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Il dress code del prossimo Met Gala è ispirato da un racconto di J. G. Ballard

Ogni anno, il primo lunedì di maggio, le porte del Metropolitan Museum of Art di New York si aprono a un selezionatissimo gruppo di personaggi appartenenti al mondo della moda, del cinema, dell’arte (e talvolta della politica), in occasione del Met Gala, lo sfarzoso evento di raccolta fondi istituto da Anna Wintour per sostenere il Costume Institute del Met e celebrare l’apertura della mostra che annualmente il museo newyorchese dedica alla moda. Come annunciato da Vogue Us la scorsa settimana, il dress code richiesto agli ospiti dell’evento di quest’anno – che si terrà il prossimo 6 maggio e sarà co-presieduto da Wintour insieme a Zendaya, Jennifer Lopez, Bad Bunny e Chris Hemswort – è “The Garden of Time”, ispirato dall’omonimo racconto breve di J.G. Ballard. 

Pubblicato per la prima volta nel 1962, The Garden of Time (disponibile per intero qui) segue gli ultimi giorni che il Conte Axel condivide con sua moglie in una villa palladiana circondata da un grande giardino in cui crescono «splendidi fiori di cristallo». La serenità della coppia, fatta di letture in biblioteca e passeggiate serali accompagnate da rondò di Mozart suonati al clavicembalo, viene però minacciata dalla comparsa all’orizzonte di «un esercito composto da un vasta e confusa folla di persone» che minacciosamente si avvicina sempre più alle mura della villa. L’unico modo per il conte Axel di ritardare l’arrivo della folla è recidere, uno a uno, i fiori di cristallo del giardino che hanno il potere di portare indietro il tempo. 

Il tema del tempo e del suo scorrere inesorabile è quindi centrale nel racconto di Ballard e perfettamente in linea con la mostra che inaugurerà al Met la prossima primavera. Intitolata Sleeping Beauties: Reawakening Fashion, la retrospettiva, curata da Andrew Bolton, è strutturata intorno ad alcuni abiti storici provenienti dalla collezione permanente del Costume Institute che sono considerati troppo fragili per essere esposti e rimangono quindi “dormienti” negli archivi del museo. Questi capi saranno mostrati agli spettatori – insieme ad altri oggetti di moda contemporanea – attraverso un display innovativo che, come si legge su Vogue Us, sfrutta tecnologie come le video animazioni (Nick Knight, fondatore di Show Studio, ha lavorato al progetto in qualità di consulente creativo), il sound scaping, l’AI e la CGI, per creare installazioni che permettono di fare esperienza degli «aspetti multisensoriali dell’abito». 

Sui i social già si ragiona rispetto a cosa potremmo vedere sul red carpet che rimane, per ovvie ragioni, il momento più atteso di tutta la serata. I commentatori più esigenti sperano che ospiti e rispettivi stylist non si fermino a un’interpretazione letterale del racconto di Ballard, optando per un prevedibile abito a stampa floreale (a questo proposito, i primi meme a comparire sono stati quelli relativi alla famosissima scena dei “Fiori? Per la primavera? Avanguardia pura” del Diavolo veste Prada) ma, anzi, offrano una propria, e inaspettata, interpretazione dei temi di The Garden of Time, magari cavalcando il trend dei capi d’archivio che sembra aver aggiunto il suo picco nell’ultima stagione dei premi hollywoodiani.