Giorgio Forattini, un qualunquista a Repubblica

Muore a 94 anni il vignettista più riconosciuto e riconoscibile nella storia dei giornali italiani, dalla gobba di Andreotti al pisellino di Spadolini.

05 Novembre 2025

Andavo a Roma a trovare i parenti e finivo sempre a Piazza Navona. Negli anni ’70 c’erano ancora le macchine parcheggiate e i caffè costavano come adesso, ma non mancavano mai due o tre disegnatori che facevano le caricature. Me ne regalarono una. I miei genitori sostenevano che aveva colto dei tratti del mio viso e anche della mia personalità, tratti buoni, intendevano. Me la tenni in camera per molto tempo e mi rispecchiavo, finché uno più grande che stava nel mio palazzo e di professione faceva l’extraparlamentare, venne a casa per un motivo che non ricordo e finì in camera mia. Guardò la mia caricatura e disse un po’ sdegnato: “chi te la fatta, Forattini?”.

Forattini, avrei scoperto in terza media, faceva le caricature dei politici. Nonostante fossi ai Salesiani, alcuni professori compravano Repubblica e quindi girava pure Satyricon, il supplemento satirico di Repubblica. Anche noi lo sfogliavamo.
Forattini era amato e odiato, a seconda di quale caricatura faceva. Andreotti gobbo e malefico, per esempio, andava benissimo. Bene si posizionava Spadolini, paffutello col pisello piccolo che faceva ridere gli adulti, e qualcuno spiegava perché era raffigurato così, insomma c’era un sottotesto che non si poteva dire. Le persone dicevano che Forattini con pochi tratti, tipici del caricaturista, che poi in fondo è un’artista – vedi Fellini che come caricaturista è nato – insomma Forattini riusciva a esprime anche l’anima del politico. Però, per esempio, sempre quei professori dei Salesiani che leggevano Satyricon, pur insegnando ai Salesiani, ed erano iscritti al Pci, quella famosa vignetta, con Berlinguer in vestaglia seduto in poltrona, annoiato dei cori dei metalmeccanici, quella vignetta non l’avevano gradita. Esprimeva – dicevano – tutti i limiti di Forattini che appunto è un caricaturista senza però avere il genio di Fellini che con le facce, lui sì, che ci lavora. Ma Forattini no, fa satira facile, appoggiandosi – così sostenevano – al peggior Lombroso. Che poi stranamente questi professori quando ci prendevano in giro si concentravano proprio sui nostri corpi, sulle nostre facce, come se rivalutassero improvvisamente Lombroso, e forse chissà, pure Forattini.

Piaceva e non piaceva Forattini. Anche per altri motivi. Per alcuni non aveva il curriculum giusto: non era di sinistra e in più era in odore di petrolio. Da parte di padre, Mario, ex direttore dell’Agip, che nel 1953 si mise in proprio creando una florida azienda con sede a Napoli in via Mergellina. Giorgio non aveva fatto come il fratello, Lucio che si era dedicato alla carriera diplomatica, ma anzi, aveva sospeso gli studi di architettura e si era buttato sulla benzina: a 18 anni faceva il rappresentante per la stessa azienda petrolifera con base a Roma. Ci rimase per sette anni, anche se di tanto in tanto si dedicava a una sua passione, il teatro. A teatro conobbe sua moglie, grande amore che durò il tempo di mettere al mondo due figli, Paola nel 1955 e Fabio nel 1959. Infatti, classica crisi del settimo anno, si separarono. Forattini riuscì a tenere con sé i figli, ma nel 1968 Licia glieli portò via, vincendo una dura battaglia legale – forse anche per questo la sua prima vignetta in prima pagina su Paese Sera, nel 1974, dopo il no al referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio,  promosso dall’allora segretario della Democrazia cristiana Amintore  Fanfani, rappresentava una bottiglia di champagne con un tappo che saltava: il tappo era Fanfani che era molto basso.

Nel frattempo cominciò a disegnare e se la cavava molto bene, si divertiva a fare ritratti e caricature dei compagni di lavoro. Poi grazie a una sua fidanzata danese Lene De Fine Licht, conobbe Luigi Melega (anche sua moglie era danese), uno dei giornalisti di punta di Panorama. Melega gli propose una collaborazione con Panorama. Gli disse: «Prova a fare delle vignette politiche». Forattini non le aveva mai fatte ma si impegnò molto: ogni notte, per tante notti, andava nelle edicole di via Veneto a comprare Le Monde, Le Figaro. Si informava, provava, metabolizzava. Debuttò su Panorama raffigurando Craxi di spalle che appende un pesce d’aprile sulla gobba di Andreotti. Poi passò a Paese Sera e appunto esordì con la vignette di Fanfani a forma di tappo.

