Assieme ad altre aziende dell'intrattenimento giapponese, lo Studio ha inviato una lettera a OpenAI in cui accusa quest'ultima di violare il diritto d'autore.
Possiamo finalmente dire addio ai Captcha
«Non sono un robot»: l’autocertificazione di umanità tramite click su quadratino è diventata una delle procedure più consuete e quotidiane di internet, da quando – era il 2013 – Google ha aggiornato reCaptcha, il software in grado di difendere i siti web dai bot tipicamente impegnati in operazioni di spam seriale, di cui era proprietario fin dal 2009. Oggi, quattro anni dopo, arriva Invisibile Captcha, un nuovo sistema capace di distinguere umani da bot in automatico analizzando l’attività degli utenti, senza che essi facciano nulla di particolare.

In un video promozionale, Google spiega: «Per potenziare questi avanzamenti tecnologici c’è bisogno di un misto di intelligenza artificiale e analisi avanzata dei rischi per rispondere a nuove minacce». In realtà, il ritorno dei Captcha per i piani di business di Google non è così immediato: quando l’ha acquisito inizialmente il suo obiettivo era digitalizzare più agevolmente la sua sezione Books, ma ora perché continua a svilupparlo? Shuman Ghosemajumder, un ex impiegato di Big G intervistato da Popular Science, ha in parte risposto dichiarando: «Google generalmente crede che ciò che è buono per internet, è buono per Google».
Per quanto riguarda il funzionamento del nuovo Invisible Captcha, è opportuno notare che, quando gli utenti sono loggati nei loro account Google, la società di Mountain View registra la loro attività: in questo modo può stabilire con efficacia che si tratta di esseri umani intenti a cercare informazioni o servizi, non bot impegnati a spammare vendite di viagra in offerta speciale.
Immagine in evidenza e nel testo via Gizmodo
Etsy Witches, witchtok, gli antri su Instagram e le fattucchiere di Facebook. Per quanto maldestre e talvolta in malafede, le streghe online ci dicono come sta cambiando il nostro rapporto con internet e con la realtà.
Il caso SocialMediaGirls scoppiato in seguito alla denuncia della giornalista Francesca Barra è solo l'ultimo di una ormai lunga serie di scandali simili. Tutti prova del fatto che se non regolamentata, la tecnologia può solo fare danni.