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L’Onu ha definito Gaza «un abisso» e ha detto che ci vorranno almeno 70 miliardi per ricostruirla Quasi sicuramente questa cifra non sarà sufficiente e in ogni caso ci vorranno decenni per ricostruire la Striscia.
Anche quest’anno in Russia è uscito il calendario ufficiale di Vladimir Putin Anche nel 2026 i russi potranno lasciarsi ispirare dalle foto e dalle riflessioni del loro presidente, contenute nel suo calendario
Sarkozy è stato in carcere solo 20 giorni ma dall’esperienza è riuscito comunque a trarre un memoir di 216 pagine Il libro dell’ex presidente francese sulla sua carcerazione lampo a La Santé ha già trovato un editore e verrà presto pubblicato.
Nel primo teaser del nuovo Scrubs c’è la reunion di (quasi) tutto il cast originale J.D., Turk, Elliot e anche il dottor Cox al Sacro cuore dopo 15 anni, invecchiati e alle prese con una nuova generazione di medici. Ma c'è una grave assenza che i fan stanno già sottolineando.
Anche il Vaticano ha recensito entusiasticamente il nuovo album di Rosalía José Tolentino de Mendonça, prefetto per il Dicastero per la Cultura e l’educazione del Vaticano, ha definito Lux «una risposta a un bisogno profondo nella cultura contemporanea».
La nuova funzione di geolocalizzazione di X si sta rivelando un serio problema per i politici Non è facile spiegare come mai i più entusiasti sostenitori di Donald Trump postino dall'India o dalla Nigeria, per esempio.
Gli Oasis hanno detto che adesso che il reunion tour è finito si prenderanno una pausa di riflessione Ovviamente, sono già partite le indiscrezioni: si separano di nuovo? Faranno un nuovo tour? Stanno lavorando a un nuovo album?
Il Grande Museo Egizio di Giza ha appena aperto ma ha già un grave problema di overtourism A nulla è servito il limite di 20 mila biglietti disponibili al giorno: i turisti sono già troppi e il Museo adesso deve trovare una soluzione.

La madre ideale, come dovrebbe essere?

Il nuovo libro di Sheila Heti sul non avere figli è un'altra prova di come le scrittrici stanno provando a ridisegnare la maternità.

27 Marzo 2019

Parlando di Maternità di Sheila Heti (Sellerio, traduzione di Martina Testa), Sally Rooney sulla London Review of Books nota come la maggior parte delle recensioni del libro contenga frammenti di esperienze private: «Perché reagire a un romanzo sul non avere figli con resoconti personali sulle prove della maternità?», si chiede. «È forse perché le donne senza figli rappresentano una minaccia per le madri?». Rooney spiega subito dopo che non si tratta della risposta giusta. Quella giusta è anche la più ovvia: che il personale è sempre politico. Ma la domanda è utile a chiarire una cosa importante: Maternità, insieme con gli altri libri usciti in questi anni sullo stesso tema (come Puoi dire addio al sonno di Rachel Cusk, Mondadori, 2001, o Gli argonauti di Maggie Nelson, Il saggiatore, 2015), esiste anche per cancellare l’immagine di una squadra di donne con figli pronta a sfidare quella di donne senza figli. «Non potremmo essere unite dal tentativo di essere sincere con noi stesse?» ha detto Heti in un’intervista al Financial Times a proposito del libro. E poi: «Ho cercato di non scrivere nulla che potesse aumentare il divario tra madri e non madri, lo trovo orribile, distruttivo e non necessario», ha dichiarato alla Paris Review.

