Cultura | Editoria
La riscoperta di Anita Klinz, la donna che ridisegnò l’editoria italiana
La vita e la carriera della prima art director italiana, famosa soprattutto per il suo lavoro con Mondadori e Il Saggiatore, sono state raccolte in un volume, Ostinata bellezza, che è anche un racconto del libro come oggetto del desiderio, tra arte e vendibilità.
Esiste una parola giapponese, tsundoku, che unisce la pratica della lettura con quella dell’ammucchiare le cose e lasciarle lì, per un dopo indefinito. Vuol dire accumulare e impilare libri che, forse, prima o poi si leggeranno, ma intanto meglio averli a portata di mano, in salotto o in studio. Girare per le bancarelle, i mercatini, il Libraccio e le librerie antiquarie, non è solo ottimo per l’esercizio della pratica nipponica, ma è anche il modo ideale per studiare, in modo random, la grafica, studiare le copertine dei libri prodotti in Italia nell’ultimo secolo. Nell’era estetizzante in cui viviamo, dove l’instagrammabilità di una copertina diventa un valore aggiunto nel possedere l’oggetto libro, i book-designer riacquistano una nuova luce, e si acquistano doppioni di libri solo per la loro veste grafica.
Anita Klinz, nome bellissimo da personaggio di un fumetto degli anni ’70, di un’eroina crepaxiana o bonelliana, è stata una delle responsabili della bellezza superficiale dei libri che hanno riempito le case, e adesso riempiono i tavoli dei bouquinistes e le vetrine e, a volte, il nostro sofisticato feed social. Riconosciamo le copertine di Bob Noorda per Vallecchi e Feltrinelli, o quelle di Bruno Munari per l’Einaudi o i disegni di John Alcorn sui tascabili Rizzoli. Una serie di incontri organizzati dalla fondazione Mondadori e un volume di Luca Pitoni, Ostinata bellezza – Anita Klinz, la prima art director italiana, aiutano a inserire anche le sue copertine nella costellazione del boom della grafica per la quasi totalità formata da personaggi maschi. Per dire, due prodotti mainstream e di lunghissima durata come gli Urania e i Gialli Mondadori devono il restyling a Klinz, restyling che durerà fino a metà anni ’90. L’oblò lunare dei classici di fantascienza da edicola che ospita le illustrazioni di Karel Thole che tanto hanno fatto fantasticare Michele Mari si deve proprio a Klinz. Suoi sono anche i primi Oscar, “i libri-transistor che fanno biblioteca” diceva la pubblicità, che partono nel 1963 con Addio alle armi e che diventano il tascabile tipo della classe media italiana.
Uno dei suoi lavori grafici più riusciti e apprezzati è stato quello per la collana più lussuosa, sempre di Mondadori, dei “Narratori Italiani” – copertine con monogramma in oro e sovraccoperte in carta monolucida – dove dettagli dell’astrattismo contemporaneo accolgono in una finestrella con un font asciutto e serio i titoli degli italiani letterari. Così Mario Soldati si trova sopra un Enrico Baj, Ignazio Silone sopra Lucio Fontana e Dino Buzzati sopra Luca Crippa. Klinz rivoluziona anche la collana Lo Specchio, dedicata alla poesia, dove elimina ogni immagine e illustrazione, lasciando copertine con la sovraccoperta color guscio d’uovo e un lettering minimal con nome dell’autore in nero e titolo in verde.
Nata nella Croazia italianizzata nel 1925, Anita Klinz vive per un po’ di anni a Praga per via del lavoro del padre. Lì studia, in lingua tedesca, prima alla scuola di economia e poi a quella di grafica, la Štěpánská, in lingua boema. Occupata la città dai nazisti, bombardata la loro casa e internato il padre in quanto italiano, lei andrà con la madre a Milano, in parte a piedi in parte in autostop. Lavori vari, finché non entrerà nella prima casa editrice della sua carriera, la Società anonima editoriale Dea, in via Filzi, dove fin dal primo numero del 1947 farà lavori di illustrazione e impaginazione per la rivista La Vispa Teresa, «settimanale per le bimbe grandi, settimanale del sabato, settimanale delle piccole donne – dai due ai novantanove anni». Ma la spinta a diventare una figura di rilievo, anche commerciale, le verrà appunto data in Mondadori dove, come abbiamo visto, lascerà il segno su diverse collane.
