Come essere di sinistra con la piccola criminalità

Una piccola ma emblematica storia di frustrazione quotidiana a Ponte Milvio, tra resti del Pci e motorini rubati.

06 Agosto 2025

Proprio sotto da me, c’è la famosa, storica, per alcuni mitologica, sede del Pd, quella di Ponte Milvio, quella di Enrico Berlinguer, quella che è quasi sempre chiusa ma di tanto in tanto organizza incontri dal titolo: vieni a conoscere i tuoi rappresentanti. Dove qualche volta si fanno delle feste (con musica non di mio gradimento) o si gioca a biliardino, e quella contro la quale giovani figli di papà di Roma Nord, di notte si scagliano, al grido di: avete rovinato l’Italia. Detesto quei giovani di Roma Nord, anche perché ho fatto politica da giovane in Democrazia Proletaria, poi PCI, poi DS e poi insomma voto a sinistra.

Vi dico questo, perché da qualche mese a questa parte ho cominciato a guardare la sede in maniera diversa. Il fatto è che in questo periodo ho dovuto pagare delle tasse extra e non solo io, ma tutto il circondario. Avevo appena comprato un casco nuovo, tra l’altro scontato, bello, colorato e una mattina sono sceso e sotto casa, in un crocicchio davanti alla bottega del meccanico, ho visto alcune persone parlare di una serie di furti avvenuti la notte. Ma ho lasciato perdere, perché sinceramente è da quando facevo politica in Democrazia Proletaria (avevo 18 anni) che considero discussioni siffatte un po’ piccoline, soprattutto per me che all’epoca seguivo la frase del Che Guevara che recitava: «Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo. È la qualità più bella di un buon rivoluzionario». E niente, ho trovato il bauletto scassato e il casco non c’era più. Ho guardato gli altri motorini ed erano tutti scassati. Allora, con la pazienza del rivoluzionario (perché mi pare che il Che avesse detto qualcosa a proposito, non dei caschi, ma della pazienza), ho raggiunto il crocicchio e ho appreso che durante la notte due ragazzi erano passati e avevano rubato un po’ qua e un po’ là, poi per sfizio avevano incendiato una macchina e le fiamme, divampate, avevano bruciato altre due macchine e raggiunto la facciata del palazzo. «Lo fanno, lo fanno», diceva uno. «Zingari», diceva un altro. «No», chiosava un altro, «pezzi di merda che si fanno di cocaina». Considerato il casco rubato, il bauletto da aggiustare, il lucchetto da comprare, perché – mi ha spiegato il meccanico: meglio che il bauletto venga chiuso da un lucchetto, sennò lo aprono facilmente – insomma ho pagato 100 euro.

Tre giorni dopo mi sono affacciato di buon mattino (perché è bello svegliarsi all’alba e cominciare la giornata guardando il cielo) e ho visto che c’era il mio bauletto per terra. Ma come mai? Ho visto che non c’era il mio motorino. Al solito crocicchio mi hanno spiegato che di notte erano passati e avevano rubato delle moto. «Ma il mio bauletto», ho chiesto, «perché l’hanno staccato?». Non l’avevano staccato, buttano il motorino per terra e saltano sopra lo sterzo, così rompono il blocca sterzo, capita che per la botta si stacchi il bauletto. «Ma», ho chiesto ancora, «che se ne fanno della mia moto? è vecchia, è del 2005». Ma il meccanico, guardando il bauletto, mi ha risposto: «comunque ti ho fatto un lavoro come si deve, non sono riuscito ad aprirlo, col lucchetto che ti ho messo».

Ma con chi ce la dobbiamo prendere?

«Ma sono stati gli zingari?», ho chiesto al poliziotto che prendeva la denuncia. «A parte», mi ha rimproverato, «che non si chiamano zingari, le parole sono importanti, ma di solito sono ragazzi che non sanno come tornare a casa e si prendono la moto. Lo fanno, lo fanno». Da quel giorno per una sorta di magia dell’algoritmo su TikTok e Ig mi sono apparsi (oltre ai video di Vera Gheno o di Michela Murgia) molti reel di immigrati che non pagano il biglietto in treno e postano le loro risposte strafottenti, zanza che rubano, tamarri che si vantano della camorra, camorristi che fanno le stese. Mi è apparsa da una parte un’umanità arrogante, dall’altra una dolente, arrabbiata per i continui furti, ferita per il dolore. Un’umanità che pagava il biglietto ed era costretta ad assistere all’impunità quotidiana di chi non pagava e si chiedeva perché. Perché non si fa niente contro i borseggiatori? Perché la vita di una vecchietta o di un turista a cui viene rubato il portafoglio o il cellulare vale di meno della vita di uno che si può permettere di non prendere la metro? Questa ferita sociale quando si rimargina? 