In Maternità, che assomiglia a Resoconto di Rachel Cusk contaminato dall’intimità pornografica di Lena Dunham (ha reso politica la propria isterectomia su Instagram), c’è una voce narrante sovrapponibile a Heti – è scrittrice, ha la sua età, abita a Toronto – che vive e intanto riflette sul significato esistenziale dell’avere un figlio, si domanda se lo desidera o meno (è quasi certa di no), racconta della propria madre che si era presa un’appartamento lontano dalla famiglia per studiare; della nonna che era sopravvissuta ai campi di sterminio per morire a cinquant’anni di cancro; di lontane amiche di scuola che oggi hanno quattro figli e le suggeriscono, nel dubbio, di provare a farne uno. Le speculazioni filosofiche e i riferimenti a storia e mitologia si mescolano alle fasi del ciclo mestruale, ai sogni, ai lanci di tre monete ispirati all’I Ching e ai biglietti dei biscotti della fortuna. Risaltano le immagini dell’amore e del sesso con il compagno Miles: «Nell’attimo in cui l’ho visto la prima volta, tutto intorno si è fatto silenzio», scrive Heti. «La prima volta che abbiamo scopato, ho capito che il mio corpo si era sempre trattenuto, anche leggermente, di fronte agli altri uomini. Ma quando siamo nudi vicini, il mio corpo non rifiuta nessuna parte del suo». Spiccano i paragrafi sulla scrittura: «La relazione che hai con una forza che ti risulta più misteriosa di te stessa. Personalmente, credo sia stata la relazione più importante della mia vita».

Ma se possiamo parlare e leggere e scrivere, quando ci va, anche solo di sesso e lavoro, da dove arriva la necessità di tematizzare proprio la maternità nei romanzi? «I nuovi libri sulla maternità sono un contro-canone», sostiene Lauren Elkin su The Paris Review. «Si oppongono al canone letterario che non si è mai interessato alla vita interiore delle madri, agli scaffali di manualistica sull’educazione dei figli, all’egemonia strisciante della maternità perfettina da social media». Sulla manualistica non sono d’accordo (Aiuto, mio figlio ha ingoiato un bottone mi ha salvato la vita diverse volte), sui social nemmeno (se trovi solo perfettinismo è perché segui le persone sbagliate).

Resta il problema dei classici moderni. In Madame Bovary c’è la maternità indifferente di Emma accostata a quella misera della balia (la casa con il rivolo di acqua sporca, cipolle appese alle finestre, stracci), che compare con un neonato attaccato al seno: «Con l’altra mano tirava un povero marmocchietto macilento dal viso scrofoloso», e non si permette di desiderare nulla se non un po’ di caffè e acquavite. A pagina sette di Anna Karenina Oblonskij pensa che «non gli rimordeva affatto, a lui trentaquattrenne di bell’aspetto e di facili passioni, di non essere più innamorato della moglie, della madre dei suoi sette figli – cinque vivi e due morti…». Ne cito due tra quelli che ho letto durante l’adolescenza (quasi tutti maschi), come anche Il grande Gatsby, in cui Daisy partorisce sotto anestesia mentre il marito è da qualche parte a letto con un’altra, e poi si sveglia e piange scoprendo di avere avuto una bambina. È a questa idea di maternità, inevitabile ma marginale rispetto alle Vere Trame (che, non a caso, da qualche tempo scricchiolano anche loro), che rispondono i libri come quello di Heti: «Il problema più femminile di tutti è quello di non concedersi abbastanza spazio o tempo, o vederseli negare (…). Io invece voglio prendermi tutto lo spazio che posso, anche nel tempo, stiracchiarmi e passeggiare senza meta, e concedermi porzioni enormi di tempo in cui non fare nulla», scrive a un certo punto nel libro.

A volerci trovare qualcosa che non va, si può dire che questa nuova letteratura sulla maternità non parla esattamente per tutte e tutti: è troppo bianca, colta, ricca, privilegiata, vaccinata, ben nutrita, con un albero genealogico documentato. Ma è comunque un inizio: «So che ci sono milioni di esperienze di maternità e di non maternità, alla fine ho deciso di scrivere di una di queste», ha raccontato Heti. «Volevo tornare nella mia stanza, da sola, e ascoltare la mia propria voce».

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