Un nuovo modo di andare al cinema si è diffuso negli ultimi anni nelle città: proprio quando si pensava che multisala e piattaforme non avrebbero lasciato spazio, si sono affermati piccoli cinema di quartiere.
Passeggiando a Chinatown, il nuovo quartiere milanese dello street food, sorpasserete confusionarie drogherie asiatiche e sfavillanti negozi dalle etichette bilingui. Poi, arrivati in via Canonica 54, vi fermerete davanti alle luminose vetrine di barattoli e lattine e all’insegna rossa di Kathay, la stessa di quando aprì nel 1989 come alimentari di quartiere. In 30 anni ha cambiato sede, ampliato clientela e offerta – che ora conta 10mila prodotti da mezzo mondo: oltre a Cina, Giappone e Corea, anche Filippine, Medio Oriente, India e America Latina – e si è trasformato nel più fornito food market di Milano, forse d’Italia. I suoi 1.000 metri quadri su due piani offrono frutta e ortaggi freschi; spezie e alimentari; bevande, dai tè agli alcolici, e surgelati.
Vende anche casalinghi come vasellame e statue indù, cosmetici biologici e libri di cucina orientale. È qui che incontrerete – tra lattine di cocco sciroppato, cassette di okra, condimenti dominicani e preparati di soba – le famiglie della nuova Milano, in cerca dei sapori di una casa lontana o appena inventata.

Un nuovo modo di andare al cinema si è diffuso negli ultimi anni nelle città: proprio quando si pensava che multisala e piattaforme non avrebbero lasciato spazio, si sono affermati piccoli cinema di quartiere.

Non è più un semplice gesto culturale: il recente caso Radiohead mostra come il live sia diventato oggetto di culto, tra mercificazione dell’accesso, partecipazione trasformata in status, crisi di panico e di pianto.