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Il nuovo trend di TikTok sono i video anti immigrazione generati con l’AI Milioni di visualizzazioni per video apertamente razzisti e chiaramente falsi che incolpano i migranti di crimini che non sono mai avvenuti.
In Cina le persone stanno andando a vedere Zootropolis 2 insieme ai loro cani e gatti Alcuni cinema cinesi hanno organizzato proiezioni pet friendly per vedere il film Disney con i propri animali domestici.
Anche stavolta il premio di Designer of the Year l’ha vinto Jonathan Anderson È la terza volta consecutiva, stavolta ha battuto Glenn Martens, Miuccia Prada, Rick Owens, Martin Rose e Willy Chavarria.
L’Oms ha detto che i farmaci come Ozempic dovrebbero essere disponibili per tutti e non solo per chi può permetterseli Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, in futuro bisognerà garantire l'accesso a questi farmaci a chiunque ne abbia bisogno.
Aphex Twin ha caricato a sorpresa su SoundCloud due nuovi brani ispirati a una vacanza in Sicilia Le tracce sono comparse a sorpresa e sarebbero state ispirate da una vacanza italiana del musicista, intristito dalla pioggia autunnale.
Il sindaco di Pesaro si è dovuto scusare perché ha coperto di ghiaccio la statua di Pavarotti per far spazio a una pista di pattinaggio Ma ha pure detto che Pavarotti resterà "congelato" fino a dopo l'Epifania: spostare la statua o rimuovere la pista sarebbe troppo costoso.
Siccome erano alleati nella Seconda guerra mondiale, la Cina vuole che Francia e Regno Unito la sostengano anche adesso nello scontro con il Giappone Indispettita dalle dichiarazioni giapponesi su Taiwan, la diplomazia cinese chiede adesso si appella anche alle vecchie alleanze.
È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop Si è spento a ottantotto anni uno dei drammaturghi inglesi più amati del Novecento, che ha modernizzato Shakespeare al cinema e a teatro.

Perché Mindhunter continua a piacerci

Su Netflix è arrivata la seconda stagione della serie prodotta da David Fincher, tra discussioni sulla criminologia e interviste ai serial killer.

29 Agosto 2019

L’estate di Netflix ci ha riservato due grosse uscite: la terza stagione di Stranger Things e la seconda di Mindhunter. La nuova avventura dei ragazzini di Hawkins sembra essere caduta nel vuoto: tutti ne hanno parlato, certo, ma senza eccessivo entusiasmo. Mindhunter invece non smette di esaltare la sua fetta di appassionati: le ultime 9 puntate, disponibili in streaming dal 16 agosto, hanno raccolto un gradimento di pubblico elevato, cosa che rappresenta un enigma, considerando quanto poco accomodante sia la serie nei confronti degli spettatori. Al contrario di Stranger Things, che può contare sulla linearità di un kid movie a tinte horror spalmato su più puntate, Mindhunter apre una serie di porte su percorsi che non portano da nessuna parte. È come leggere una rivista di cronaca nera: una linea editoriale detta il tipo di notizie selezionate dalla redazione, ma tra l’una e l’altra news non c’è necessariamente un collegamento. Riuscite a pensare a qualcosa di meno drammatico (in senso narrativo) di sfogliare un magazine giallo? Esiste un modo meno efficace di accattivarsi il pubblico, di metterlo a proprio agio?

È significativo che il primo episodio di Mindhunter sia interamente dedicato a creare nuovi presupposti per far ripartire la narrazione. La fine della prima stagione aveva gettato un’ombra sul futuro dell’Unità di Scienza Comportamentale dell’FBI. Nella puntata uno della season 2, la squadra formata da Holden Ford (Jonathan Groff), Bill Tench (Holt McCallany) e Wendy Carr (Anna Torv) torna in azione, con il compito di interrogare noti serial killer in carcere per stilare profili psicologici in grado di aiutare a identificare gli assassini a piede libero. David Fincher, che ha dato la sua impronta allo show, non si preoccupa di stimolare la curiosità dello spettatore con un assaggio di quello che verrà: nei primi 50 minuti il focus è sulle leggi interne, la burocrazia e gli equilibri di potere dell’ente investigativo federale.

Dalla seconda puntata ritroviamo tutto quello a cui Mindhunter ci aveva abituato: le discussioni sul metodo (che è un po’ come mettere in scena un manuale di criminologia, ancora una volta una scelta a basso impatto drammatico), piccoli pezzi di investigazioni, le interviste ai serial killer: Son of Sam, Charles Manson, William Pierce. I dialoghi con gli assassini sono inseriti nella narrazione come parti a sé stanti: per il debole legame che conservano con il resto della storia potrebbero anche essere goduti separatamente, ad esempio in quindici minuti di video caricato su YouTube. Ma la seconda stagione di Mindhunter si arricchisce anche di qualcosa di inedito: un’indagine più consistente, quella sugli omicidi dei bambini avvenuti a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta ad Atlanta, un dramma familiare vissuto in prima persona da Bill Tench e una storia d’amore che ha per protagoniste la dottoressa Carr e una barista.

Chi ha visto i primi dieci episodi sa bene che Mindhunter non offre risposte. Ciascuna di queste storyline viene lasciata cadere nel vuoto o conosce un esito insoddisfacente (perché parziale) per il consumatore di storie scritte con il manuale di sceneggiatura alla mano. Credo che l’incapacità di giungere a conclusioni sia la cifra stilistica più autentica di questa serie. Ed è anche la cifra stilistica del Fincher di Zodiac. All’opposto di Seven, in cui la narrazione precisamente costruita trova un senso nel colpo di scena finale, Zodiac ha la struttura aperta di un’inchiesta giornalistica. La storia non ha un’escalation: ciò che conta è l’aderenza ai fatti, la riproduzione scrupolosa dei metodi della polizia, il piacere di trovarsi di fronte a un quasi-documentario visivamente potentissimo. Perché a tenere insieme un materiale a volte così difforme c’è lo stile gelido di Fincher: composizioni simmetriche, posture rigide, recitazione sottotono, una tara di angoscia posata su tutte le inquadrature.

Resta da sciogliere l’interrogativo sul successo di una serie che non ha nessuna intenzione di essere accomodante. Forse il pubblico è affascinato dai mostri, in quanto si portano dietro una serie di contraddizioni sociali e personali che la collettività, e noi per primi, proviamo a negare e sopprimere. O forse una narrazione così labile e sconclusionata si adatta meglio alla forma dei nostri pensieri: la storia del cinema è piena di capolavori che non arrivano da nessuna parte. O infine potrebbe trattarsi di semplice morbosità, il piacere di sentirsi al sicuro guardando il baratro sull’orlo di un burrone. È la spiegazione più efficace: nonostante siano stati un’ossessione negli anni Novanta, non abbiamo, a quanto pare, chiuso i conti con i serial killer. Mindhunter esiste all’origine di questa fascinazione, quando la categoria di assassino seriale era appena stata formulata (proprio grazie a Holden e soci) e ci si stava rendendo conto dello spessore psicologico di questo tipo di criminali. Da lì a poco, nell’immaginario collettivo, e quindi anche nel cinema, si sarebbe passati dall’impersonalità di Michael Myers (quasi un essere soprannaturale, il male puro, inspiegabile) alla consapevolezza di Hannibal Lecter, che parlando con Jodie Foster, in una celebre scena del Silenzio degli Innocenti, dice: «Che cosa fa quest’uomo che cerchi, Clarice? Uccidere le donne è accidentale. Qual è la principale cosa che fa? Uccidendo che bisogni soddisfa?».

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