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Erik Kessels, il fotografo che non fa le foto

Nell’epoca della produzione sfrenata di immagini e del loro consumo vorace, il vecchio album di famiglia riletto creativamente diventa opera d’arte. E ci porta a riflettere sul senso dei ricordi.

di Maria Luisa Tagariello

Quanti di noi stampano le proprie fotografie? Come ci comportiamo di fronte a telefoni, computer e cloud straripanti di istantanee scattate senza troppo discernimento? Che ne sarà di tutte queste immagini? Chi aspirasse all’immortalità promessa dall’arte, potrebbe provare a rivolgersi a Erik Kessels. C’è chi lo ha fatto, in effetti, come ha raccontato l’artista olandese in occasione di un incontro alla Fondazione Mast di Bologna. Una signora in età avanzata si è presentata di recente alla sua porta con le fotografie di una vita intera in due sacchetti di plastica: fanne ciò che vuoi, gli ha detto, usale per il tuo lavoro, io non sarò in giro ancora per molto. Kessels le ha accettate, che altro avrebbe potuto fare, constatandone poi la banalità, perché banali e noiosi sono la maggior parte degli album di famiglia… Con alcune straordinarie eccezioni.

La fotografia familiare, il diario visivo che, reinterpretato e ricollocato, acquisisce un significato non più privato ma collettivo, è al centro dell’opera di Erik Kessels, il fotografo senza macchina fotografica che a Palazzo Magnani a Bologna, nell’ambito di Foto/Industria, espone Carlo e Luciana. Protagonisti del diciassettesimo capitolo del progetto a lungo termine “In Almost Every Picture”, Carlo e Luciana sono una coppia di coniugi di Vignola, cittadina in provincia di Modena, che ha viaggiato in tutto il mondo fotografandosi instancabilmente.

Il progetto prende avvio con alcune immagini in bianco e nero scattate in viaggio dai due giovani sposi. Segue un salto temporale di quarant’anni in cui i due non viaggiano e non fotografano più. È solo più tardi, oltre le pagine bianche (nel libro Kessels ne lascia 40, rappresentate visivamente nella mostra da altrettanti pannelli immacolati), simbolo di quegli anni non documentati, che capiamo davvero come Carlo e Luciana esploravano il mondo. Il bianco e nero diventa colore, assistiamo al passare del tempo. Insieme i due creano una curiosa combinazione: mai insieme eppure uniti, separati nelle fotografie ma sempre ritratti nella stessa posa e con il medesimo sfondo. Secondo Kessels la ragione di tale scelta non era artistica, ma puramente pratica: marito e moglie viaggiavano da soli, non avevano figli. Carlo fotografava Luciana, Luciana fotografava Carlo.

Un’unica fotografia li ritrae insieme giovani e sorridenti, inserita come bonus track sotto forma di cartolina in vinile nell’edizione speciale di In almost every picture #17. Sul vinile è registrato un file audio in cui Carlo racconta i viaggi insieme alla moglie, breve testimonianza raccolta dal vicino di casa e fotografo Sergio Smerieri che insieme a Kessels firma il libro. Luciana è morta 6 anni fa, Carlo due anni dopo, non hanno fatto in tempo a vedere le loro foto di viaggio trasformate in opera d’arte. «Mentre era ancora in vita, Carlo era orgoglioso che Smerieri gli facesse notare che insieme alla moglie aveva realizzato una bellissima serie nel corso degli anni. Purtroppo non ha visto il libro né la mostra, ma sono convinto che entrambi sarebbero stati felici di vedersi in questo contesto», commenta l’artista.

Raccoglitore ossessivo, collezionista di fotografie altrui, Kessels possiede 15.000 album di famiglia, scovati in tutto il mondo, che conserva in un magazzino dedicato. Come artista e curatore ha pubblicato oltre cento libri legati alla pratica della riappropriazione fotografica, affermandosi come figura di riferimento nel campo della found photography. «La mia pratica è quella di togliere le immagini “invisibili e dimenticate” dal loro contesto originale e mostrarle in uno nuovo. In questo modo le persone si fermeranno davanti a queste immagini e le guarderanno in modo rinnovato». Il lavoro di Kessels è innanzitutto una riflessione sulla fotografia stessa. A partire da una domanda: perché fotografiamo? Per tenere traccia del nostro passato, per proiettarci nel futuro, per raccontare delle storie. In un’epoca in cui consumiamo immagini con una voracità mai sperimentata prima, l’artista pone l’attenzione su alcune immagini scelte, per assicurarsi che vengano guardate.

Le sue raccolte sono frutto di un lavoro di catalogazione, della ricerca di un filo narrativo, dove spesso è il senso dell’umorismo a guidare le scelte. È il caso di A Pictorial History of an Empty Chair, una raccolta di immagini con sedia vuota (lasciata vuota, immaginiamo, da chi si è alzato per scattare la foto), e di Mother Nature, donne di qualunque epoca e latitudine ritratte in mezzo alla natura. È il caso anche di In almost every picture #13, sull’errore più comune nella storia della fotografia: il dito davanti all’obiettivo, e di In almost every picture #15, raccolta di fotografie da cui qualcuno è stato cancellato – un ex, un parente, un amico che si voleva dimenticare?

Ci sono poi altri esempi di album di coppia, come Fred che fotografa Valerie in acqua con i vestiti addosso. O Noud che nel 1965 amava ritrarre la moglie Ruby in pose erotiche sul divano di casa. Il bisogno di Carlo e Luciana, come di tutti gli inconsapevoli autori delle immagini raccolte nei libri di Kessels, era di registrare istanti per sé, in una dimensione privata, contraria a quella che oggi è la nostra dipendenza dalla dimensione pubblica della condivisione.

Fotografare è come immagazzinare il mondo, rifletteva Susan Sontag nel 1973, è il desiderio di possederlo. In quest’ottica tutte le fotografie sono da salvare. E nel lavoro di editor che quotidianamente siamo chiamati a fare sui nostri scatti (quali tenere, quali buttare?) non possiamo che essere indulgenti. E accumulare. Magari sperando che in futuro la nostra opera trovi un curatore migliore di noi, in grado di cogliere una storia universale nella nostra vicenda particolare. O semplicemente augurandoci che i nostri figli salvino qualcosa, e lo appendano alle loro pareti. C’è ancora tempo per visitare la mostra di Erik Kessels, fino al 26 novembre, insieme alle altre 11 di Foto/Industria, la Biennale di fotografia di Fondazione Mast il cui tema quest’anno è il gioco. E che cos’era in fondo, quello di Carlo e Luciana, se non un gioco?