Tovagliette — Piselli e pancetta

La terza puntata di una rubrica di cucina: la ricetta della mamma, con qualche segreto molecolare in più.

16 Agosto 2015

Nell’armadietto delle mie ossessioni culinarie, tra la altre cose, c’è un cassetto con scritto “Piatti della mamma”. Sono piatti che obbediscono a un sistema di valori parallelo, diversissimo da quello della cucina professionale ma anche da quella popolare. È una sorta di costituzione morale alternativa, che ha i suoi riflessi, i suoi codici, i suoi snobismi e le sue barriere invalicabili. C’è qualcosa che mi affascina tremendamente in cose come la pasta con le zucchine o la minestrina: per un po’, nella speranza di poterne trafugare la magia per inventare qualcosa di nuovo, ho cercato di studiare, di afferrarne la coerenza interna, ma continuavo ad arrabbiarmi moltissimo pensando a eresie come il dado da brodo o le verdure bollite in modo punitivo, come se dovessero espiare il peccato mortale di non essere carne.

Finché mi sono reso conto che la chiave di volta che cercavo non poteva essere gastronomica, ma affettiva. Non è così difficile cuocere le verdure il giusto, in modo che rimangano fresche, colorate e croccanti, ma cercare la cottura perfetta implica contemplare il rischio di sbagliare tutto. E se è tutto sbagliato è tutto da rifare, e non c’è niente da mangiare.

Tuttavia, un conto è capirlo, un conto è permettersi di farlo. E, per il momento, a bollire così tanto le verdure non ci riesco proprio. Forse dovrei rassegnarmi al fatto che la cucina della mamma è qualcosa di sostanzialmente impenetrabile, al fatto che non sarò mai in grado di cucinare cose come i piselli con la pancetta. Preparare un piatto della mamma, per me, è quindi un’esperienza che appartiene nella sfera del sacro, direi quasi del mito, per definizione antropologicamente inaccessibile. Eppure, mi pare di ricordare che, alle medie, ci avevano spiegato che il mito, pur essendo impossibile da esperire, può essere riprodotto in altra forma, suggerito. La frase, se non sbaglio, suonava più o meno così: ogni comunità può, in momenti precisi e scelti, riunirsi in una pratica che riassume e riattualizza il mito.

Il rituale, dunque, prevede molti piselli sgusciati, e della pancetta. Ci sarà una purea di piselli, e per farla si potrebbe provare a resuscitare uno strumento che nelle case della nostra infanzia non mancava mai, e di cui a un certo punto non si sono più avute notizie: il passaverdura. Era una specie di piccolo catamarano a manovella, che tutti ricordiamo claudicante, perché regolarmente zoppo di almeno uno dei tre piedini retrattili.

Sbollentiamo quindi i piselli 7 minuti e, una volta scolati, rovesciamoli in acqua ghiacciata. (È un’operazione che serve a fissare il colore dei piselli, e che li manterrà di un verde brillante. Si chiama shock termico, ed è un po’ l’abc dello show off culinario; il principio è quello del bagno turco: il calore apre i pori e la clorofilla comincia a uscire, a quel punto si fa una doccia fredda, i pori si chiudono e tutta la clorofilla rimane sotto la pelle, inauditamente verde.)

Teniamo da parte una manciata di piselli sbollentati e “passiamo” il resto col suddetto aggeggio, con una ghiera media. Mescoliamo bene la purea con un po’ d’olio e aggiungiamo un po’ di sale, non troppo. Per amalgamare, possiamo aggiungere un po’ d’acqua ghiacciata, ma pochissima, la consistenza dev’essere pastosa e morbida al tempo stesso, come un sorbetto artigianale. Nel frattempo, tagliamo la pancetta a listarelle, e facciamole sudare in padella, come per fare una carbonara, finché non assumeranno l’aspetto e la consistenza di una patatina. Mettiamo da parte.

È difficile immaginare una pietanza più casalinga e materna dei piselli con la pancetta. L’avviamento della cottura, a casa mia, avveniva seguendo la regola del doppio grasso: non burro, non olio, ma burro e olio. Un po’ di ciascuno, senza esagerare. Ora, si sarà notato che, finora, la nostra versione di piselli e pancetta non prevede alcun grasso. C’è un po’ di innocente olio nella purea, ma insomma, è olio crudo, non credo che conti. Questo comportamento è estremamente rischioso: da un lato potrebbe valermi degli insulti in famiglia, ma soprattutto trasformerebbe il piatto in un altra cosa, che nulla ha a che vedere con quello che ricordiamo e amiamo. C’è però, forse, un modo per rimediare.

Cominciamo con lo spalmare quattro cucchiai della purea in un piatto, con i piselli interi e la pancetta a portata di mano. Poi mettiamo in una piccola ciotola due cucchiai di yogurt greco freddo di frigo e un cucchiaio d’olio d’oliva. Amalgamiamo il tutto, come per fare una sorta di vinaigrette perversa, con due materie grasse e nessuna acida. Mescoliamo fino ad ottenere la consistenza di una maionese liquida, che sarà di un verde pallidissimo. Condiamo la nostra purea di piselli con qualche goccia della nostra vinaigrette doppiamente grassa, e disponiamo in modo aleatorio (e in un certo senso liberatorio) le listarelle di pancetta e i piselli interi sbollentati, con un po’ di pepe se volete.

Qualora non fosse chiaro, i piselli con la pancetta si mangiano col cucchiaio, e devono essere imperativamente freddi, al massimo leggermente tiepidi. Solo così possiamo sperare di riprodurre quel sapore specifico, rassicurante e domestico, che è il gusto che hanno le cose quando te le sei dimenticate lì.

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