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19:59 giovedì 27 novembre 2025
Un esperimento sulla metro di Milano ha dimostrato che le persone sono più disponibili a cedere il posto agli anziani se nel vagone è presente un uomo vestito da Batman Non è uno scherzo ma una vera ricerca dell'Università Cattolica, le cui conclusioni sono già state ribattezzate "effetto Batman".
Secondo una ricerca dell’università di Cambridge l’adolescenza non finisce a 18 anni ma dura fino ai 30 e oltre Secondo nuove analisi neuroscientifiche, la piena maturità cerebrale degli adulti arriva molto dopo la maggiore età.
I fratelli Duffer hanno spiegato come settare la tv per guardare al meglio l’ultima stagione di Stranger Things I creatori della serie hanno invitato i fan a disattivare tutte le “funzioni spazzatura” delle moderne tv che compromettono l'estetica anni '80 di Stranger Things.
L’incendio di Hong Kong potrebbe essere stato causato dalle tradizionali impalcature in bambù usate nell’edilizia della città Le vittime accertate sono 55, ci sono molti dispersi e feriti gravi. Sembra che il rogo sia stato accelerato dal bambù usato nei lavori di ristrutturazione.
L’Onu ha definito Gaza «un abisso» e ha detto che ci vorranno almeno 70 miliardi per ricostruirla Quasi sicuramente questa cifra non sarà sufficiente e in ogni caso ci vorranno decenni per ricostruire la Striscia.
Anche quest’anno in Russia è uscito il calendario ufficiale di Vladimir Putin Anche nel 2026 i russi potranno lasciarsi ispirare dalle foto e dalle riflessioni del loro presidente, contenute nel suo calendario
Sarkozy è stato in carcere solo 20 giorni ma dall’esperienza è riuscito comunque a trarre un memoir di 216 pagine Il libro dell’ex presidente francese sulla sua carcerazione lampo a La Santé ha già trovato un editore e verrà presto pubblicato.
Nel primo teaser del nuovo Scrubs c’è la reunion di (quasi) tutto il cast originale J.D., Turk, Elliot e anche il dottor Cox al Sacro cuore dopo 15 anni, invecchiati e alle prese con una nuova generazione di medici. Ma c'è una grave assenza che i fan stanno già sottolineando.

Sfatare il mito del borgo italiano

Nel suo Paesi Invisibili l'antropologa Anna Rizzo fa un racconto arrabbiato e sincero dei paesi italiani: al di là del marketing, restano posti difficili da capire e da vivere, dai quali molti fuggono e alcuni, con fatica, ritornano.

20 Luglio 2022

I borghi italiani sono diventati in questi anni una forma di lessico. «Restanza, terre dell’osso, alte, rugose, dell’abbandono, comunità resilienti, paesologia, southworking, abitanti temporanei». L’elenco viene da I paesi invisibili – Manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d’Italia (Il Saggiatore). Lo ha scritto un’antropologa, Anna Rizzo, è un libro che è tante cose diverse: è davvero un «manifesto sentimentale», come da sottotitolo, ma è anche un canto della rabbia. È la storia di come il marketing dell’abbandono a scopi turistici abbia digerito decenni di letteratura, poesia, antropologia, ricerca sociale, per creare un prodotto seducente costruito sul senso di colpa. Sono gli stessi anni che Rizzo ha passato seduta sul divano delle vecchie di paese a guardare la messa in tv o a spalare letame con i pastori o a farsi curare dai veterinari perché qui non arrivano nemmeno i medici. Gli stessi paesi abbandonati per decenni, remoti, fatiscenti, vuoti, sono stati brevemente trasformati in borghi start-up, la materia di cui è fatta la tv della domenica, poi sono arrivati i webinar e i bandi di riattivazione. E infine noi.

Le aree interne italiane sono un’espressione geografica complicata: le possiamo chiamare paesi, o borghi, o davvero «terre dell’osso», come faceva il meridionalista Manlio Rossi-Doria per contrapporle a quelle della polpa, perché nei paesi siamo quasi sempre in alta collina e in montagna, su spunzoni ossuti di roccia, dove l’orografia conta quanto il dialetto. Ho conosciuto per la prima volta Anna Rizzo mentre mi trovavo in uno dei tanti paesi italiani che resistono alla dissolvenza: Fontecchio, bellissimo borgo terremotato in provincia dell’Aquila. Ero in missione per un giornale americano, al quale avevo venduto la seduzione da esportazione degli italian hamlet che provano a rinascere, usando l’arte, il turismo, l’agricoltura, le residenze d’artista, i co-working, gli alberghi diffusi. Una persona mi disse: forse dovresti leggere i post di Anna Rizzo. Chi è? Un’antropologa arrabbiata. Li lessi e le mandai una mail. Ci parlammo: fu la mia pillola rossa per uscire dall’intossicazione da hype. Mi parlò di misoginia, di omofobia, di xenofobia, di comunità che sanno essere feroci, di come l’accademia che si occupa di aree interne sia composta da feudi di maschi anziani che romanticizzano le loro seconde case. Era una voce diversa, che non sapevo come inserire nel mio racconto, perché era un racconto completamente diverso. Ero effettivamente parte del problema.

