È una nuova "ideologia", nata negli Stati Uniti, tra i Democratici, e che si sta diffondendo adesso anche in Europa (arriverà anche in Italia?). Il messaggio è chiaro: essere buoni e bravi fin qui non ha funzionato, è il caso di iniziare a giocare sporco.
Di recente Matteo Renzi ha attaccato Giorgia Meloni dandole “dell’influencer della politica”, usando il termine come insulto. Negli Stati Uniti gli influencer della politica hanno e hanno avuto un ruolo fondamentale nelle ultime elezioni, sono stati termometri, strumenti di persuasione e specchi, che hanno sfruttato le esacerbate echo chamber create dalla comunicazione social. Considerato l’argomento gigantesco e un termine che può accogliere mille sfaccettature e decine di sottoinsiemi – non era Obama in fondo un influencer di sé stesso, cioè, non ha saputo usare benissimo i social nel 2008? Non era Trump un influencer anti-obamiano, quando twittava sul certificato di nascita, usando la sua immagine televisiva e imprenditoriale? – meglio concentrarsi su quella categoria dell’influencer che nasce come tale, che si costruisce sui social, e che ha una vera influenza.
Lasciamo da parte i meccanismi di influencing tipo la Bestia salviniana, i bot russi o l’ultimo tentativo laburista a Downing Street di infilarsi nei canali dei content creator per raggiungere un pubblico diverso. Negli anni trumpiani abbiamo visto figure indipendenti capaci a suon di post di portare sempre più a destra il partito repubblicano, o di risvegliare quegli americani che non sapevano di poter provare simpatia per il “white power”, o di creare fratture dentro la destra (in particolare su temi di razza, antisemitismo e globalismo). Ben Shapiro, Candace Owens, Scott Presler, Steven Crowder, il defunto Charlie Kirk, e Nick Fuentes, tutte persone che si sono fatte da sole, online. Tutte persone oramai famosissime e diversissime, imprenditori di se stessi. Tutte persone il cui influencing non è solo diretto al loro pubblico – tramite post, ospitate, podcast – ma anche verso il potere, tramite cene e visite a Mar-a-Lago.
Il Presidente ti ascolta
L’influencing politico è spesso a doppia direzione, e questi qui hanno ormai un ruolo di chierici ideologici e propagandistici. Un caso meno noto è quello di Andy Ngo, che spiega bene il processo di influenza. Ngo, figlio di rifugiati vietnamiti, si è impegnato moltissimo sui social, con video editati e didascalie falsate, a costruire una narrazione negativa delle manifestazioni antifasciste in America, basandosi sul fatto che esisterebbe in realtà una mega rete terroristica di afroamericani che vuole distruggere lo status quo. Ha scritto un libro bestseller – Unmasked: Inside Antifa’s Radical Plan to Destroy Democracy – molto discutibile, ed è diventato ospite frequente su Fox News dopo aver detto di esser stato assalito da un gruppo di sinistra. Ngo ha usato un’idea pre-esistente nella destra – Trump è dal 2017 che se la prende con “antifa” – l’ha sovraccaricata facendola diventare il suo campo di expertise, facendola rimbalzare nei circoli magici intorno al Presidente, arrivando così ad avere influenza su di lui.
Laura Loomer, con cui Trump secondo alcuni avrebbe anche un rapporto sessuale strettamente orale, è un altro esempio del genere (perché questa qui che non ha alcun ruolo politico se ne va in giro per la Casa Bianca a suggerire battaglie nell’orecchio del capo come quella degli immigrati dell’Ohio che mangiano cani e gatti?).
Anche il democratico vuole il figlio influencer
L’influencer politico esiste anche nel reame dei democratici, ma per meccanismi insiti al centro sinistra, hanno spesso un rapporto meno diretto con il potere di palazzo e un atteggiamento più da attivisti. In un articolo accademico sul tema, il ricercatore Marco Guglielmo dell’università di Valencia separa in due campi l’attivismo digitale di sinistra: da una parte i microinfluencer che tendono a riportare al proprio pubblico i messaggi che arrivano dai leader politici, replicandoli. Dall’altra i “community organizers” la cui funzione è connettere le istanze di protesta e i movimenti sociali. In un’ottica gramsciana molti leader politici tendono a usare il modello dei microinfluencer in sostituzione del modello del partito di massa.
