Cultura | Dal numero

Una conversazione con Alessandro Borghi con cui abbiamo curato il nuovo numero

Si intitola Incontrarsi e parla appunto di incontri: l'attore e il direttore di Rivista Studio raccontano com'è nato e chi sono i suoi protagonisti.

di Federico Sarica

Federico Sarica: Questo numero, l’hai scritto tu, nasce da un incontro, il nostro. Casuale ma intenso. In un momento in cui, paradossalmente, non solo incontrarsi è molto complicato, ma rappresenta addirittura il problema cui ci troviamo di fronte. Da qui l’idea di parlare, sostanzialmente, di incontri e interazione fra esseri umani, a partire dalle due interviste che hai deciso di fare tu in prima persona, Alessandro Michele e Salmo. Perché hai scelto loro? Cos’hanno significato questi incontri per te?

Alessandro Borghi: Prima di tutto lasciami dire che questo processo l’abbiamo fatto davvero tutto spalla a spalla e per me è stato molto bello. Adesso che vedo il risultato finale, mi sembra ancora più bello il pensiero di poter fare incontrare delle persone, queste persone, attraverso dei fogli di giornale. Farlo in un momento in cui appunto c’è una grande necessità di avere a che fare con gli altri, e una grande impossibilità nel farlo. Partiamo da Alessandro Michele. Alessandro Michele è stato un incontro folgorante della mia vita, dapprima lavorativo, poi tramutato in un’amicizia incredibile, fatta di stima reciproca anche dal punto di vista umano, delle nostre idee, dei nostri pensieri, del nostro modo di affrontare la vita. Ci siamo stretti la mano per la prima volta cinque anni fa, a una sfilata di Gucci. Lui era stato nominato direttore creativo da otto mesi, da due era uscito al cinema Non essere cattivo, e quindi mi avevano invitato a questa sfilata. Io ancora non collaboravo con Gucci, semplicemente ero uno di quelli che ogni tanto si divertivano a indossarlo. Sono andato a questa sfilata e sono rimasto senza parole. Tra l’altro mi ricordo che ero seduto vicino a Jared Leto, che a quel tempo non conoscevo, e per me già questa era una cosa enorme. Poi negli anni Alessandro l’ho visto crescere in maniera esponenziale, e oltre al suo talento ho potuto scoprire anche tutto quello che di meraviglioso ha da dire, come succede nell’intervista per Rivista Studio. Salmo invece, pensa, forse neanche lo ricordo il giorno in cui ci siamo incontrati, mi sembra davvero di conoscerlo da sempre. Anche lì, secondo me, c’è alla base una grande stima.

Una volta io e la mia fidanzata, parlando, ci siamo chiesti se fosse possibile innamorarsi di una persona senza averne stima dal punto di vista professionale. Non ci siamo risposti. Adesso, vedendo tutte le persone che ho scelto e con cui abbiamo lavorato per il numero, mi rendo conto che sono persone cui voglio un bene incredibile, particolare e speciale, a ognuno in modo diverso. Però sono anche persone di cui ho una stima incredibile, di cui ammiro le cose che fanno e come le fanno. Anche se non le avessi conosciute, sarebbe stato comunque un onore averle tutte dentro queste pagine. Per questo Salmo mi sembra di conoscerlo da sempre, sono innamorato della sua musica da prima che diventassimo amici, credo sia uno dei più grandi talenti che io abbia incontrato nella vita per quanto riguarda la musica. È come se avessi riscoperto in lui la necessità che ho io di raccontare delle storie attraverso il cinema. La nostra amicizia si è consolidata e ufficializzata quando abbiamo fatto insieme il video di un suo pezzo, “Lunedì”. Alla fine lui mi ha guardato e mi ha detto: «tu sei uno di famiglia per me», e lì ho capito che avevamo, oltre che fatto una bella esperienza, guadagnato anche una grande amicizia.

