Il prodigio è il romanzo giusto per un mondo in cerca di nuovi profeti

Un volto appare nel cielo. Nessuno se lo sa spiegare, se non nuovi profeti di speranza o distruzione. Un libro che mostra il caos che, da un momento all'altro, potrebbe spalancarsi.

26 Ottobre 2025

Un pensiero che non facciamo abbastanza spesso, forse perché spalancherebbe abissi troppo profondi di angoscia, è più o meno il seguente: quanto poco ci vuole perché tutto sprofondi nel caos? Tutto che cosa? Tutto. Questa società, questi diritti, questi doveri, questa normalità, anche questa scala morale che, con tutte le talvolta raccapriccianti differenze, condividiamo come esseri umani in tutto il mondo. Fabrizio Sinisi, drammaturgo e scrittore che arriva adesso al suo primo romanzo, proprio con Il prodigio si pone questa domanda, e si risponde anche. La risposta dice: ci vuole pochissimo, quasi niente.

Una letteratura del sovrannaturale

In un panorama letterario ancora ricco di memorialistica e di saghe “al femminile” (come scriveva su L’Espresso a fine settembre Loredana Lipperini, attirando poi una sterile polemica di Francesca Giannone), Sinisi osa l’invenzione più coraggiosa, quella del sovrannaturale. E quindi il prodigio in questione è l’apparizione, sotto forma di strana nuvola indelebile, di un enorme volto nel cielo sopra una città decisamente simile a Milano. Questo volto, inizialmente, non fa niente. Si limita a stare lì, resistere al vento, vigilare sulla vita sotto di lui. Quelli che fanno tutti sono, invece, gli uomini sotto al cielo.

Attirati dalla promessa di questa apparizione messianica, centinaia di migliaia di esseri umani si riversano nella città scelta dal Volto. La politica e le religioni ufficiali sono statiche, sgomente: la prima non è pronta, naturalmente, a governare un fenomeno così squisitamente extraterrestre, senza che abbia ricadute a breve termine; le seconde, al contrario, non erano pronte a un potenziale messia, alla gestione pratica del trascendente. E si affannano allora a predicare pazienza, a non saltare a conclusioni affrettate: al contrario, tutto ciò che i novelli fedeli non vedono l’ora di fare. La discesa dei pellegrini non può che portare un caos impossibile da controllare. Colpa della massa, della mera questione numerica, ma anche dei numerosi proto-profeti che si auto-incoronano leader di masse. Dal lato politico, c’è un generale passionale e pensionato munito di gilet arancione, fin troppo simile al noto Pappalardo, che invita all’insurrezione contro una classe di governanti che nascondono al popolo i misteriosi esperimenti che, naturalmente, hanno portato alla nascita del fenomeno celeste. Dal lato spirituale, c’è un predicatore transessuale, transumanista e transpartitico che dispensa messaggi di buon cuore e rivoluzione gentile, mobilitando migliaia di giovani e teenager in catteddrali sostenibili realizzate con l’eredità di famiglia.

Il ricordo del lockdown

Fin qui, il caos è ancora una questione materica, niente di nuovo rispetto a rivoluzioni o colpi di stato già visti nel Novecento. Ma il volto, così prodigioso, porta con sé anche miracoli veri e propri, oppure l’ossessione del miracolo – Sinisi è bravo a non chiarirlo mai del tutto. Quindi: tumori che spariscono, arti amputati che ricrescono, ciechi che vedono (grande classico), con tutta una meticolosa documentazione che finisce nei Reel, nei programmi televisivi, a dare scandalo e speranza. C’è tanto Malaparte, qui: vediamo storpi trasformati in oracoli, tremendi rituali sanguinari, arti magiche che non capiamo davvero se reali o fittizie, e pensiamo alla sirena servita al grande banchetto per il Generale Cork e Mrs Flat, a Napoli, ne La pelle. Mi sono accorto che non ho mai parlato del protagonista: si chiama Don Luca, è un prete di quarant’anni abituato alle apparizioni mediatiche, dalla fede tiepida e disincantata in Dio e nel mondo. Ma se non l’ho nominato è perché non è lui che porta avanti il motore narrativo, ma il caos, la curiosità di vedere quanto il mondo possa rovesciarsi a causa dell’imperturbabile faccione disegnato nel cielo. Che questo sia o meno un difetto, non so dirlo con certezza. Se lo è (è probabile che lo sia), il materasso descrittivo lo assorbe così bene che ce lo si dimentica.

