Attualità | Ucraina
La fuga senza fine di Katerina Gordeeva
Intervista alla giornalista, emigrata in Lettonia per sfuggire alla repressione putiniana, in occasione dell'uscita italiana di Oltre la soglia del dolore, libro in cui racconta la guerra in 24 interviste a russi e ucraini.
Abbiamo incontrato in un caffè di Monaco la corrispondente di guerra e documentarista russa Katerina Gordeeva, una delle giornaliste indipendenti più famose nel mondo russofono. Gordeeva ha appena pubblicato per 21lettere Oltre la soglia del dolore, una raccolta di ventiquattro voci ucraine e russe che raccontano l’orrore della guerra.
ⓢ Lei è nata a Rostov sul Don (città della Russia meridionale).
Sì, ma la mia famiglia non è di Rostov. Sono stati mandati lì perché erano “nemici dello Stato”. Mio nonno era di origine tedesca ed era cattolico. Negli anni Ottanta, in Unione sovietica, cattolici e ortodossi mi sembravano uguali. A Rostov, nella principale chiesa ortodossa, c’erano dei grandi orologi elettronici al posto della croce. Non mi piacevano per niente e così ho deciso che non sarei stata ortodossa. Invece della chiesa cattolica di Rostov mi piaceva tutto e poi già allora adoravo la poetessa Marina Cvetaeva, che in quegli anni in Unione sovietica era quasi sconosciuta. Mi avevano regalato i suoi diari e lei scriveva che la Chiesa cattolica le sembrava la più aperta all’accoglienza. E a dodici anni ho deciso di diventare cattolica.
ⓢ Adesso vive a Riga con la sua famiglia.
Sì, dal 2014.
ⓢ Perché ha lasciato la Federazione russa?
Non potevo più rimanere per un problema di sicurezza mentale. Ho visto il Paese accettare quello che è successo in Crimea senza reazioni, senza proteste [Gordeeva si riferisce all’occupazione e all’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa nel febbraio-marzo 2014, nda]. In quei giorni, vicino all’asilo che frequentavano i miei figli, c’erano dei festeggiamenti dedicati al ricordo della vittoria del 1945 e i bambini cantavano dei versi che insultavano gli ucraini. Gli anziani applaudivano e tutti erano felici. Io non capivo come si potesse festeggiare l’annessione della Crimea insieme alla vittoria contro la Germania. La seconda guerra mondiale veniva intrecciata con la guerra in Ucraina [Gordeeva si riferisce all’occupazione delle regioni di Donec’k e Luhans’k da parte della Federazione Russa nel marzo del 2014, nda]. Ho immaginato i miei bambini a scuola e ho pensato di non essere così forte per proteggerli dalla propaganda. Ho detto a mio marito che dovevano scappare, che non avrei potuto fare niente quando loro sarebbero tornati da scuola e mi avrebbero detto che la Crimea è russa. Gli ho detto che avrei divorziato, se non fossimo andati via. Lui ha posto la sola condizione di andare in un Paese dove si parlasse russo e allora in Lettonia si parlava ancora russo. Adesso è più difficile, ma sono contenta lo stesso di vivere in Lettonia.
ⓢ Nel film su Eduard Limonov, presentato allo scorso festival di Cannes, il regista russo Kirill Serebrennikov affronta il tema dell’emigrazione. In conferenza stampa, Serebrennikov ha dichiarato che l’emigrazione vissuta da Limonov come esperienza di solitudine e perdita è completamente diversa dalla propria, perché all’estero ha ritrovato tanti amici e ha molte più opportunità di lavoro. Lei come vive l’esperienza dell’emigrazione?
Lo sa che Kirill e io siamo cresciuti nello stesso appartamento? Anche i suoi genitori erano nemici dello Stato. Fino alla morte di Stalin [nel 1953, nda], i nemici dello Stato non potevano fermarsi in una città più di quattro o cinque anni ed erano costretti a lavorare nei cantieri. Erano come un circo, sempre in movimento, un circo fatto di architetti, medici, insegnanti. Dopo la morte di Stalin hanno permesso ai nemici dello Stato di rimanere dov’erano e i miei nonni e i genitori di Kirill si sono fermati a Rostov. Kirill e io non solo siamo cresciuti nello stesso appartamento, ma abbiamo frequentato anche la stessa scuola di matematica. E visto che lui ha nove anni più di me, mia madre mi faceva accompagnare a scuola da lui. E siamo rimasti amici.