Federico Sarica: Rubo delle domande che hai usato tu nelle interviste ad Alessandro Michele e Salmo. Abbiamo deciso di dedicare il numero agli incontri ma, se ben ricordi, all’inizio un altro tema che abbiamo discusso erano le ossessioni. Quindi ti chiederei due cose: una, se c’è un incontro che ti ha cambiato la vita. Due, dove per te si pone il confine fra passione e ossessione, se esiste un punto in cui una passione diventa un’altra cosa.

Alessandro Borghi: Ho sempre detto di essere una persona molto fortunata, sotto vari aspetti, ma una delle mie più grandi fortune sicuramente è stata quella di aver visto transitare nella mia vita figure che hanno arricchito in maniera incredibile la mia conoscenza. Se dovessi fare un nome che non ha solo cambiato la mia sorte, ma anche un po’ il mio modo di vedere la vita e il lavoro è stato, senza dubbio, Claudio Caligari. Claudio è come se me l’avesse mandato qualcuno per dirmi: “guarda ragazzì, tu che pensi di sape’ qualcosa, adesso te faccio incroncia’ Claudio pe un annetto e te faccio vede’ che non sai un cazzo!”. Ogni parola che usciva dalla bocca di Claudio era un’occasione che dovevi essere in grado di cogliere al volo; è stato lui a farmi capire che alla base del mio mestiere c’è una necessità di raccontare delle storie, che non c’è bisogno di sentirsi ossessionati da quello che si fa ma che bisogna trarne beneficio, e credo sia anche per questo che lui ha fatto così pochi film in così tanti anni. E poi da Non essere cattivo, a parte la bellezza che ci ha regalato con quel film, per me è nato questo rapporto indelebile tra me, Luca Marinelli e Valerio Mastandrea, un trio che ogni volta che si riunisce ritorna al momento in cui ci siamo conosciuti. Claudio mi ha cambiato la vita, professionalmente e umanamente.

Sul confine fra passioni e ossessioni: è una domanda che ho fatto a Salmo in queste pagine proprio perché non ho una risposta. Sono una persona abbastanza ossessionata, lo sai bene tu, ad esempio, quanto avessi bisogno di venire a Milano dieci volte per fare questa cosa, e quanto invece il fatto di averlo potuto fare una volta soltanto mi abbia fatto impazzire, perché io ho bisogno di seguire le cose passo a passo, di sentirmi sempre parte integrante di quello che faccio. Quello che mi chiedo è se l’obiettivo è quello di coltivare una passione ma di non farla mai diventare un’ossessione, oppure farla diventare un’ossessione, rendersene conto ed essere poi in grado di tornare indietro? È estremamente bello riconoscere in una cosa, in un amore per esempio, un’ossessione, perché vuol dire che è diventata importante per te. Però allo stesso modo, adesso, a trentaquattro anni, mi sento forse di dire che un’ossessione prolungata si porta dietro più effetti collaterali che benefici; quando ti innamori tanto di un essere umano, uomo o donna che sia, se riesci ad amarlo in una maniera genuina, quell’amore riesci a godertelo, se ne diventi ossessionato, quell’amore a un certo punto è destinato a finire.

Federico Sarica: Quando ci eravamo detti di curare un numero di Rivista Studio insieme, eravamo anche molto contenti all’idea che ci saremmo visti, che avremmo lavorato fisicamente insieme sulla cosa, che avremmo incontrato molte persone, cenato, bevuto, viaggiato. Poi alla fine è successo che, invece, paradossalmente, l’unico incontro fisico avvenuto per fare il giornale è stato questo fra me e te. Mi è tornato in mente leggendo la tua intervista ad Alessandro Michele, dove a un certo punto lui dice: «Sono un chiacchierone, ma lo sono perché mi piacciono anche le chiacchiere degli altri. E ne sono influenzato, continuamente. Mi auguro di continuare ad esserlo, da quello che succede, dalle persone che incontro, dai caffè che prendo, dalle cene e dai pranzi». Ecco, spesso pensiamo che gli altri siano un mezzo per fare delle cose che abbiamo in testa, ma forse questa situazione ci dice che spesso gli altri sono il fine, cioè il motivo per cui noi facciamo queste cose. No?

