Ispirata dall’omonimo romanzo dell’autrice di Pippi Calzelunghe, è stata diretta dal figlio di Hayao Miyazaki, Goro.
Nella Recherche di Proust, la prima versione della madeleine era un pezzo di pane raffermo

Originario di Commercy, un comune della Lorena, nella Francia del nord-est, la madeleine è un dolcetto soffice a forma di conchiglia. Si pensa che risalga al XVIII secolo, quando Luigi XV, assaggiatela allo Chateau de Commercy, se ne innamorò a tal punto che gli diede il nome della pasticcera che l’aveva creata, Madeleine Paulmier. Ma se la madeleine è famosa in tutto il mondo, non è soltanto per la sua bontà: quello delle madeleine è uno degli episodi più conosciuti di una delle opere letterarie più conosciute, À la recherche du Temps Perdu di Marcel Proust. Grazie al famosissimo passaggio della Recherche, il dolce è diventato il simbolo della memoria involontaria e del potere di certi profumi e sapori di risvegliare i ricordi d’infanzia. Come ha sottolineato il Guardian, però, per l’autore la madeleine non è stata una certezza, ma un punto d’arrivo. Prima di andare in estasi per le madeleine, infatti, Proust aveva provato a ricollegarsi alla sua infanzia tramite un biscotto simile a una fetta biscottata, e prima ancora con un pezzo di pane raffermo. Nel 1907, quando stava lavorando al primo volume, Du côté de chez Swann (pubblicato nel 1913), l’io narrante veniva colto dalla famosa epifania intingendo nel tè un pezzo di pain rassis (pane raffermo), nella versione successiva sostituito da pain grillé (un toast) che a sua volta intorno al 1908 era un biscotte, una fetta biscottata.
Quello della trasformazione della madeleine è uno dei tanti processi raccontati dalla mostra che apre alla Biblioteca Nazionale di Parigi in occasione del centenario della morte dello scrittore e ripercorre la genesi del monumentale romanzo in sette volumi. In esposizione più di oggetti, compresi documenti inediti, manoscritti, fotografie, dipinti, oggetti e costumi che tracciano e illustrano il processo creativo di Proust all’epoca in cui scriveva, dalla fine del XIX secolo fino alla sua morte nel 1922.

Pubblicato nel 2000, acclamato, dimenticato, ripubblicato e riscoperto nel 2016, inserito tra i 100 migliori romanzi del XXI secolo dal New York Times, L'ultimo samurai è asceso allo status di classico nonostante una travagliatissima storia editoriale.