ⓢ Torniamo al tema dell’emigrazione. Lei come la vive?
A quindici anni sono andata a Parigi a frequentare un corso di letteratura francese per stranieri. È stata un’esperienza molto dura: per telefonare a madre dovevo aspettare due o tre ore. Non c’era Internet, non esisteva Skype. Adesso è tutto molto facile, persino in Russia con le sue leggi incredibili che tirano su muri tra noi e gli altri Paesi. Prima della pandemia, se avevo un appuntamento di lavoro o dovevo filmare, in due o tre ore ero a Mosca: il volo da Riga dura un’ora e venti minuti. Lavoravo senza troppe angosce per i miei figli, che erano al sicuro in Lettonia. Adesso, invece, per andare a Rostov a trovare mia madre, ci vogliono ventiquattro ore per raggiungere Mosca con tanti mezzi, spesso di fortuna, e altre ventiquattro ore di treno per fino a Rostov.
ⓢ Non esiste un collegamento aereo tra Mosca e Rostov?
Esisteva. Avevamo un bellissimo aeroporto moderno, costruito per i Mondiali di calcio del 2018, ma è stato chiuso il 24 febbraio 2022 [il giorno in cui è cominciata l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Federazione russa, nda].
ⓢ Parliamo di Oltre la soglia del dolore. Con questo libro lei ha avuto il coraggio di guardare dove nessuno vuole guardare. In Italia, sui media abbondano analisi geopolitiche del conflitto in Ucraina (spesso improbabili) e fioriscono esperti (spesso improvvisati) di storia e di cose militari, ma la vita della gente comune non viene raccontata.
Molte persone pensano che la guerra in Ucraina sia scoppiata il 24 febbraio 2022, ma non è vero: la guerra è cominciata molti anni prima, nel 2014. Nel 2015 ero portavoce del primo ospizio per malati terminali di Mosca e ho ricevuto una richiesta di generi di prima necessità da parte di un ospizio di Donec’k. La richiesta era accompagnata da un video che mostra una stanza piena di anziani che gemono e sospirano. Si intravede una finestra aperta, da cui si può osservare e ascoltare uno scontro armato tra giovani che si uccidono tra di loro. In quel momento ho capito che la guerra era cominciata.
ⓢ Com’è nata l’idea di raccogliere queste interviste?
Per tutta la vita ho girato documentari in cui raccontavo storie di persone e ho voluto raccontare storie di gente comune, che ha pagato questa guerra con la vita. Per me era importantissimo incontrare persone che non si interessano di politica, che lavorano, che crescono i figli. Nel mio team c’erano due ucraini e grazie a loro è stato abbastanza semplice trovare soggetti da intervistare dalla parte ucraina. Io poi ho ancora tanti amici a Rostov. Alcuni, che lavorano nella pubblica amministrazione, mi hanno aiutata a entrare nei centri temporanei di raccolta. Sinceramente non potevo credere che qualcuno dall’Ucraina volesse rifugiarsi in Russia e invece erano tanti e li ho intervistati. Con queste interviste abbiamo girato un documentario, Čelovek i vojna [L’essere umano e la guerra, disponibile anche con sottotitoli in italiano, nda]. Dopo averlo pubblicato, ho pensato che mi sarei sentita meglio, più leggera, ma invece non potevo dormire, non riuscivo a parlare e le voci delle persone intervistate mi risuonavano in testa. Ho deciso di trascriverle e se non l’avessi fatto sarei impazzita.
ⓢ Questa reazione emotivamente forte l’ha avuta anche con i documentari girati prima della guerra?
No, mai. Ho girato documentari di guerra in Cecenia, in Afghanistan, in Siria, in Iraq. Ho girato documentari sui bambini malati di cancro. Ho sempre tenuto una distanza tra me e le persone che intervistavo, ma questa guerra mi divide in due. Una parte della mia famiglia vive a Kyiv e l’altra a Rostov, dove parliamo con un accento molto simile a quello della lingua ucraina. Per me era più facile andare a Donec’k che a Mosca, è più facile capire quelli di Donec’k che quelli di Mosca.
ⓢ Nell’intervista del 18 giugno 2021 a Jurij Dud’ (youtuber russo molto seguito), lei definisce il destino di Marina Cvetaeva metafora di quello della Russia dell’inizio del XX secolo. Che cosa hanno in comune il destino di Cvetaeva e quello della Russia di cento anni fa?