Alessandro Borghi: Guarda, io già da piccolo l’avevo capito, poi con il passare degli anni mi sono dovuto arrendere al fatto che io senza l’umanità non esisto. Nel senso, non posso concepire l’idea di dover fare qualcosa senza poterne poi parlare con qualcuno, senza poi poterne godere con qualcuno, senza poterlo condividere. L’incontro che c’è stato con te, a settembre, è forse il ricordo più bello che ho di tutto questo periodo, perché era un momento dove ci sembrava che le cose fossero tornate quasi normali. Potevamo stare seduti a un tavolo in quattro a scambiarci delle idee, a guardarci in faccia, a poter vedere se l’altro sorride o meno. Questo numero di Rivista Studio per me sarà sempre legato a tutta una serie di cose: al nostro incontro, al modo in cui abbiamo deciso di collaborare, alla scelta delle persone, a quanto siano importanti nella mia vita, ma anche a quanto poi queste persone, come dici tu, si siano incontrate soltanto sulle pagine finite della rivista. Io ho una grande necessità di avere a che fare con gli altri, da sempre, te l’ho detto. Tutte le cose belle che mi sono successe nella mia vita derivano al settanta percento dalle persone che mi erano accanto e al trenta percento da me.

Alla base c’è sempre il più grande incontro che ho fatto nella mia vita, che è stato quello con mio padre e mia madre, il giorno in cui mi hanno messo al mondo. Sono loro che hanno veramente fatto sì che io potessi, attraverso una miriade di errori, diventare quello che sono oggi. È ovvio che ho ancora tanti errori da fare, e ne farò, ma nella mia testa in questo momento c’è una grande consapevolezza che lamentarsi non ha più senso. Non serve più. Cerco di farlo il meno possibile, anche con me stesso, perché mi sono reso conto che non serve veramente a un cazzo. E quindi va bene che anche questa nostra avventura sia andata così, sarà molto importante ricordarsi il più possibile tutto questo, sarà la base da cui ripartire quando potremo stare di nuovo insieme e incontrarci.

«Quando le cose ci appartengono perdono un po’ di intensità, e invece quando riscopri la loro bellezza attraverso gli occhi di qualcun altro, è come se ti fosse restituita la voglia di innamorarti di quella cosa»

Federico Sarica: Senti, forse per via di una forma mentis di chi fa il lavoro editoriale, quando tu mi hai comunicato che avresti voluto intervistare Alessandro Michele e Salmo, in redazione ci siamo chiesti quale fosse il filo che univa i due personaggi, al di là del fatto che fossero stati scelti da te. E prima di vedere le interviste, sinceramente non l’avevamo trovato. E invece è venuta fuori una cosa in maniera lampante, e cioè il ruolo che ha il cinema oggi nella loro vita professionale come in quella privata. Siamo partiti dalla promessa reciproca che, essendo un numero curato con un attore del tuo livello, avremmo cercato di fare il meno possibile la celebrazione del cinema italiano, e poi paradossalmente le due interviste principali ci hanno riportato lì. Te l’aspettavi? Come ti sembra il cinema raccontato da loro?

Alessandro Borghi: Prima ci tengo a dire che per me una delle cose che li accomuna, escludendo l’affetto enorme che provo per tutti e due, è la loro espressione estremamente genuina del talento. Da Alessandro Michele mi aspettavo che avrebbe dato tanta importanza al cinema. Sapevo del suo amore per questo mondo, ma sentirglielo raccontare così ha colpito anche me. Perché lui poi ha questo modo estremamente intelligente di parlartene, pieno di riferimenti colti misti a ricordi personali, a immagini intime, è come se te lo immaginassi davanti ai tuoi occhi quello che racconta. Quindi sì, mi aspettavo che ne parlasse ma non così profondamente. Invece l’intervista con Salmo mi ha veramente spiazzato. Ogni volta che cita il cinema come la cosa che lo fa sentire meglio, a cui si sta dedicando di più, mi sono ricordato delle mie prime volte davanti alla macchina da presa. Sembra quasi che io abbia detto loro: “oh ragazzi però parlate un po’ di cinema visto che io non posso farlo”, e invece questa cosa è arrivata da sola e mi ha completamente travolto. È meraviglioso, perché quando le cose ci appartengono perdono un po’ di intensità, e invece quando riscopri la loro bellezza attraverso gli occhi di qualcun altro, è come se ti fosse restituita la voglia di innamorarti di quella cosa.

