In Europa la situazione è particolarmente grave: l'inquinamento acustico fa più danni del fumo passivo e del piombo.
Qualche giorno fa un’ex studentessa della Scuola Holden ha raccontato nella sua newsletter (e poi in un post Instagram molto condiviso nell’ambiente editoriale) la sua esperienza presso la prestigiosa scuola di scrittura creativa fondata da Alessandro Baricco e quattro suoi amici nel 1994, da lei frequentata dal 2018 al 2021. Il tono della testimonianza è negativo, come si evince dal titolo, “La scuola Holden e la filiera della creatività a pagamento”. Kants Exhibition (questo lo pseudonimo dell’autrice), si dichiara finalmente pronta a parlare della sua pessima esperienza, cosa che finora aveva evitato di fare per paura di «ritorsioni, chiusure, porte sbattute in faccia in un settore dove le porte sono già pochissime e spesso aperte solo a chi ha la chiave giusta».
L’autrice descrive la Scuola Holden come «un piccolo ecosistema autosufficiente» e «un’azienda privata con sede a Torino che propone corsi di storytelling, qualunque cosa questo significhi. Già, perché la parola “storytelling” viene ripetuta ovunque ma nessuno sembra davvero sapere cosa sia, né cosa voglia dire “insegnarlo”». La scuola propone una ricca varietà di corsi, sia online che in presenza, adatti a tutte le età e le esigenze, ma «la punta dell’iceberg», ci spiega l’autrice, «resta “Original”, il biennio da 20.000 euro (10.000 all’anno), che non rilascia alcun titolo legalmente riconosciuto. Solo un attestato di frequenza. Il suo valore nel mondo culturale? Dipende. Per alcuni è uno status symbol, per altri un deterrente. Può aiutarti ad entrare in certi ambienti, ma può anche farti scartare a priori, perché sì, la Holden è anche un pregiudizio».
L’ex studentessa ricorda anche che fino a qualche tempo fa, sul sito ufficiale – nella sezione FAQ – alla domanda “Perché costa così tanto?”, la risposta era più o meno questa: «Il nostro prezzo è competitivo a livello mondiale. Un corso simile, alla Columbia ad esempio, costa almeno 100.000 dollari». Quella della Columbia, però, è una laurea: c’è da sottolineare, e l’autrice lo fa, che dal 2020 la Scuola Holden ha ottenuto l’accreditamento del MIUR, riuscendo a lanciare una triennale equipollente a Lettere Moderne o Scienze Umanistiche. Nonostante questo, scrive Kants Exhibition, studiando alla Holden non si è mai studenti, ma clienti.
Tutto quello che non va, secondo l’ex studentessa
Alcuni dei problemi della scuola, secondo lei: i test d’ingresso poco selettivi, le nebbiose figure del mentore e dei coordinatori, la mancanza di voti o criteri oggettivi nella valutazione. Segue un approfondimento sul contratto «dal tono ben lontano da quello accogliente delle email motivazionali» ma «redatto in legalese scolastico-corporativo» (beh, viene da dire, è un contratto!) e le relative clausole, tra cui la cessione automatica alla scuola del diritto di utilizzare qualsiasi cosa prodotta durante il corso. L’autrice prosegue lamentandosi del clima competitivo, fomentato, secondo lei, proprio dalla vaghezza e dall’arbitrarietà delle valutazioni sul proprio andamento scolastico: una scuola senza voti o esami in cui «l’unico modo per capire se stavi “andando bene” era guardare quanto eri cercato, invitato, inserito, ammirato» e «l’unico metro di giudizio diventavano gli altri».
Una competizione, scrive, «non esplicita, ma onnipresente. Nessuno te lo diceva apertamente, ma lo sentivi addosso. Come l’umidità a luglio». Un luogo in cui «i compagni, i mentori, i tutor, gli ospiti ti valutavano sulla base di impressioni, chiacchiere, carisma. E tu facevi lo stesso». Prima di concludere la sua testimonianza, l’ex studentessa racconta della mancanza di sostegno avuta durante un momento difficile (ricovero ospedaliero durante il Covid) avvenuto mentre lavorava a un podcast narrativo da presentare al fatidico Opening Doors (il grande evento finale in cui gli studenti presentano un loro progetto davanti a produttori, editori o aziende). «Alla richiesta di supporto», scrive, «venivo ignorata o respinta con tono passivo-aggressivo. Alla richiesta di confronto, venivo trattata come un problema. Al tentativo di esprimere il mio disagio, veniva risposto che “nessuno è pagato per fare da balia”». L’ex studentessa dice di aver ricevuto da uno dei suoi coordinatori diverse mail con «risposte tranchant, battute a sfondo personale, negazioni di confronto, giudizi espliciti sulla mia condizione psichica» e di averle allegate in una mail scritta alla direzione per lamentarsi della situazione.
