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Quentin Tarantino ha detto che Paul Dano è un attore scarso e i colleghi di Paul Dano hanno detto che Quentin Tarantino farebbe meglio a starsene zitto Tarantino lo ha accusato di aver “rovinato” Il petroliere, definendolo «un tipo debole e poco interessante».
Già quattro Paesi hanno annunciato il boicottaggio dell’Eurovision 2026 dopo la conferma della partecipazione di Israele Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno annunciato la loro intenzione di boicottare questa edizione se davvero a Israele verrà permesso di partecipare.
Pantone è stata accusata di sostenere il suprematismo bianco perché ha scelto per la prima volta il bianco come colore dell’anno L'azienda ha spiegato che dietro la scelta non c'è nessuna intenzione politica né sociale, ma ormai è troppo tardi, la polemica è esplosa.
L’acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix sta mandando nel panico tutta l’industria dell’intrattenimento La geografia del cinema e dalla tv mondiale cambierà per sempre, dopo questo accordo da 83 miliardi di dollari.
Lily Allen distribuirà il suo nuovo album anche in delle chiavette usb a forma di plug anale Un riferimento a "Pussy Palace", canzone più chiacchierata di West End Girl, in cui racconta come ha scoperto i tradimenti dell'ex marito, l'attore David Harbour.
Dario Vitale lascia Versace, appena nove mesi dopo esserne diventato direttore creativo Era stato nominato chief creative officer del brand, appena acquisito dal gruppo Prada, a marzo di quest'anno.
L’unica tappa italiana del tour di Rosalìa sarà a Milano, il 25 marzo Sono uscite le date del tour di Lux: partirà il 16 marzo 2026 da Lione e si chiuderà il 3 settembre a Portorico.
Secondo una ricerca, l’inasprimento delle leggi sull’immigrazione in Europa sta facendo aumentare e arricchire i trafficanti di essere umani Il Mixed Migration Centre ha pubblicato un ampio studio in cui dimostra che le politiche anti immigrazione stanno solo aggravando il problema che avrebbero dovuto risolvere.

Dan Graham, l’artista che amava le riviste

Morto il 19 febbraio a 79 anni, era conosciuto soprattutto per le architetture di ferro e vetro riflettente, ma le sue prime opere erano molto diverse.

21 Febbraio 2022

Definire Dan Graham, morto il 19 febbraio a settantanove anni, un “artista concettuale” è molto riduttivo: non solo perché è stato un artista ibrido e inclassificabile, ma perché è stato anche scrittore, saggista, curatore, gallerista, fotografo, performer, critico d’arte e di musica (era un appassionato di punk rock, come dimostra il suo video degli anni ’80 “Rock My Religion“, e si dice abbia giocato un ruolo chiave nella formazione dei Sonic Youth). Con l’eccezione delle architetture specchianti, che non a caso sono proprio il suo lavoro più famoso, quello per cui tutti in questi giorni stanno esclamando: «aaah, ma sì, ho capito chi è», Graham si è sempre impegnato a sperimentare con l’arte senza preoccuparsi di risultare riconoscibile, tanto che seguendo lo svilupparsi delle sue opere nel corso degli anni sembra di osservare la carriera di 7 artisti diversi.

Dan Graham, Untitled from Two-Way Mirror / Hedge Projects, 2004, particolare (MoMA)

Nato nel 1942 a Urbana, in Illinois, Graham cresce in New Jersey, nel paesaggio suburbano che diventerà il protagonista della sua serie di fotografie. Si trasferisce a New York per fare lo scrittore ma diventa un gallerista: nel 1964 organizza alla John Daniels Gallery la prima mostra dell’amico Sol LeWitt, poi continua con Donald Judd, Dan Flavin e Robert Smithson. Nei suoi primi esperimenti artistici, ispirati all’amore per i magazine e le riviste pop, progetta la pubblicazione di interventi concettuali su riviste di ampia diffusione, negli spazi solitamente occupati dalla pubblicità.

Una delle sue opere più belle fa parte di questo ciclo ed è stata spesso fraintesa proprio a causa, diremmo oggi, di tutti i suoi “layers”. Homes for America (1966-67) nasce come una serie di fotografie di casette a schiera, presentate con uno slide show che sottolineava le somiglianze tra il sistema ripetitivo degli insediamenti residenziali suburbani del Dopoguerra e l’approccio seriale di artisti minimalisti come Donald Judd. Rimodellata come un’opera destinata alla pubblicazione su rivista, la serie era intesa come la parodia di un articolo, ma anche come un rifiuto dei limiti del formato “white cube” della galleria d’arte in favore dell’ubiquità e della disponibilità dei periodici mensili. Nelle sue fotografie ignorava intenzionalmente alcune tecniche e usava stampe a colori standard ed economiche per avvicinarsi il più possibile allo stile dei giornalisti fotografici del tempo. Alla fine non riuscì a pubblicare Homes for America su Esquire, come avrebbe voluto, e dovette ripiegare su Arts Magazine. Negli anni Sessanta, Graham vedeva nel mezzo della rivista pop la forma ideale per la presentazione delle sue opere, che si trovavano al di fuori delle istituzioni artistiche consolidate.

Dan Graham, Homes for America, 1966-67 © 2022 Dan Graham (Gift of Herman J. Daled, MoMA)

Negli anni Settanta passa alla performance e al video, offrendo allo spettatore un ruolo attivo nello spazio e nel tempo dell’opera, utilizzando ad esempio le telecamere a circuito chiuso. È un altro aspetto importante della sua ricerca, che esplora la percezione del corpo in relazione con l’ambiente, sia esterno che interno. Da questa riflessione nascono i famosi Padiglioni, concepiti a partire dai primi Ottanta. Strutture in ferro e vetro nelle quali è possibile entrare e/o specchiarsi (o nelle quali si rispecchia l’ambiente naturale o architettonico circostante) che amplificano e complicano la relazione dell’osservatore con se stesso e con lo spazio che lo circonda.

Dan Graham, Figurative, 1965. Printed matter. Collection, Herbert, Gent, Belgium (MoMA)

Nel 2009, durante una passeggiata nella sua stessa retrospettiva al Whitney Museum, e parlando con il critico d’arte Peter Scott, che avrebbe genialmente intitolato l’articolo nato da questa conversazione “Grahamrama“, Dan Graham cercava di prendere le distanze dal tipo di arte concettuale a cui continuava e continua ad essere associato (quella dei padiglioni), ricordando con grande affetto le sue “opere delle riviste”, come la riproduzione di una striscia di carta da una calcolatrice o un registratore di cassa nelle pagine di una rivista di moda, che chiamò “Figurative” (uscì su Harper’s Bazaar del marzo 1968, tra la pubblicità di un Tampax e quella di un reggiseno Torpedo), un modo per giocare con le aspettative dei lettori nei confronti delle immagini commerciali: «Amo i magazine perché funzionano come le canzoni pop, sono usa e getta e si occupano di piaceri momentanei».  Un concetto che ribadisce anche in questa bellissima intervista pubblicata nel 2015 su Flaunt Magazine, completamente dedicata alle sue opere sulle riviste.

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