Marina veniva da una famiglia ricca e aristocratica. Il padre, Ivan Cvetaev, era un uomo coltissimo e ha fondato il Museo Puškin di Mosca [il primo museo di belle arti in Russia, inaugurato nel 1912, nda]. Marina è diventata una poetessa e frequentava i circoli poetici di Mosca e Pietroburgo, ma la rivoluzione del 1917 ha distrutto tutto e Marina ha perso tutto, anche il marito, il poeta Sergej Efron, che scomparve e per alcuni anni non diede segni di vita. La povertà di Marina nei primi anni dopo la rivoluzione era assoluta. Non aveva da mangiare e fu costretta ad affidare la figlia minore a una casa di misericordia, in cui sperava che sarebbe stata nutrita meglio, invece la bambina morì. Dopo la sua morte, Marina decise di emigrare con la figlia maggiore Ariadna e di cercare Sergej all’estero, visto che era stato ufficiale della Guardia Bianca [cioè aveva combattuto dalla parte dei sostenitori dello zar contro l’Armata rossa nella guerra civile russa vinta da quest’ultima, nda]. Lo trovò a Parigi. Nemmeno all’estero la vita era facile. Per lei la lingua e la cultura russe erano necessarie e non poteva essere felice fuori dalla Russia, ma non voleva tornare in Unione sovietica o, come diceva, non voleva tornare alle consonanti [cioè all’acronimo CCCP, nda]. Il marito divenne un agente dell’Nkvd [il servizio di sicurezza del Ministero degli Interni da cui è nato il KGB; se Marina sapesse o no che Sergej era un agente dell’NKVD non è mai stato chiarito, nda]. Ariadna, questa figlia adorabile e intelligente, senza conoscere veramente l’Unione sovietica [era nata nel 1912, nda], divenne comunista e pro-sovietica. La propaganda lavorava molto intensamente e raccontava quanto incredibilmente bello fosse questo nuovo Paese e quanto incredibilmente felici fossero i suoi abitanti. Ariadna e Sergej decisero di tornare in Unione sovietica e lasciarono Marina libera di scegliere se andare con loro o rimanere a Parigi. Marina, che aveva cercato Sergej per anni e non aveva niente a parte il marito, la figlia e i figlio Gueorgui, nato a Praga, decise di tornare. Sapeva a cosa andava incontro, lo scrisse chiaramente nei suoi diari. Ariadna, che li aveva preceduti, fu subito arrestata e mandata in un gulag, nonostante fosse incinta. Perse il bambino e rimase internata per ventisei anni. Sergej fu arrestato nel 1939 e fucilato nel 1941. Gueorgui fu mandato al fronte e morì in combattimento nei primi giorni di guerra a diciott’anni. Marina s’impiccò il 31 agosto 1941.
ⓢ La scrittrice e poeta russa Marija Stepanova fa notare come durante i tredici anni del regime nazista si era o vittime o carnefici, mentre il regime sovietico è durato così a lungo che la stessa persona era di volta in volta vittima e carnefice. La figura di Sergej esemplifica la compresenza di vittima e carnefice nella stessa persona.
Certamente. Mejerchol’d [Vsevolod Mejerchol’d, importante regista teatrale russo arrestato dall’NKVD e ucciso nel 1940, nda] e il suo assassino sono stati cremati e gettati nella stessa fossa comune nel cimitero Donskoe a Mosca.
ⓢ Questi arresti e queste esecuzioni avvenivano novant’anni fa. Accade anche ai nostri giorni?
Sì. La regista teatrale Ženja Berkovič, mia amica e studentessa di Kirill Serebrennikov, è stata arrestata con accuse futili e assurde. Non si è mai espressa pubblicamente contro Putin. Da più di un anno Ženja, che è madre di due bambine adottate, è in carcere [Berkovič è stata arrestata il 5 maggio 2023 con l’accusa di giustificazione di terrorismo per uno spettacolo teatrale sulle donne russe che sposano online estremisti islamici e vanno a vivere con loro in Siria; insieme a Berkovič è stata arrestata anche l’autrice della pièce, Svetlana Petrijčuk, nda].
ⓢ In questi esempi le persone sono solo vittime. Può fare esempi di persone che sono state carnefici e vittime?
