Cultura | Dal numero

Vogliamo la Luna, di nuovo

L'esplorazione spaziale è ripartita da dove si era interrotta, con nuove missioni e nuovi obiettivi, dopo anni di indifferenza e fallimenti.

di Francesco Longo

L’evolversi delle carte geografiche rappresenta il desiderio di conoscenza dell’umanità. Per millenni le mappe si estendono e si arricchiscono di dettagli. La sete di nuove scoperte mette in moto esploratori e navigatori. Le caravelle navigano verso terre sconosciute, le slitte accompagnano spedizioni verso i poli. La storia della conoscenza è fatta di ascese tragiche su cime maledette, è scritta da equipaggi dispersi per sempre, voli sperimentali risultati fatali, sintomi dello scorbuto a bordo e inverni intrappolati su isole in attesa che i ghiacci si sciolgano. C’è un desiderio di verità in queste imprese, una passione per la vita e le sfide. Ma la storia risuona anche dell’esultanza per ogni terra avvistata all’orizzonte, dei boati di applausi scoppiati nelle sale di controllo: grida e abbracci tra tecnici e ingegneri all’arrivo sulla Luna e per ogni sonda atterrata su Marte. La scienza collabora a esaudire i desideri con invenzione miracolose, segnali radio, motori a scoppio, turbine, sistemi satellitari, sofisticati computer di bordo, satelliti, rover a energia solare. Viaggiare nello spazio interstellare è il punto in cui convergono l’urgenza dell’avventura e la frenesia della tecnologia.

Per millenni sul volto della Luna si sono impressi i sogni dell’umanità. Osservata, ammirata, mitizzata, venerata in ogni angolo del mondo, ha ricordato per gran parte della storia umana quale era la meta ultima, il limite irraggiungibile. La sua luce spingeva a desiderarla, la sua voce era un richiamo irresistibile. Il 20 luglio 1969, con i primi passi umani dell’equipaggio dell’Apollo 11, avviene qualcosa di clamoroso non tanto sulla superficie lunare quanto sulla Terra. Tutto cambia nella percezione della Luna, nella percezione dei limiti umani e della scienza. Se il confine è qualcosa che chiude e delimita, e la frontiera è invece un’apertura verso un altrove, la Luna, con i passi di Neil Armstrong, smette di essere un confine e si trasforma in una porta. Le missioni lunari vanno avanti fino al 1972, quando gli ultimi uomini dell’Apollo 17 restano per tre giorni e tornano sulla Terra. Da allora non va più nessuno. Ormai viene percepita come un luogo di passaggio, di transito.

Dove andare dopo essere stati sulla Luna? Si potrebbe raggiungere Venere, ma le condizioni sono avverse, la superficie rovente, un’atmosfera respingente, quasi impenetrabile. Altrettanto cocente è la superficie di Mercurio. Giove, Saturno, Urano e Nettuno sono gassosi. Marte è il più simile alla Terra. Il pianeta rosso è legato secondo diverse civiltà al fuoco e alla guerra. Nell’immaginario collettivo è la sede di altre forme di vita. Il mito dei marziani nasce alla fine dell’800 con le osservazioni dell’italiano Giovanni Schiaparelli, che vede sulla superficie di Marte canali, che gli appaiono con la forma di linee rette, e molti pensano possano essere opera di intelligenze aliene. Da allora la fantascienza non può più fare a meno di Marte. I marziani invadono cinema, romanzi, fumetti, la prospettiva di incontrarli ha il suo peso nella ricerca scientifica. Le esplorazioni spaziali devo avere una spinta popolare, per sposare le imprese folli e finanziarle i governi devono sentire il sostegno dell’opinione pubblica. La noia – per le missioni lunari o per la mancanza di alieni su Marte – è il più forte ostacolo alle esplorazioni spaziali.

Marte è un pianeta respingente e genera molta frustrazione in chi lo insegue. Si presenta con tempeste di polvere, venti a centosessanta chilometri orari, una temperatura media della superficie di circa 60° gradi sotto lo zero e bombardato da radiazioni in arrivo dallo spazio. Calotte permanenti di ghiaccio, una superficie ricoperta di crateri, canyon e letti asciutti di antichi fiumi, deserti di dune. Il viaggio per arrivare dura dai sette ai nove mesi. La storia della sua esplorazione è segnata da una serie di delusioni. Sonde preziosissime perse per sempre, altre disintegrate nell’atmosfera o direttamente sul pianeta rosso. Figuracce epocali, missioni rimandate, razzi esplosi in volo, sempre tanti problemi, sconforto veicoli a milioni di chilometri di distanza che non rispondono più ai comandi. I primi rover della Nasa, Spirit e Opportunity, rimangono insabbiati in buche nascoste, e servono settimane di lavoro per tirarli fuori.