Era l’estate del 2020. Mi disse che stava scrivendo un libro, che lì dentro ci sarebbe stato tutto, ci ha messo due anni, nel tempo del marketing è come aver scollinato un’era geologica. Nell’estate in cui ero in viaggio per la rivista americana, i borghi erano zeitgeist: il turismo di prossimità, l’aria buona, il distanziamento fatto esperienza salubre. Uscivamo dal lockdown e questi posti che in lockdown vivono da sempre per colpa della geografia ci sembravano massima espressione della libertà. Stefano Boeri aveva fatto un’intervista su Repubblica nel marzo 2020 in cui aveva detto: dovremmo tutti vivere nei borghi. È come quando Chiara Ferragni dice: dovremmo essere tutti femministi. Tre mesi dopo andammo tutti in Abruzzo, in Calabria, in Molise. Fu entusiasmante. Quanto è bella l’Italia vicina, aveva ragione Linea verde, e io ingrato che per tutti quegli anni avevo cambiato canale ogni volta che vedevo il giornalista con la coppola assaggiare formaggi e toccare bestiame. Oggi è l’opposto, siamo disposti ad affrontare qualunque periplo aeroportuale pur di non dover visitare un altro paese da venti abitanti sull’Appennino, pur di non dover comprare un altro panino da una cooperativa di comunità, un affettato narrativo che ci racconta una storia di animali trattati bene e giovani che tornano e ruderi che sconfiggono il corso del tempo. Oggi vanno di nuovo tutti a Mykonos, Santorini, Ibiza, Lapponia, Islanda, se proprio devo passare una serata con artisti residenti a bere alcolici, che almeno siano i Sigur Ros. Ci siamo innamorati e poi ci siamo stancati, come sempre succede quando non capiamo cosa di preciso stavamo amando.

I paesi invisibili ci mostra quello che non avevamo capito: cosa sono i borghi. Terre suggestive e difficili, dove effettivamente ci sono italiani giovani che decidono di tornare, e dove il prezzo che pagano, quando lo fanno, è altissimo. Rizzo racconta di un webinar sullo smart working dove una delle immagini usate era quella di «una ragazza seduta su uno strapiombo affacciato su una vallata con un portatile sulle ginocchia». Di recente ho passato un bellissimo weekend a Razzuolo, in Mugello, per un festival su questo tema: ho potuto mandare l’ultimo messaggio su WhatsApp dalla stazione ferroviaria di Ronta il venerdì, sono tornato ad avere un legame col mondo esterno la domenica, se avessero sparato a Mattarella lo avrei scoperto due giorni dopo, l’ultima esperienza di disconnessione così totale l’avevo avuta in Sahara Occidentale, altro che laptop sullo strapiombo. Di recente l’Uncem, l’Unione dei comuni montani, ha protestato (invano) perché ai paesi invisibili hanno tolto pure Italia 1, Canale 5 e Rete 4. Rizzo racconta come chi davvero affronta il ritorno all’area interna italiana in modo non turistico deve essere disposto a negoziare quello che noi non negozieremmo mai: l’assistenza sanitaria, un’ambulanza che arrivi in meno di un’ora, delle strade praticabili anche a gennaio, il diritto al trasporto pubblico, a una vita culturale, a un liceo per i figli che non sia a cinquanta chilometri di distanza.

È una storia sentimentale, come promette il titolo, e non neutrale: alcuni paesi moriranno, scrive Rizzo, e non ci si può fare niente, e i giovani vanno via, e non possono essere colpevolizzati, devono andare via. Altri paesi rinascono. Non per gli alberghi diffusi, che sono una forma di feticismo della povertà, perché vendono a centinaia di euro a notte la stessa esperienza che cinquant’anni fa era miseria. Non con i community manager o gli attivatori o i procacciatori di bandi, ma per un faticoso lavoro che si concede quello che il marketing non ha per costituzione: il tempo. Un lavoro partito prima della pandemia e dell’ondata di hype e che prosegue anche ora che quell’ondata sta piano piano scemando. I borghi non si salveranno per pietà, o cattiva coscienza, per lo sforzo di un manipolo di filantropi nostalgici illuminati. Questa piccola storia di colonialismo interno ha prodotto tanti bandi, ha mosso risorse, ha creato professioni effimere e dato vita a un turismo distratto che guarda già altrove. I borghi che si rivitalizzeranno, ci riusciranno per la forza interna che sapranno trovare. «I paesi non hanno discendenti», scrive l’antropologa, «perché le nuove generazioni fortunatamente sono già altro. Quando sentiamo dire che i paesi stanno vivendo una rivoluzione, in realtà stiamo assistendo alla rottura di una tradizione». Una storia molto più difficile da raccontare e da vendere, meno addomesticabile, ma anche più interessante, con più futuro davanti.

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