La direttrice ha risposto riversando elegantemente su di lei la responsabilità dell’accaduto : «Se la tua situazione ti ha reso difficile approfittare delle varie occasioni […] hai avuto e hai da parte nostra la massima comprensione». L’ultima parte è dedicata all’annosa questione del lavoro: la Scuola Holden facilita l’ingresso nel mondo del lavoro? In certi casi, ammette l’autrice, sì, perché alcuni ex studenti che conosce hanno poi effettivamente trovato lavoro. Ma, specifica, quelli che fanno «sono lavori che – detta fuori dai denti – avrebbero potuto ottenere anche laureandosi in un’università pubblica, magari in Scienze della Comunicazione o Lettere, e spendendo decisamente meno. Stage, social media management, redazioni, copywriting base. Insomma: tutte attività raggiungibili anche senza un investimento da 20.000 euro».
Una risposta che non ha risposto
“Risposte che non rispondono” è il titolo che Kants Exhibition ha dato alla parte del suo racconto dedicata alla risposta della direttrice: un’espressione che descrive abbastanza bene il video pubblicato dalla Scuola Holden per “rispondere” alla polemica generata dalla sua testimonianza. Polemica in cui si sono formati due schieramenti abbastanza netti: da una parte chi si è unito a lei nel criticare la scuola e le sue dinamiche “tossiche”, dall’altra chi ha voluto far notare che alcune delle cose da lei descritte (il prezzo dei corsi e il loro funzionamento, ad esempio, o il fatto che i lavori a cui permettono di accedere sono semplicemente quelli disponibili nel settore editoriale) sono da mettere in conto, nel senso che un aspirante studente della Scuola Holden, in teoria, ha tutti gli strumenti per valutare se ha intenzione di accollarsele o meno nel momento in cui decide di iscriversi o non iscriversi.
C’è anche chi ha osservato come l’ambiente competitivo da lei descritto, in cui viene premiata la capacità del singolo di affabulare e stringere alleanze e rapporti furbi, mostrandosi carismatico, affidabile e autonomo (mentre viene escluso chi è fragile, ammalato, problematico, caotico), si espanda ben al di fuori della Scuola Holden: tristemente, è il modo in cui funziona anche il mondo fuori, soprattutto quando si parla di professioni creative. Invece di approfondire i vari aspetti sollevati dalla testimonianza dell’ex studentessa, rispondere alle sue “accuse” o partecipare in modo costruttivo alla discussione, magari portando prove a supporto del fatto che il diploma facilita l’ingresso nel mondo del lavoro (e di prove ce ne sono tante), la Scuola Holden ha deciso di pubblicare sui suoi profili Instagram e TikTok un breve video (poi eliminato, ma si può ancora trovare in vari stitch su TikTok, ad esempio qui), in cui si vedono dei genitori sorridenti che rispondono a una sola domanda posta con tono ironico e canzonatorio: «Spesi bene questi 20k?».
Le risposte sono frasi tipo: «Spesi bene, tutto il sesso che hai fatto qui in questi due anni ne è valsa la pena». Oppure: «Sì ne è valsa la pena, ora mio figlio è felice» e banalità del genere. Un ragazzo interpellato indica un signore poco lontano, presumibilmente suo padre, dicendo: «Li ha spesi lui, non io». Il video è stato accolto molto male e ha ricevuto accuse di classismo e di chiusura per il fatto che non contribuisce in alcun modo alla discussione in corso. Ed è abbastanza singolare che, in questo caso, la Scuola Holden, che dovrebbe avere tutti gli strumenti per produrre una comunicazione efficace, ha avuto qualche problemino con lo storytelling.