Quando vengono scattate le prime foto delle missioni Viking della Nasa, Italo Calvino scrive un articolo intitolato “Un deserto in più” in cui si registra tutta l’insoddisfazione per la mancanza di vita sul pianeta. Ma le delusioni proseguono, danno dipendenza. «A tutt’oggi circa la metà delle missioni robotiche inviate verso il pianeta rosso è fallita», scrive Paolo Ferri nel libro del 2023 Le sfide di Marte (Raffaello Cortina editore). I primi ad atterrare saranno anche i primi a scoraggiarsi: i sovietici toccano Marte il 2 dicembre 1971 ma una serie di fallimenti negli anni successivi li farà ritirare dalle esplorazioni. Non tutto ovviamente va male. Alla fine degli anni ‘90 nasce il progetto Mars Express, la prima missione europea verso un altro pianeta. La sonda viene lanciata nel 2003 ed è ancora attiva e funzionante nell’orbita marziana, così come Curiosity, della Nasa, arrivata il 5 agosto 2012. Le sonde scattano foto che fanno il giro del mondo; provano a stanare la vita batteriologica sul fondo di vecchi laghi. Attualmente sulla superficie sono attivi due rover Nasa e uno cinese. La prima missione della Cina, aiutata dall’Esa, atterra sul suolo di Marte al primo tentativo, il 14 maggio 2021.

A volte oltre a problemi tecnologici si abbattono sulle missioni fattori imponderabili come la pandemia o la geopolitica, come nel caso della missione ExoMars. ExoMars viene pensata per far cercare tracce di acqua e di vita al rover Rosalind Franklin, e viene sospesa nel 2022 per l’invasione russa dell’Ucraina che interrompe la collaborazione tra Esa e l’Agenzia spaziale russa. Ora l’obiettivo più complesso è riportare campioni prelevati da Marte sulla Terra per essere analizzati. Il programma si chiama Mars Sample Return, iniziato con l’arrivo su Marte del rover Perseverance della Nasa, se tutto andrà bene finirà nel 2033. Marte ha due piccole lune, Fobos e Deimos, una missione giapponese, Mars Moon Exploration, cercherà di andare su Fobos per raccogliere campioni del suolo, in un lancio previsto per il 2024.

La superficie di Marte è inospitale e polverosa ma è anche un incredibile specchio per osservare cosa si muove, a livello scientifico e politico, sulla Terra. Rispetto alle contese storiche tra Stati Uniti e Unione sovietica, e poi alla presenza dell’Europa, oggi gli occhi sono puntati sulle missioni di Cina, India ed Emirati Arabi. E grandi aspettative vengono riposte sul ruolo dei privati che promettono di far viaggiare su Marte gli esseri umani. Già la Luna aveva mostrato di essere uno specchio, o almeno un prolungamento della Terra. Dall’impresa del 1969 dei tre americani dell’Apollo in poi si assiste a una serie di uomini che piantano bandiere, una retorica legata alla conquista territoriale, la riproposta dello schema colonialista: «L’esplorazione dello spazio e della Luna si è alimentata fino alla saturazione dei miti della frontiera, del pionierismo», scrive Stefano Catucci nel libro Imparare dalla Luna (Quodlibet). La Terra, come ricorda Catucci, quando viene fotografata dallo spazio riesce a prospettare anche una nuova visione dei suoi confini geografici. Vista dalla Luna genera nuove forme di cosmopolitismo: «Di ritorno dal viaggio di Apollo 8, il comandante Frank Borman dichiarò al settimanale Newsweek che guardando la Terra dalla Luna i confini e i caratteri delle nazioni sembravano fondersi tra loro. Si vedeva chiaramente, allora, che «il mondo è uno» e ci si chiedeva «perché diavolo gli uomini non imparino a vivere bene insieme» nella piccola patria che è stata data loro».

Dallo spazio è evidente che i confini terrestri sono un puro artificio, che gli uomini potrebbero vivere in pace, rinunciando a dogane che non esistono, a Stati immaginari, a muri disegnati con il righello. Oggi Marte fa vagheggiare di primi uomini e donne sul suo suolo, la Luna ci illude che un giorno ci saranno basi abitate permanenti e che magari visiteremo lì i primi parchi archeologici della presenza umana nello spazio. Ma con i loro territori aridi e sconfinati, con le loro superfici aspre e desolate, la loro wilderness assoluta, hanno qualcosa da insegnarci che riguarda il nostro pianeta, una lezione sulle barriere che l’umanità si è assegnata.

Questo articolo è tratto da “New World Border – Il nostro posto nel mondo”, il numero di Rivista Studio in edicola. Se volete acquistare una copia oppure abbonarvi, potete farlo qui.