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Viv Albertine, triste, solitaria y punk

Conversazione con un'artista diventata parte della mitologia punk, dagli anni delle Slits all'amore con Mick Jones dei Clash: ha raccontato tutto nel memoir Vestiti musica ragazzi, da poco uscito in Italia per Blackie.

24 Aprile 2023

Quando si legge un’autobiografia si assume un punto di vista: quello del protagonista. Viv Albertine lo sa bene, tanto che dopo poche righe dall’inizio dell’introduzione di Vestiti musica ragazzi, pubblicato in Italia da Blackie Edizioni, avverte i suoi lettori: «Questo è un libro molto soggettivo, è un album dei ricordi». Album è una parola che ben rappresenta la costruzione di questo libro, suddiviso idealmente in A-side e B-side, con le relative tracce e il sapore durante la lettura di mettere su una musicassetta e sentire andare il nastro. A metà degli anni ’70 Viv Albertine voleva a tutti i costi far parte di una band anche se non sapeva suonare. Un destino comune a molti più musicisti di quanto si creda, soprattutto in quegli anni, ma lei era una ragazza e non conosceva nessun’altra ragazza a Londra che facesse musica. Un paio d’anni dopo entra nelle Slits, una band femminile dalla vita breve, ma che a distanza di decenni è stata annoverata tra quelle che maggiormente hanno contribuito a definire i canoni del punk. Da lì in poi cambia ogni cosa, e lo racconta in questo libro che non parla solo di lei ma anche di un’epoca e dei suoi protagonisti: per esempio l’amicizia con Sid Vicious, con Joe Strummer e con Mick Jones, che per amore le dedicò il capolavoro dei Clash “Train in Vain”. Il fil rouge di tutta questo è la vita, vissuta con la filosofia del punk e della sincerità a tutti i costi.

ⓢ Prima di tutto, perché un’autobiografia?
Chi scrive un’autobiografia o è un cretino o è al verde. Io sono un po’ tutte e due le cose. Scherzi a parte, mi sono iscritta nella storia della cultura popolare perché c’ero e ho contribuito, ma ho capito che nessuno l’avrebbe fatto per me.

ⓢ Il titolo del libro è una frase che tua madre ti ripeteva sempre, giusto?
La frase di mia madre, che mi ripeteva sempre, riassumeva quella che pensava sarebbe stata la mia vita sprecata e inutile e che invece si è rivelata il cuore del mio lavoro. Questo è il punto, se lavori nelle arti o nella musica, non importa quale sia la spazzatura che ti interessa, puoi farla funzionare per te.

ⓢ Tu sei stata una pioniera del femminismo. Oggi il femminismo è cambiato rispetto a quello degli anni ’70. Sono cambiate alcune lotte e anche alcuni ideali. Ti ci riconosci ancora?
Quando ero giovane pensavo che il mondo avrebbe continuato a migliorare con il passare dei decenni, ora mi rendo conto che la storia continua a ripetersi, giriamo in tondo e torniamo persino indietro. In verità sono scioccata e rattristata dal fatto che, per molti versi, le donne debbano ancora lottare per l’uguaglianza, il rispetto, la sicurezza e, in alcuni luoghi, per rimanere in vita oppure per ottenere un’istruzione di base. Mi si spezza il cuore.

ⓢ C’è un vecchio dibattito che ciclicamente ritorna: il punk è vivo o morto?
È morto come un dodo, perché è appartenuto al suo tempo e non può rinascere. In fondo, chi lo vorrebbe? È meglio che nasca qualcosa di nuovo. Non si può ripetere un movimento in circostanze completamente diverse, ma ci sono nuovi movimenti che nascono da nuove circostanze e nuovi ambienti.

ⓢ Nella tua vita hai sempre cercato di stupire. Oggi con il politicamente corretto spesso questa possibilità non è permessa agli artisti.
Ho frequentato la scuola d’arte e sono stata esposta alla controcultura e all’arte quando scioccare era un approccio valido: surrealisti, situazionisti, dada. Non posso farne a meno. È nel mio DNA. Nel mio lavoro ho sempre puntato sullo shock. Il bello dello shock nelle arti è che sveglia le persone e dà una nuova prospettiva, può far sì che lo spettatore o l’ascoltatore veda qualcosa di diverso, che esca dalla sua zona di comfort.

