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Daniel Day-Lewis non recita più ma ha fatto un’eccezione per il film d’esordio di suo figlio  Sono passati otto anni dalla sua ultima volta, ha interrotto il pensionamento per fare il protagonista nell'opera prima del figlio Ronan.
Il rebranding dell’Eurovision per il 70esimo anniversario non sta andando per niente bene Il nuovo logo, soprattutto, non piace né ai fan né ai graphic designer, che già chiedono di tornare alla versione precedente.
L’organizzazione che monitora la sicurezza alimentare nel mondo ha confermato per la prima volta che a Gaza c’è una carestia Secondo l'Integrated Food Security Phase Classification, organizzazione alla quale si affida anche l'Onu, a Gaza la situazione è di Carestia/Catastrofe umanitaria.
Il nuovo trailer del Mostro conferma che la serie di Stefano Sollima è uno dei titoli imperdibili della Mostra del cinema di Venezia Dopo la prima a Venezia sarà disponibile su Netflix a partire dal 22 ottobre.
L’ultimo film della saga di Mission: Impossible è stato trasmesso gratuitamente su YouTube, ma ha potuto “vederlo” solo chi conosce l’alfabeto Morse E il pubblico sembra aver molto apprezzato l'iniziativa, a giudicare dai commenti che si leggono su YouTube.
A Maiorca quest’anno ci sono molti meno turisti a causa delle proteste contro l’overtourism Addirittura il 40 per cento in meno rispetto al 2024, secondo gli allarmatissimi balneari, ristoratori e albergatori locali.
Un sacco di gente è andata a vedere un concerto di Justin Bieber a Las Vegas senza accorgersi che sul palco non c’era lui ma un sosia Ci è voluta una canzone intera (una non eccellente interpretazione di "Sorry") prima che qualcuno cominciasse a sospettare.
È uscito il primo trailer di Good Boy, l’horror raccontato dal punto di vista di un cane Chi il film l'ha già visto dice che è bellissimo e che il protagonista, il cane Indy, meriterebbe un premio per la sua interpretazione.

La setta dei genitori No Vax (e No Mask)

Vogliono per i loro figli scuole all'aria aperta e senza mascherina "per chi non ha paura di ammalarsi". Reportage da un parchetto di Milano centro.

25 Ottobre 2021

Nei giorni autunnali della tosse, alla quale un tempo avremmo risposto con semplice sciroppo di bava di lumaca, mi capita spesso di ritrovarmi al parco fuori scuola con mio figlio che lacrima dal naso, e una mamma milanese scatenata blogger di “scuole parentali”, la quale un anno fa ha addirittura ritirato i figli dalla famigerata scuola senza-zaino, un metodo alternativo che non prevede libri di testo, ma la cui liberalità, a causa dell’obbligo di mascherina, a quanto pare è degenerata sino a rendere l’esperienza equiparabile a un’incarcerazione.

«Ci pensi», mi dice spingendo l’altalena del quartogenito, mentre i suoi piccoli home-schooler fendono lo smog sullo skate, «che i tuoi figli sono chiusi a scuola dietro la mascherina a non respirare?».

Eh già, ho pensato, e sono chiusi lì con la mascherina affinché un giorno i tuoi figli possano tornare a vivere senza mascherina, ma ho taciuto. Non solo perché non ho un temperamento litigioso e perché dirle che questo vaccino non è sperimentale non sarebbe servito. Ho taciuto perché sospettavo che farla parlare sarebbe stato più divertente.

È da anni che lei e un piccolo movimento di genitori suoi seguaci si sono convinti che perfino i metodi alternativi inaridiscano se sperimentati entro i limiti della scuola pubblica italiana, mai abbastanza outdoor, mai abbastanza rispettosa dell’individualità, mai veramente allontanatasi dalla sua (cito) «missione originaria di formare prima soldati, poi operai, e infine burocrati». Insomma, lei e questi altri cani sciolti covavano da anni il progetto di mettere su una scuola parentale all’aria aperta, dove i bambini potessero seguire come canne al vento i loro fugaci interessi, approfondire singoli argomenti, sperimentare a contatto con gli “elementi della natura” e altre espressioni vaghe che ho letto sul suo blog e che cito con altrettanta vaghezza, perché citare puntualmente istanze fumose ha senso tanto quanto assumere l’oscillococcinum.

In ogni caso, col Covid, alcuni genitori che la seguivano sono usciti dal gruppo, perché il suo progetto di scuola libertaria si è trasformato lentamente in quello di una scuola No Vax No Mask. «Dedicata a chi», e queste sono notevolissime parole testuali, «come noi non ha paura di ammalarsi, di toccare gli altri, di morire».

