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Quando gli italiani amavano gli stabilimenti balneari

Oggi terreno di battaglia politica, c'è stata un'epoca in cui i "bagni" erano un simbolo dell'estate italiana, raccontati dal cinema, dalla letteratura, dalla fotografia.

di Andrea Frateff-Gianni

«Il mare è un accessorio», mi diceva quando ero piccolo mia nonna, che gran parte della villeggiatura la trascorreva seduta il pomeriggio ai tavolini all’ombra del Bar Sole di Rapallo e in spiaggia non scendeva praticamente mai. Per tutti gli altri che si affannavano nei viali, negli arenili, nei ristoranti e nelle discoteche, la partita da giocare era completamente diversa. Noi cuccioli invece, più che altro, il tempo lo passavamo usufruendo di una piscina, dall’acqua azzurra come in Sardegna, posta al centro dei Bagni Ariston, un piccolo ed elegante stabilimento dalle sdraio e i lettini bianchi e azzurri, posto in fondo al lungo mare davanti ad una piccola piazzetta intitolata a Ezra Pound, che nella cittadina ligure aveva avuto frequenti trascorsi prima di stabilircisi definitivamente nel ’62. L’acqua della piscina era bassa ed era un grande vantaggio per le mamme che potevano rimanere così a parlare sotto l’ombrellone, mentre i pargoli si tuffavano selvaggiamente in quella grande vasca da bagno in preda all’elemento sconosciuto. Il trampolino, che stava in fondo a una lunga e malandata passerella di legno sospesa sul mare, era severamente vietato e a esclusivo uso dei ragazzi più grandi. Ho avuto per un lungo periodo una grande consuetudine con gli stabilimenti balneari, non-luogo per eccellenza delle vacanze estive, che mi hanno accompagnato per sedici estati consecutive: da quando ero in fasce fino ai tormentati anni dell’adolescenza.

Stessa spiaggia, stesso mare. Le vacanze all’epoca erano molto lunghe e si dividevano militarmente in due parti: a luglio, vestiti alla marinara come Susanna Agnelli, sulla sabbia di Forte dei Marmi a casa dei miei, ad agosto nella villa sulle hills di Rapallo, dove da giugno a settembre, tutti gli anni, si trasferiva mia nonna. Il derby per molti anni così si è giocato tra i Bagni Dalmazia di Forte e gli Ariston di Rapallo, due luoghi molto diversi tra loro di cui ho ricordi contrastanti. A Forte dei Marmi ancora oggi la spiaggia non è spiaggia ma salotto, e come si sa quasi tutti ambiscono a stare nel salotto giusto, ovverosia in quei due o tre stabilimenti dove prenotare sdraio e lettini per la stagione è un’autentica impresa, senza contare che bisogna avere una sfilza di referenze degne di un socio di un club inglese riservato ai Lord. I Dalmazia confinavano con la mitica Capannina di Franceschi e rivaleggiavano ad armi pari con altri bagni prestigiosi dove ad abbronzarsi, prima della recente invasione degli oligarchi russi, ci potevi trovare i discendenti di famiglie millenarie e parecchio influenti.

A Rapallo invece le vacanze somigliavano a quelle di migliaia di altri italiani che, consolidando una tradizione nata negli anni ’50 nel periodo del boom economico, avevano preso l’abitudine ad agosto di prendere letteralmente d’assalto i lidi della penisola. «Stabilimenti balneari, caffè all’aperto, alberghi, nei quali la borghesia si abbandona alle dolcezze velenose delle vacanze estive», scriveva Moravia in Le vacanze di Cremonini, nel 1973, rendendo bene l’idea. Perché sì, da sempre, in costume da bagno, i vizi nostrani emergono in modo impietoso, come è raccontato magistralmente da Dino Risi nell’imprescindibile Il sorpasso o nel sottovalutato e quasi introvabile L’ombrellone, pellicola apocalittica del 1965 dove Riccione sembra l’anticamera dell’inferno.

Dai tempi di Una domenica d’agosto di Luciano Emmer la spiaggia infatti è sempre stata un osservatorio privilegiato per la commedia all’italiana. Un luogo dove il commendatore, il cialtrone e lo studente squattrinato, stavano finalmente in maniera democratica fianco a fianco tutto il giorno. «Lo stabilimento balneare è come una piccola comunità. La gente si conosce da anni ed è legata da piccoli intrighi da spiaggia che servono a uccidere la noia e a far passare il tempo», recitava in apertura la splendida voce narrante di Pino Locchi in Sapore di mare dei fratelli Vanzina del 1983, film cult della mia generazione che ancora non aveva letto Moravia né aveva avuto il tempo di sognare la Lancia Aurelia cabrio guidata da Gassman ne Il sorpasso. Le scorribande sgangherate in Vespa di Jerry Calà, le polo Lacoste, le gite in pedalò, i giochi da spiaggia, le infinite partite a biliardino e, ovviamente, i corteggiamenti serrati descrivevano perfettamente le nostre giornate da sbarbi liceali in vacanza. L’estetica di quelle estati è richiamata a quella ritratta negli scatti di Claude Nori, il fotografo francese che intorno alla metà degli anni ’80 partecipò al racconto collettivo Viaggio in Italia, realizzando un reportage sentimentale sul mare italiano, una serie di immagini indimenticabili di luoghi mitici e particolarmente evocativi come Capri, Napoli, Portofino, la Romagna o Stromboli, e soprattutto i volti delle persone che all’epoca li frequentavano.

Quelle persone in costume da bagno, con il corpo scottato dal sole, che si radunano intorno a un juke-box, che mangiano un gelato all’ombra di un ombrellone, che si baciano davanti ad una cabina colorata, fanno parte di una poetica italiana indimenticabile. Una giovinezza, come racconta Rohmer in Conte d’été, (il suo film estivo per antonomasia), tutto il tempo è dedicato all’amore e alle illusioni.

Cosa resta oggi di quelle estati, in un tempo falcidiato dagli easyjetter, dal turismo mordi e fuggi e dagli Airbnb, in cui perfino gli stabilimenti balneari, sia che si stia a Capri che a Santa Margherita, sono stati vittima di una mostruosa metamorfosi, contesi a suon di sponsorizzazioni da brand e influencer? Lo chiamano takeover delle spiagge, questa assurda pratica che ha trasformato i bagni, firmati da capo a piedi con lettini, divani e ombrelloni fatti su misura, in posti che sembrano diventati delle lussuosissime boutique. Non è scampato all’ondata fashion nemmeno il mitico Bagno Piero di Forte dei Marmi, quello frequentato dai Moratti per intenderci, che al Forte hanno casa praticamente da sempre.

C’è una foto di Ghirri, scattata ai Bagni Internazionali di Capri, in cui vengono ritratte davanti ai Faraglioni una serie di sdraio colorate. Sono disposte a coppie, sistemate diligentemente le une di fianco alle altre. Giacciono rivolte verso l’infinito, senza alcuna presenza umana, come affacciate a gustarsi il panorama a picco sul mare del golfo di Marina Piccola. Se guardo quella foto attentamente e mi soffermo ad osservare il legno del pontile, il salvagente appollaiato sulla struttura d’acciaio colorata di azzurro della palafitta e il profilo dei tetti delle cabine, mi sembra di vedere il riassunto di tutta un’estate italiana di una volta. Anche se io a Capri, da bambino, non ci sono stato mai.