finire, poi, con quello che guardava un film indisturbato a tutto volume in treno? Ho raccolto il coraggio di cui ero in possesso, represso la rabbia e, con straordinaria gentilezza, gli ho chiesto se non potesse utilizzare delle cuffie. Mi ha risposto, candidamente, che non ce le aveva: guardare la serie tv ad alto volume era di conseguenza l’unica soluzione possibile. Ho dovuto, contro ogni mia indicazione morale, passare alla repressione: fortunatamente l’autorità del capotreno ha funzionato. Eppure sono certo, in questo campo come in tutti, che il proibizionismo non sia la strada migliore.

Foto di Jeff J Mitchell/Getty Images

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