«Perché», mi ha detto il meccanico che stava riparando il parabrezza di una moto che di notte era stata buttata per terra, così, per sfizio, da una banda di ragazzi, «perché  questi pezzi di merda sono impuniti e nessuno fa niente», e mi ha indicato la sede prestigiosa di Ponte Milvio, «alla fine questi parlano parlano di grandi problemi ma i pezzi di merda colpiscono i poveri, mica i ricchi, colpiscono il popolo. Tu sei ricco?», mi ha chiesto. «Io?», ho risposto. «Io ricco? Ma lo sai quanto pagano i giornali per un pezzo? Tu per aggiustare il bauletto ti prendi due volte di più. Lo sai quanti libri nuovi escono ogni anno? Ottantamila! E lo sai quanti di questi vendono più di tremila copie? Solo tremila. Il resto va al macero, qualcuno arriva in libreria ma ci sta poco, sono pochi gli scrittori che vendono molto, quelli che magari conosci pure tu, perché vanno in televisione. Tu mi conosci?». «No», ha risposto il meccanico. «E lo vedi», ho chiuso io. «E quindi», ha ripreso lui, «tu sei il popolo, ora perché non ti incazzi? Queste sono tasse extra che devi pagare». «Ma con chi me la devo prendere?», ho detto.

I diritti cominciano dal marciapiede

«Te la devi prendere con i politici», e ha indicato la gloriosa sede che quel pomeriggio avrebbe ospitato un convegno dal titolo magniloquente, «perché li paghiamo per risolvere il problema, perché», e qui ha assunto un tono da filosofo popolare, «i diritti cominciano dal marciapiede in ordine, un marciapiede dove non ci sono merde per terra, dove la signora di 90 anni che vive da sola può camminare sicura di non inciampare in una buca, di non essere derubata. I diritti cominciano dal marciapiede, se il marciapiede è in ordine la gente è tranquilla, poi gli altri diritti vengono di conseguenza».

Da quel giorno, per una strana magia degli algoritmi mi sono apparsi su TikTok e su Ig (oltre ai video di scrittori che vendono molto e parlavano in televisione) reel di Francesco Emilio Borrelli e di tanti altri vendicatori della povera gente. Anche vecchi spezzoni di film dell’ispettore Callaghan e tanti altri di quel tipo, uno che subisce un torto e arriva il Superman di turno che punisce il ladro e salva il derubato e  sapete che c’è: mi piacevano, mi davano soddisfazione. Nella massa indistinta e fastidiosa di tamarri, zanza, immigrati, zingari che delinquono impunemente il super uomo era quello che proteggeva i diritti del popolo: amavo il popolo e i Superman che lo proteggeva.  

«Non so’ zingari!». Mi ha detto quello dello scasso che mi ha fatto vedere in che condizioni stava la mia moto (era stata ritrovata). «Questi», mi ha detto, «volevano tornare a casa, tu non avevi la catena (mi ero scordato di metterla quel giorno), hanno rotto il blocca sterzo e via. Poi hanno bucato la sella in corrispondenza del tappo del serbatoio, perché nemmeno erano capaci di aprirla la sella (gli zingari erano capaci, professionisti). Poi hanno girato, quando è finita la benzina hanno lasciato la moto. Sono immigrati che la sera scendono a Ponte Milvio a spacciare. Il danno», ha aggiunto, guardando la moto, «si aggira attorno ai 300 euro». Poi, mentre firmavo i documenti per il rilascio della moto ha detto: «La sinistra è buonista, pensa agli immigrati e ignora che le carceri sono pieni di immigrati». «Bè», ho aggiunto, anche memore delle belle frasi del Che, «questo tipo di criminalità danneggia in realtà solo gli immigrati onesti, perché se uno poi vede solo i reel di spacciatori, zanza, tamarri, camorristi che si vantano, poi pensa che tutto il mondo dell’immigrazione sia criminale». 

Immigrati buoni

«Eccolo qua», mi ha detto, assumendo un tono da filosofo popolare, «ma quale senso di colpa devi avere per pensare agli immigrati buoni? Qua c’è un problema e invece di risolvere il problema devo pensare agli immigrati buoni, ma che mi frega, sai quante persone subiscono furti e devono pagare i danni? A queste persone chi ci pensa?». E mi ha citato Don Ernesto, un prete che ha durante un omelia ha raccontato che una notte ha visto gli amici immigrati si sono presi a bottigliate davanti la sua chiesa e ha trovato, subito dopo, una bambina immigrata in lacrime, spaventata, abbandonata. Ha fatto presente questa cosa all’assessore e lei ha minimizzato il problema, poi hanno accusato Don Ernesto di essere razzista e fascista: «Ma il fascismo, cos’è?», ha chiarito Don Ernesto. «Non accettare che un altro la pensi come te». Il video del suo sfogo è stato ripreso da uno della Lega con la scritta: io sto con Don Ernesto (poi ho visto il video e subito dopo per magia mi sono apparsi altri video di bottigliate e risse con la scritta: Milano fuori controllo, Roma fuori controllo, Padova fuori controllo, pure Caserta fuori controllo al che ho chiamato mio padre, gli ho detto: «Ma Caserta è fuori controllo?». Ha risposto: «E chi esce più di casa»). «Ma la risposte delle destra», ho detto,  assumendo l’aria da intellettuale, «sono inefficaci, nessuno ha mai risolto il problema, la destra è tutta proclami e distintivi». «E va bene», ha chiuso lui, «e allora in attesa che la sinistra risolva il problema paga questi 300 euro. Ah, sono 30 euro se vuoi farti portare la moto sotto casa, visto che non parte».