Da allora è tutto in discesa, passa a Repubblica, dirige, a partire dal 1978 Satyricon (Bucchi e Vauro, Vincino e Staino, Altan e Giuliano, Ellekappa e Giannelli sono tutti passati da Satyricon). Nel 1982 va alla Stampa (con vignette in prima pagina), poi ripassa nel 1984 a Repubblica e ci resta fino al 2000, poi va via. Il motivo dell’abbandono? Mancata solidarietà del giornale, a cominciare dal direttore Ezio Mauro (con l’eccezione di due telefonate, disse in un’intervista, da Barbara Palombelli e Antonio Polito). D’Alema, qualche mese prima, da presidente del Consiglio, l’aveva querelato, chiedendogli un risarcimento da 3 miliardi di lire, per la vignetta in cui Forattini l’aveva raffigurato intento a cancellare col bianchetto alcuni nomi dalla lista Mitrokhin. Di quella vicenda disse: «D’Alema ritirò poi la querela solo dopo che me ne ero andato da Repubblica: ormai aveva raggiunto il suo obiettivo». E nel 2017 disse «I peggiori nemici della satira sono i comunisti e gli islamici. Sono uguali: non tollerano chi la pensa diversamente, se non sei dalla loro parte sei un nemico da perseguitare».

Dopo l’addio a Repubblica fu riaccolto alla Stampa con un contratto per cinque anni a un miliardo di lire l’anno, per una vignetta al giorno, per passare poi nel 2006 al Giornale, e da lì, nel 2008, al Quotidiano Nazionale. Da allora, come lui stesso ha ammesso, diventò un «precario».

Piaceva e non piaceva, Forattini. Piaceva perché a volte senza parole diceva tutto, come accadeva nei vecchi e dimenticati film muti, non piaceva perché – dicevano – alla fine non prendeva posizione, si limitava a mettere in caricatura tutti e tutti assomigliavano a tutti. Senza differenze non ci sono valori, e la satira è anche pensiero, riflessione sui delicati momenti e contingenze politiche, differenze, scelte, battaglie. Difatti, guardate Andreotti cosa dice di Forattini: «È stato Forattini a inventarmi!». Mica Andreotti l’ha querelato, anzi. Quindi Forattini non morde, anzi, una sua vignetta te la tieni a casa. Quando sarebbero arrivati i comici del Bagaglino che facevano l’imitazione dei politici, tutti a dire, eccoli qui, figli di Forattini, tutti di destra. Però quando fu il tempo della satira più raffinata, considerata intelligente, allora tutti a dire: eccoli, figli del miglior Forattini che ha fatto scuola a sinistra. Lui intanto nel bailamme di commenti disse ad Andrea Di Consoli: «Ma sai chi è l’unico che è riuscito a farmi condannare? È il giudice Caselli. Ah, la magistratura italiana!». Poi disse anche (non ricordo in che intervista): Se avessi la forza di andare al seggio, voterei per Berlusconi. Ha cambiato l’Italia e ho di lui un ricordo simpatico. Anche se poi la collaborazione col Giornale finì male: per una vignetta su Berlusconi, troppo osé. Disse anche di avere un solo rimorso, con il povero Raul Gardini: «Quando morì disegnai una nave che affondava e il suo teschio sulla spiaggia con in bocca un garofano. Ecco, a lui dovrei delle scuse»

La caricatura io ce l’ho ancora, ogni tanto me la guardo, a volte penso che rappresenti com’ero negli anni ’70, se ne avessi fatta un ogni decennio, chissà, potrei avere più chiara l’immagine di me e poi penso il contrario: potrei avere solo un’immagine semplificata che non coglie la complessità del caos della vita. Così è per Forattini, semplicità contro complessità. Se sfogliate la lunga serie di libri di Forattini dai Quattro anni di storia italiana del 1977, all’ultimo del 2017 l’Abbecedario della politica (stampato dalla casa editrice fiorentina Clichy), potete vedere scorrere questi 50 anni e passa di storia italiana, tra battute riscurite e altre che non fanno ridere, qualunquiste si sarebbe detto un tempo. Come in un film dalla trama semplice vedrete passare i grigi e timorati quanto diabolici democristiani, dagli stivai neri di Craxi, alla strategia di De Alema, al crociato Bossi, con la spada insanguinata. Risentirete urla, litigi, umori politici. Tutto molto semplice ed efficace, ma si resta col dubbio che la satira sia altro, una questione più complessa. Chissà. Intanto Forattini che di satira se ne intendeva eccome, disse che l’unico limite che deve avere la satira è il codice penale, e forse questo concetto racchiude sia la semplicità sia la complessità.

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