Oltre a un riferimento ovvio e impossibile da ignorare come Cecità di Saramago, mi sembra che Sinisi abbia il merito di voler parlare, attraverso il prodigio del Volto e tutto ciò che da quell’apparizione nasce, dell’esperienza della pandemia di Covid. Sono profondamente convinto che quei mesi – il lockdown, e la trasformazione profonda che quell’anno e mezzo ha lasciato nel Dna della società – non siano stati ancora del tutto elaborati né digeriti, e gli strascichi andranno invece avanti a manifestarsi per anni, se non decenni. Il senso messianico di un mondo che finisce e dell’inizio di un’era nuova, fatta per resa dei conti, è qualcosa che nel marzo 2020 abbiamo accarezzato. C’è chi ha tentato delle rivolte, chi ci ha visto una punizione divina, chi un complotto di certo oscure élite e chi ha sperato in un’Era dell’Acquario. Chi è morto. La tenuta delle regole sociali, nel 2020 e 2021, alla fine c’è stata. Per un pelo, per un miracolo, a pensarci con il senno di poi. Forse Il prodigio, per questo, è uno dei primi romanzi che ci rimanda apertamente a quel periodo.

Un mondo sempre più religioso, a modo suo

Un altro centro che fa nella contemporaneità Sinisi è la ricerca della parte più spiriturale di questa società. In questi anni, che sono ancora gli anni del post-Covid – non guardatemi così, non sono ossessionato – forse a causa delle guerre sempre più violente, in Palestina e in Sudan e in Ucraina, forse a causa di un generale senso di medievalizzazione della società democratica, di un rallentamento dell’arcobaleno del progresso in favore di un sistema decisamente più oligarchico, le religioni stanno riguadagnando spazio. Non solo le filosofie orientali («che da noi nascondono soltanto vuoti di pensiero», certo), ma anche le grandi religioni monoteiste. Il cristianesimo stesso, anzi il cattolicesimo, sta guadagnando spazio addirittura negli Stati Uniti, utilizzato come strumento politico da un’ala del movimento Maga con in testa il vicepresidente J. D. Vance. Il New York Times, a settembre 2025, ha lanciato Believing, una nuova newsletter settimanale dedicata alle religioni e alla spiritualità. Alla fine dello stesso mese, sui principali social network (specialmente TikTok), migliaia di fanatici cristiani attendevano “The Rapture”, una specie di fine del mondo che, alla fine, non lo è stata, ma tanto è bastata per farla diventare virale. Le politiche identitarie delle nazioni, le guerre, i flussi migratori sempre più massicci, le sfide etiche che come società ci troviamo ad affrontare sempre di più, come l’eutanasia libera, parlano tutte alla nostra parte spirituale.

Tutto questo, Sinisi lo condensa in un libro estremamente corto. Anche se le immagini evocate ricordano avvenimenti storici che sarebbero tipici di grandi romanzi storici – la rivolta di Münster, per dirne una – Il prodigio vuole fare qualcosa di molto più semplice: creare una domanda senza voler dare una risposta. Non vuole spiegare, né essere un bel quadro pieno di dettagli. E quindi, cosa? Ispirare invece, accennare piuttosto, e certo che è una funzione letteraria anche il solo accennare, in questa epoca di memorialistica e in cui tutto il personale va fotografato e archiviato e narrato per filo e per segno. Sinisi invece ci fa accorgere che l’immaginazione funziona anche nel secolo dei San Tommaso e delle fotografie a qualsiasi cosa, sfidandoci a inventare una società che si dimentica di tutto e crolla senza tentare di difendersi nel caos. Dice: “Fate voi” anche per quanto riguarda il prodigio vero e proprio, il volto da cui tutto parte, dimenticato in cielo come un oggetto di scena, senza descriverlo nemmeno. E alla fine ce la facciamo, ci accorgiamo, di immaginare siamo ancora capaci.

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