Esempio di figure di influencer più simile a quelle della destra in Usa è Hasan Piker (il suo è il ventesimo canale con più iscritti su Twitch) nato dalla scuola pioneristica degli Young Turks. Piker ha detto esplicitamente che il suo impegno è nato anche per controbilanciare l’egemonia degli influencer dell’alt right su YouTube. Nel 2020 le deputate dell’ala sinistra del partito, Alexandria Ocasio-Cortez e Ilhan Omar, della Squad, hanno partecipato a un live streaming con Piker giocando ad Among us, per invitare i giovani a votare.
Più che aggravare e portare al limite posizioni ideologiche, spesso queste partnership hanno più una funzione di attivismo, appunto, di invito al voto (anche perché i politici di sinistra per loro natura sono convinti che più persone votino più abbiano chance di vincere). Un altro effetto della sfera social ha a che fare con la timidezza istituzionale e il bon ton tipico del centro-sinistra, atteggiamento che invece non esiste più a destra. Questo ha portato al fenomeno della Dirtbag left, o del Dark Woke, alle ultime elezioni, e all’invito a imparare le nuove regole del gioco più spudorate, dato che l’altra parte le usa da tempo, e anche efficacemente (perché i dem devono sempre essere per benino mentre Trump può postare video AI dove gli aerei rilasciano feci sui manifestanti delle proteste No Kings?).
Pigs and Kings
Basta guardare l’uso impudente dei meme fatta dal governatore della California, Gavin Newsom, che lo ha incoronato non solo primo troll politico, dandogli molta visibilità, ma di pari passo è sempre più visto come unico volto papabile per la competizione del 2028. Questa è l’influenza del metodo degli influencer più che l’effetto diretto dei singoli influencer. Dopo l’insulto di Trump alla giornalista – «quiet piggie!», zitta porcellina – in seguito a una domanda su Epstein, Newsom ha postato subito foto con un maiale con la faccia del Presidente, o che mangia come un maiale al banchetto di Re Carlo, mescolando foto vere e fotomontaggi e immagini generate dall’AI.
Il complesso microcosmo degli influencer politici americani fa pensare però a casa nostra. In Italia c’è una vera influenza degli influencer paragonabile? Abbiamo già citato la Bestia, e l’uso del marketing social dei politici, ma qui la questione è diversa. Esistono figure indipendenti che arrivano ad avere un impatto sull’ideologia dei partiti, sulle istanze programmatiche, sulle scelte elettorali? Esistono persone per cui l’ospitata a 8 e mezzo non è un obiettivo professionale ma uno strumento in più per condividere il proprio vangelo?
I (tristi) casi italiani
Pensiamo alle Sardine di qualche anno fa, ma anche lì era soprattutto community organizing, cioè pianificare una grossa manifestazione. Pensiamo a chi sono oggi definiti influencer: Khaby Lame (video buffi), Chaima Cherbaal (promozione), Chiara Ferragni, per quanto in declino (autopromozione), etc. Per entrare nel reame politico dobbiamo uscire dalle classifiche, e renderci conto che in Italia l’attivismo social resta spesso nella echo chamber, e su temi specifici – ecologia, femminismo, e di recente Gaza – e che viene poi usato come trampolino per arrivare a qualcosa che in Italia è ancora considerato più influente o concreto dei reel: scrivere libri, scrivere sui giornali e sulle riviste, andare in tv, avere ruoli in istituzioni.
Il caso recente delle c.d. femministe che vomitavano nelle loro chat insulti a destra e a manca verso il mondo giornalistico percepito come establishment, mostra un desiderio di diventare anche loro parte di quel mondo. Lo cantavano già I cani: «La camorra è terribile, Saviano è terribile, ma quello che hai fatto è ben più terribile, lo sai». L’obiettivo non sembra mai la battaglia, intercambiabile, ma trovare un lavoro usando la visibilità social.
Vagnoli ha scritto quattro libri tra cui – sic – un romanzo. La collega di chat e di attivismo social Valeria Fonte (due libri, tra cui un romanzo) è arrivata a scrivere, o comunque a pubblicare, dopo la visibilità social. Flavia Carlini, altra figura collegata alla storia della chat, autrice di un pamphlet e “appassionata di informazione”, leggiamo nella bio, dopo i numeri social oltre alla pubblicazione era anche stata nominata vicepresidente dell’Intergruppo Parlamentare per i Diritti Fondamentali della Persona. La cosa dovrebbe consolarci, perché vuol dire che in Italia i libri e le commissioni e la tv sono ancora più importanti di crearsi un proprio brand imprenditoriale solo online.
Il prossimo Presidente del Cile sarà uno tra José Antonio Kast, candidato molto di destra del Partito repubblicano, e Jeannette Jara del Partido Comunista de Chile.
