Support Your Local Ristorante: Ciciarà

Intervista a Michele Mette, chef del nuovo ristorante che ha aperto a gennaio nei pressi dell'Università Statale.

di Studio
27 Novembre 2020

Milano è una città di ristoranti: forse non è l’anima più antica del capoluogo lombardo, ma certamente una di quelle, negli ultimi anni, che hanno definito la “nuova Milano”. Per questo il Dpcm che “chiude” la città a partire dalle 18 ha colpito in modo grave l’economia locale, e insieme la sua vita sociale. Rivista Studio, in partnership con la piattaforma di ordini di ristoranti di qualità Sergio, vuole raccontare alcune di queste realtà che ancora operano con i propri servizi di delivery: cercando di non pensare troppo al lockdown, ma parlando di ospitalità, piatti caldi, e dell’arte di stare bene a tavola. Il motto di Sergio è infatti “Support your local ristorante”: la start-up è nata proprio per permettere ai ristoranti fine-dining di Milano di riunirsi su un’unica piattaforma, utilizzando servizi di consegna indipendenti o promuovendo il take-away, scegliendo di seguire la bussola della qualità e della sostenibilità in ogni momento della filiera.

Dopo la prima puntata dedicata a Immorale, giovanissimo e già cult nel cuore di Porta Venezia e del gay district, è il turno di un altro ristorante molto molto giovane: Ciciarà. Nella zona splendida, anche se poco trafficata, dell’Università Statale, ha aperto in un momento a dir poco sfortunato, il 27 gennaio 2020. Eppure, nonostante il poco tempo a disposizione e… la pandemia, la cucina di Ciciarà è riuscita a farsi conoscere da un affezionato gruppo di fedelissimi. In milanese , “ciciarà” vuol dire chiacchierare. È una descrizione sintetica ed efficace di cosa si trova nel ristorante. In cucina gli chef sono due: Michele Mette e Aronne Giorgetti. A rispondere, invece, sono in tre, con l’aggiunta del direttore Daniele Zaccari.

Qual è la carta d’identità di Ciciarà?
Siamo un ristorante di cucina italiana, una cucina in cui mettiamo al centro il prodotto per poi costruirci intorno un piatto, e non il contrario. Parte tutto da lì: andiamo personalmente a scegliere le materie prime, e se troviamo qualcosa che ci piace studiamo le sue caratteristiche e cerchiamo di esaltarle. Un concetto centrale del nostro lavoro è produrre il minor scarto possibile: per quanto riguarda la carne, ad esempio, compriamo solo animali interi. Magari certe porzioni sono limitate, ma sappiamo da dove arrivano: la limitatezza è un valore. Tutti gli animali con cui lavoriamo vengono da piccoli allevatori, allevati secondo il sistema “grass fed”, liberi di brucare e pascolare. La cosa bella è avere un rapporto diretto con chi alleva gli animali, che andiamo a trovare, e conosciamo di persona.

Nel primo lockdown fu la panificazione. Per questa seconda manche, quale ricetta casalinga consigli?
Quando ero a casa mi facevo grandi giri nei negozietti di zona, andavo al macellaio per vedere se c’erano cose particolari, uova d’oca, testicoli di manzo… Per sostenere i piccoli negozi dei quartieri, e avendo il tempo si trovano delle chicche che nella grande distribuzione non ci sono. Verdure che non si conoscono, anche, per provare a cucinarle in diversi modi.

Qual è il dettaglio, in una cena, a cui si pensa generalmente poco ma che è in realtà, per te, fondamentale?
Che la gente prenda l’antipasto, il primo, il secondo e il dolce. Sarebbe sempre meglio, nell’esperienza della cena. Ma più probabilmente, lo spazio. Che ogni tavolo abbia un suo spazio vitale in cui riesci a parlare, senza essere fuori dal ristorante, e senza tavoli ammassati. È una cosa che succede poco. Dal mio punto di vista, poi, quando vedi una comanda riesci a renderti conto più o meno di che tipo di cliente ha ordinato. E quindi ci sono delle comande che ti danno particolare soddisfazione perché vedi che sono dei clienti curiosi, quelli che vanno a cercare le cose più particolari e lasciano perdere i piatti più comfort.

Qual è il piatto a cui sei più affezionato, tra quelli che proponi nel tuo menù?
In generale l’agnello: abbiamo da quest’anno iniziato un rapporto con un allevatore che si chiama Massimo Balduzzi, e a seconda della stagione lo accompagniamo con verdura diverse. Siamo partiti con agnello e cavolfiore, è diventato agnello e melanzane, adesso abbiamo agnello, ceci e funghi.

Support locale: qual è il tuo rapporto con il quartiere del tuo ristorante?
Questo posto fa riferimento alla stessa società che ha aperto la Colibrì, libreria e caffè letterario, e nel quartiere siamo molto conosciuti. È un quartiere particolare, che ha una vita anomala: essendo in centro si popola durante la settimana di persone che lavorano, mentre la sera e nel weekend il tipo di lavoro cambia, perché non è una zona di passaggio. Qualche anno fa abbiamo costituito un’associazione che si chiama Laghetto District a cui si sono legate delle attività di questa zona, e il proposito è quello di rivitalizzare il quartiere, renderlo più frequentato la sera, per dargli nuova linfa vitale.

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