Tanta gente interessata, sbuffa, ma nessuno è disposto a metterci i soldi, a quanto pare. Ho pensato che dovevo consigliarle più frequentazioni con le mamme del centro. Difatti, parlando con un amico impiegato nel sistema delle scuole comunali milanesi, avevo appena scoperto che l’emergenza legata ai genitori che non vogliono mostrare il Green pass per accompagnare i figli all’armadietto è concentrata massimamente nel centro di Milano.

Sono le persone più informate e più privilegiate, diceva il mio contatto – le mamme che non lavorano e hanno tempo per leggere, i padri giornalisti del centro, gli artisti free-lance con appartamenti di famiglia – quelli che credono legittimo avere un’opinione personale e soggettiva su una questione medica come i vaccini. E sai come hanno risolto il problema? Delegando le tate filippine a portare e riprendere i figli a scuola. Perché le loro tate, per lavorare, hanno bisogno del Green-pass; i soldi per i tamponi non li hanno, ma nemmeno la velleità di scolpire il proprio profilo identitario attraverso le opinioni.

Ho parlato con qualche membro della comunità filippina a Milano. Mi hanno raccontato che sono rari i casi di rifiuto del vaccino da parte dei filippini in città. I collaboratori domestici che vegliano silenziosi sui nostri gatti hanno appreso con impotenza dei parenti e dei vicini che morivano a grappoli, senza avere la possibilità di volare a salutarli perché privi del visto. Hanno passato ore in coda al centralino telefonico che prenotava vaccinazioni per immigrati senza tessera sanitaria, ma che in pratica non rispondeva mai a causa delle code. State chiusi in casa, intimavano ai loro genitori in patria, senza assicurazione sanitaria: i soldi ve li mandiamo noi. A nessuno di loro è venuto in mente che, chiedendo il Green-pass, lo Stato italiano li privasse di una libertà fondamentale.

È anticostituzionale, gridava una mamma No mask davanti all’uscita della scuola, mentre una tata straniera, che non aveva in sé l’ardore di pensare una cosa simile, aveva però dimenticato la mascherina e, approfittando del caos generale creato dalla mamma, si avventurava non vista nel corridoio della sezione Aquilotti con una mano sulla bocca per recuperare la figlia della sua datrice di lavoro del centro (chissà se No vax). All’uscita, scoperta e svergognata dal personale ausiliario, confessava di avere rotto la FFP2. Si vergogni, la prossima volta non entra, sbottava l’inserviente con gli occhi lacrimosi a forza di scannerizzare i lasciapassare.

Come sarebbe fatta, la vostra scuola alternativa, chiedo alla mia vicina di altalena mentre lascio mio figlio libero di tossire sul vicino? All’aperto sempre, tranne quando piove forte. Nell’hinterland, dove ci sono tanti spazi verdi. Con un bel capannone per quando piove, semi aperto e spazioso, in modo che anche lì non servano mascherine. Sarebbe frequentata solo da genitori che come noi non hanno paura del virus.

«Tuo marito è d’accordo sull’home-schooling?», le ho chiesto.

Risposta: «Non troppo. Infatti quest’anno li abbiamo iscritti di nuovo alla pubblica.».

«E invece sulla scuola No mask?».

«Su quella è d’accordissimo».

«E come mai, se sono iscritti, vi incontro sempre al parco?».

«Perché li faccio assentare il più possibile. A settembre, avevano iniziato a fare discorsi strani sul chiudere in bagno la maestra così loro possono togliersi le mascherine e scappare. Capisci, si sentono prigionieri, stanno sviluppando una mentalità criminale».

Figurati quelli che non hanno fatto l’home schooling!, penso contrita. Poi riattacco: «e nell’ipotetico “tendone” No mask… non si ammaleranno per gli spifferi?»

«I miei figli hanno passato lo scorso inverno all’aperto, non abbiamo mai acquistato mascherine, non si sono mai ammalati. Sai, mi rifornisco di antiparassitari da un mio contatto brasiliano».

«Prego?»

«Non so se ci hai fatto caso, ma in Amazzonia si sono ammalati meno di Covid. (La interrompo per correggerla? No). Laggiù, c’è la Zika, c’è la Dengue, non hanno mica tempo di pensare al Covid! E poi, sono stati protetti dalle terapie continuative contro i parassiti. Il mio pusher brasiliano riempie intere valigie di antipidocchi e potrebbe spacciarle ai bambini della mia scuola no-vax».

Due in uno, penso, Covid e pidocchi! Le sorrido. Non solo perché lasciandola parlare mi sono effettivamente divertita, ma anche perché non mi devo sentire in colpa a lasciare mio figlio tossire l’anima addosso al suo, proprio come una volta, quando eravamo tutti liberi come in Amazzonia, e non ci chiedevamo se le altalene fossero piantate a meno di un metro.

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