Io è un po’ che ho un rapporto conflittuale col cinema: vedo un film che non mi piace e dico: “che cazzo lo faccio a fare questo lavoro?”, vedo un film meraviglioso subito dopo e cambio idea. È stato molto bello parlare con due persone che comunicano in due modi estremamente diversi, e scoprire i loro due modi di amare una cosa che è, a tutti gli effetti, la ragione della mia vita in questo momento. Viviamo un momento storico in cui si dà una grandissima importanza alle parole, stiamo attenti a non offendere nessuno, ed è molto bello far sì che tutti vengano  finalmente rispettati, però io credo anche nella forza che scaturisce dal prendersi la libertà di raccontare cose brutte, anche sbagliate, anche scorrette. Ecco, il cinema ha questa libertà, e non deve perderla.

Federico Sarica: Se io ti dovessi riassumere questo lavoro che abbiamo fatto insieme mandandoti un messaggio su Whatsapp solo di emoji, senza parole, ti manderei insieme un cuore e un cervello. Ne abbiamo parlato a lungo quando ci siamo conosciuti: viviamo in un derby perenne fra intelligenza, razionalità, il cinismo di chi la sa lunga da una parte, e le emozioni, l’empatia, i sentimenti spesso bollati come banalità o debolezza dall’altra. La trovo una cosa molto vecchia. Non credi anche tu che stia arrivando il momento, anche guardando le nuove generazioni, i nuovi maschi cui accenna Alessandro Michele più avanti ad esempio, dell’intelligenza emotiva al potere? Ti ci ritrovi in questo ragionamento?

Alessandro Borghi: Sì, molto. Ti racconto una cosa a proposito. Mio padre e mia madre mi portavano in questo campeggio a Ladispoli, vicino Roma. Lì c’erano anche i miei zii che stavano però nelle piazzole delle roulotte, mentre noi stavamo nelle prime, quelle delle tende. Quando arrivavamo io non conoscevo nessuno, nei campeggi ogni anno trovi persone diverse. Quando era il momento di andare via, mia madre mi racconta sempre che ero l’unico ragazzino che si faceva tutte le piazzole per dare i bacetti a tutti quanti. Sentivo questa necessità incredibile di mostrare alle persone quanto io avessi avuto piacere di incontrarle. Crescendo non è cambiato niente. Secondo me è quasi un superpotere quello di riuscire a mostrarsi per quello che si è, nel bene e nel male, lo dico davvero. Sento una grandissima necessità, come dici tu, di mettere quest’icona del cuore nelle cose che faccio. Io in realtà sono molto razionale, sono una Vergine compulsiva, organizzo tutto nella mia testa, però poi, a un certo punto, sono ben disposto a cambiare i miei piani se le emozioni mi portano da un’altra parte.

Federico Sarica: Ti è piaciuto fare le interviste?
Alessandro Borghi: Moltissimo. Mi sono divertito da morire. Era una roba che mi dava pure una mezza ansietta, di quelle belle. Quando mi chiedono di fare una roba che io credo di non saper fare, o comunque non ho avuto ancora la riprova di saper fare, mi crea una voglia dentro di vedere cosa succede quando la farò. È come quando ho fatto il Padrino al Festival del cinema di Venezia, prima ho pensato che non ci voleva niente, poi quando stavo lì mi sono cagato addosso, e alla fine è stata un’esperienza incredibile, che mi ha cambiato la vita. Durante le interviste ho provato, attraverso i miei interlocutori, a darmi delle risposte. Per cui sono felice, e ringrazio tutti quelli che si sono fatti coinvolgere nel nostro progetto. Non do mai niente per scontato, lasciarsi sorprendere dall’affetto è una sensazione molto particolare.