ⓢ La musica (come l’arte, la letteratura) ha davvero un potere salvifico come dici o alla fine sono le persone a salvarsi, indipendentemente dall’arte, ed il resto è retorica?
La musica mi ha salvata quando ero giovane, ma credo che abbia fatto il suo tempo come salvatrice, a causa dell’accessibilità e dell’appropriazione del mezzo da parte della classe media. Ma va bene così, nessuna forma d’arte o di musica mantiene il suo status di radicalità per sempre.

ⓢ Nel libro ci sono tante ferite, ma mai autocommiserazione. Sei una persona che perdona o c’è ancora un po’ di rabbia?
Sono felice di essere riuscita a nascondere la mia autocommiserazione. Tendo a soffermarmi sui torti subiti e sento di aver avuto una vita un po’ difficile. Mia madre mi diceva sempre: “Perdona, ma non dimenticare”, cioè non conservare il dolore, ma non essere stupida e non lasciare che le persone ti facciano male due volte. In fondo, probabilmente guardo di più alla massima di mio padre: “Mai perdonare e mai dimenticare”. Non sono orgogliosa di questo sentimento, ma è la verità.

ⓢ È stato doloroso rielaborare tutti i ricordi di cui parli nel libro?
Molto doloroso. Dopo il mio secondo libro, To Throw Away Unopened (inedito in Italia, ndr), non ho potuto scrivere altro per quattro anni. Inoltre, l’onestà di entrambi i libri rende la gente diffidente nei miei confronti. Sapevo che dopo aver scritto Vestiti musica ragazzi non avrei mai avuto un altro ragazzo, e non l’ho avuto. Ho dovuto trascendere il mio bisogno di piacere per scrivere quei libri. C’è sempre un costo sociale per questo livello di onestà.

ⓢ Ti senti compresa oggi? Riesci ancora a essere autentica, dire la verità, lottare per ciò in cui credi?
Ci sono un sacche di persone che sono sincere e autentiche, ma credo che il modo in cui il capitalismo ha travolto il mondo dagli anni Ottanta in poi, e lo sta ancora travolgendo, abbia fatto sì che le persone agissero in modo falso per “andare avanti nella vita” e avere successo. Non sanno nemmeno di farlo. È diventato normale. Mi disgusta e il punto di forza del punk era che la maggior parte di noi si trovava in qualche modo nello spettro, ci siamo trovati e ci siamo detti l’orribile verità, ma non ci piaceva. Non c’è più spazio per comportarsi così in massa. Mi accorgo che quando dico la verità in circostanze quotidiane la gente la trova disgustosa. Nei libri riesco a farla franca perché è lontano dalle interazioni quotidiane.

ⓢ Della musica contemporanea cosa pensi?
Non ascolto più musica, mi turba.

ⓢ E la moda?
Nemmeno. Non mi interessano più i vestiti, la musica e i ragazzi. In qualche modo scrivere di tutto questo mi ha ucciso.

ⓢ Qualche giorno fa su Twitter qualcuno ha scritto: «Puoi resuscitare solo una persona, chi resusciti?» Mi ha incuriosito e sono andato a leggere le risposte delle persone. In molti hanno risposto John Lennon. Se fosse qui ora, cosa gli diresti? E lui cosa direbbe del nostro tempo?
Credo sarebbe divertente, mi piaceva il suo senso dell’umorismo tagliente e asciutto. Probabilmente oggi verrebbe considerato troppo crudele. Comunque per me Yoko Ono e il suo lavoro sono più interessanti di John Lennon.

ⓢ E se ti dico Patti Smith, cosa mi dici?
Ha significato molto per me.

ⓢ Cosa si può imparare leggendo il tuo libro? Credi davvero possa essere un manuale di autoaiuto come hai detto?
La gente parla molto più di fallimenti oggi rispetto a quando ho scritto il libro [ha iniziato a scriverlo nel 2010, nda] e volevo mostrare, soprattutto ai giovani, com’è una vita vera, tutti gli errori che si nascondono dietro uno o due piccoli momenti della vita che vanno bene (The Slits e i libri); tutto il resto della mia vita è stato per lo più di fallimenti, malattie, rifiuti, licenziamenti, povertà e momenti imbarazzanti.

ⓢ Com’è il suo rapporto con la solitudine?
Non la sento più. Accetto il mio tempo da sola e ne trascorro molto così. È un lusso e sono felice di aver studiato arte, perché mi ha aiutata a sviluppare la mia immaginazione e mi ha permesso di superare i momenti difficili della vita.

ⓢ E il rapporto con tua figlia? Ha letto il tuo libro?
La amo così tanto che mi spaventa, perché mi rende vulnerabile. Ha provato a leggere i libri, ma continuava a piangere!

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