I generali che sono stati arrestati nelle ultime settimane: Timur Ivanov [viceministro della Difesa, nda], Ivan Popov [comandante della 58esima armata attiva in Ucraina, nda], Vadim Šamarin [capo della Direzione principale delle comunicazioni delle Forze Armate, nda] e Jurij Kuznecov [capo del Dipartimento del personale del Ministero della Difesa, nda]. A loro è successo quello che è successo a Tuchačevskij ai tempi di Stalin [Michail Tuchačevskij, Maresciallo dell’Unione sovietica arrestato e giustiziato nel 1937 sulla base di accuse inventate, nda]. Come Stalin, Putin ha paura che possano diventare più forti e più importanti di lui. Per me questo è un incubo. È la maledizione della Russia: tutto quello che vediamo adesso è già successo.
ⓢ Che cosa significa essere inoagent, cioè un agente straniero? (organizzazioni o cittadini non graditi al regime possono essere dichiarati agenti stranieri, cioè considerati impegnati politicamente a favore di Stati stranieri e pesantemente limitati nello svolgimento della loro attività; Gordeeva è stata dichiarata agente straniero)
Tutto si ripete nel nostro Paese. Anni fa ho cercato gli atti del processo contro il mio bisnonno. Nel documento si leggono i capi d’accusa: aver lavorato come agente straniero per Paesi stranieri, aver parlato bene di Paesi stranieri e aver stretto amicizia con persone straniere.
ⓢ Quando è stato processato il suo bisnonno?
Nel 1928. È stato condannato ai lavori forzati nello scavo del Belomorkanal [canale che unisce il Mar Bianco al Baltico, inaugurato nel 1933, nda] e nel 1937 è stato ucciso al poligono di Butovo [località vicino Mosca usata per esecuzioni di massa e sepolture comuni tra la fine degli anni Trenta e il 1953, nda]. Tutto si ripete. Non posso spiegare che cosa significhi essere un agente straniero. Mi sento come se portassi la stella gialla che portava la mia bisnonna a Kyiv durante l’occupazione nazista. Mi crea delle difficoltà nella vita lavorativa, perché non posso filmare in alcuni posti, non posso parlare con i minori di diciotto anni e non posso lavorare per lo Stato, ma la cosa peggiore è che non posso autofinanziarmi con la pubblicità sul mio canale YouTube. Vogliono portarmi alla fame, vogliono che torni da loro a chiedere lavoro.
ⓢ C’è spazio per il giornalismo indipendente nella Federazione russa?
Non c’è spazio, ma ci sono le persone. Non parlo di me, io ho la possibilità di fuggire, ma ci sono persone che vivono e lavorano in Russia. Lavorano bene e sono coraggiose. Non posso dire che non abbiano paura – ogni testa che pensa ha paura – ma hanno deciso di rimanere. Pubblicano su Internet, come fa Novaja Gazeta, e su YouTube. YouTube per noi è molto importante. I giornalisti stranieri mi chiedono sempre perché i canali YouTube dei giornalisti russi hanno milioni di followers. La risposta è che voi avete la TV e la radio e noi YouTube [YouTube è uno dei pochi spazi indipendenti nella Federazione russa, a differenza di TV, radio e stampa rigidamente controllati dal regime, nda].
ⓢ Le leggo un brano da un classico russo, che riconoscerà subito: «Sopra di lui non c’era già più nulla se non il cielo: un cielo alto, non limpido e tuttavia di un’altezza incommensurabile, con grigie nuvole che vi fluttuavano silenziose» (è, nella storica traduzione di Pietro Zvetemerich, una parte del famoso passo di Guerra e pace sul cielo sopra Austerlitz, in cui il principe Andrej, ferito durante la battaglia tra l’esercito russo e quello francese, giace supino e osserva il cielo). Il cielo sopra Austerlitz assomiglia a quello sopra Mariupol’?
No. Non sono stata a Mariupol’, ma le faccio vedere le fotografie che ha fatto un mio amico: sono tutte tombe. Dove c’era la città, adesso ci sono tombe. [Gordeeva mostra dallo smartphone decine di foto di tombe, la maggior parte sono solo una croce, molte sono contrassegnate da numeri e pochissime riportano il nome, nda]. Questo non è un cimitero, sono interi distretti della città che sono diventati cimiteri.
ⓢ Vi sono seppelliti russi e ucraini?
Sì, sono mischiati, ma questo non ha importanza. Erano persone che erano vive prima del 2022 e poi sono morte. Qui non è come ad Austerlitz. Queste sono tombe di civili [Gordeeva ci mostra ancora decine di foto di tombe, nda]. È senza fine, senza fine. Non cancello queste foto, non voglio dimenticare quello che è successo.
In copertina: una foto di Katerina Gordeeva scattata da Varvara Gataullina.