«Cara Anita, anche questa volta ci hai dimostrato che veramente ci sai fare: gli ultimi tre DIAMANTI (Malraux – Salvatorelli e Piovene) hanno infatti superato le più brillanti aspettative. Tu sai la stima che ho di te, e ritengo quindi inutile dilungarmi nelle solite frasi di prammatica. Due sole parole desidero dirti, con tutto il cuore: brava, e grazie», le scrive Alberto Mondadori, che poi se la porterà al Saggiatore. Per Mondadori Klinz si occuperà anche della decorazione e sistemazione della prima libreria monomarca aperta nel 1953. Nel suo ultimo libro, Storia confidenziale dell’editoria italiana, uno dei grandi uomini di potere dell’industria libraria, Gian Arturo Ferrari, a lungo con incarichi di presidenza in Mondadori, parla spesso della necessità per il bravo editore di restare a cavallo tra bellezza e business, tra arte e vendibilità.
Molti riconoscono, seppur il suo lavoro fosse grafico, questa capacità ad Anita Klinz, che alla guida dell’ufficio grafico Mondadori fu in grado di restare a cavallo dei due bisogni editoriali. Avendo studiato anche economia era in grado di conoscere i meccanismi aziendali e del mercato. Scrive l’autore della monografia: «La forza innovativa dei suoi lavori non sarebbe stata così dirompente se Klinz non fosse stata in primo luogo un’ottima dirigente d’azienda, attenta, oculata, pignola, meticolosa». E ancora: «L’approccio di Anita è veramente lontano da ogni commistione con la figura dell’artista, è completamente e dichiaratamente una progettista, una designer in senso contemporaneo. Per lei il libro non è un “gesto assoluto”, un assolo, ma ha ragion d’essere all’interno di una logica produttiva».
La sua enciclopedia dei ragazzi uscita negli anni Sessanta lo dimostra più di ogni altro suo lavoro, in un momento in cui la casa editrice milanese lavorava verso un’espansione mastodontica, da una parte i rotocalchi, dall’altra i Meridiani, e tutto quello che c’era in mezzo. Al Saggiatore, invece, vivrà una delle stagioni più intellettualmente ricche dell’editoria – se si pensa che Alberto Mondadori annunciò a Sartre, per lettera, l’arrivo della sua nuova casa editrice – vicino a personaggi come Ernesto De Martino, Argan e Giacomo Debenedetti. Lì, tra le tante cose, lavorerà alla grafica della collana dei Gabbiani. Tornerà poi in Mondadori negli anni ’70, come art director di riviste come Duepiù e Grazia, e si sposterà anche sui quotidiani, rifacendo, in un momento in cui cambiano i meccanismi della fotocomposizione e le tecnologie delle rotative, la grafica del Mattino di Padova e dell’Eco di Bergamo.
Lettering minimale, Helvetica come font di riferimento, disegno e collage insieme, citazionismi artistici, bicromie contrastanti, disequilibri elegantissimi. Considerati questi elementi che si inseriscono così bene nello Zeitgeist, è quasi strano che Klinz non sia diventata un personaggio del rinascimento hipster, come è successo invece con Munari. Non è un caso che nella compilazione del libro Pitoni si sia fatto affiancare da Livia Satriano, diventata nota per la sua pagina Instagram, Libribelli_books. Satriano trova libri nei mercatini con copertine attraenti, un incontro tra estetica vintage e gotha del design milanese, e li posta sui social, li fa vedere alle serate da Verso o li mette in vendita. Un gioco capitalistico-warburghiano, con un forte elemento mistico-ironico – si va dai titoli scelti da Borges per Franco Maria Ricci a manuali paperback sulla coltivazione del carciofo – e con implicite codificazioni semiotiche, in grado di veicolare questo bisogno millennial per il recupero in un setting pulito. I libri, uscendo dal mercatino e finendo sul cartoncino colorato che farà da cornice per il post Instagram, perdono la funzione di oggetto polveroso da marché aux puces e diventano icone.