«Un po’ di meno di trecento», mi ha detto il meccanico, «visto che sei tu, che sei abbonato fisso ormai e non guadagni niente con i libri. Bisognerebbe fare con in certi paesi africani, li vedi i reel?», mi ha chiesto. «Lì, i vigili hanno un bastone e se qualcuno commette una infrazione non viene sanzionato ma bastonato. A forza di bastonare quello impara, è una forma di educazione civica». Ho pagato e da quel giorno ho cominciato a fare molti sogni strani: in genere affrontavo una banda di criminali sparando nelle gambe o rompendogli le braccia e provavo un grande piacere nel sentire il loro dolore e la mia rabbia esplodere: erano bei sogni.

Amare il popolo, odiare il popolo

Nei giorni successivi hanno cercato di sfondarmi la porta di casa, mi hanno rotto la mascherina del motorino perché hanno cercato di farlo partire collegando i fili, ma poi si sono accorti che c’era il lucchetto e hanno desistito (comunque 10 euro). Mi è arrivata pure una multa, presa non da me, ma dai ladri che in sella alla mia moto avevano superato i limiti di velocità («Mo è un casino», mi ha detto, «dimostrare che non eri tu, ma i ladri»).

Ho assistito anche a un sacco di discussioni: c’era un’intollerabile recrudescenza della piccola criminalità, quella che colpisce i poveri non i ricchi, il popolo non l’élite, quella che è tollerata sia perché la sinistra non fa niente, sia perché nel quartiere comandano gli albanesi che picchiano, riciclano («Sì», ho risposto, «ma comandano gli albanesi perché gli italiani si comprano la droga da loro» – «Eccolo qua», mi hanno risposto, «il solito benaltrismo di sinistra, da qualche parte si deve pur cominciare a risolvere il problema») e quindi i piccoli criminali hanno via libera. Bisognerebbe fare come in Africa dove non vieni sanzionato ma bastonato, perché alla fine è così che proteggi le vecchiette e dimostri amore per il prossimo, quello più debole (seguivano molti esempi su questo tema: anziani derubati in casa e come per magia mi sono apparsi molti reel di anziani derubati in casa). Ho assistito a tutte queste discussioni e mi sono reso conto che erano tutti 50enni, e ho dato la colpa all’età. Poi di colpo mi sono reso conto che io ho 60 anni e tutti i miei amici hanno la stessa età e che l’età media degli italiani è 46 anni, quindi i cittadini fragili e spaventati sono in aumento e infatti la destra ha più consensi. 

La notte ho sognato che tutto il popolo italiano erano bambini in lacrime, come quella bambina dopo aver assistito alla rissa tra immigrati.

Tornando da Catania, il 23 luglio, intorno l’una e trenta, all’aeroporto Leonardo da Vinci, ho incrociato Elly Schlein. Non so, ma a giudicare da come camminava, guardando in basso e nascondendosi dallo sguardo di tutti, a giudicare dall’aria di superiorità di uno che stava con lei e dall’aria indifferente di una che stava con lei, che vi devo dire, mi è sembrata che fosse una persona che odiasse il popolo mentre, ho pensato, Meloni è una ama il popolo. Ho pensato tuttavia che era una considerazione così scema che non teneva conto di tante cose, non ultima la bellissima frase del Che e quindi mi sono detto: non dirò mai una cosa del genere.

Leggi anche ↓
Un zoo danese cerca animali domestici indesiderati per sfamare i suoi predatori

Piccoli animali da cortile e cavalli possono essere donati per ricreare la catena alimentare naturale dei grandi felini

Io viaggio da sola

La donna che viaggia da sola per ritrovare sé stessa è un luogo comune che passa per Mangia, prega, ama e arriva fino alle solo travel influencer di oggi, anche se continua a nascondere un suo lato oscuro di disagio e delusione: forse, per godersi davvero il viaggio, sarebbe meglio partire già ritrovate.

Uno spettatore è morto durante il concerto degli Oasis a Wembley

Lo spettatore sarebbe caduto dall’anello superiore a quello inferiore: la band ha pubblicato un messaggio di cordoglio. 

Cos’è la destra, cos’è la sinistra lo decidono i jeans di Sydney Sweeney

La campagna pubblicitaria di American Eagle è stata indubbiamente efficace: i liberal di tutto il mondo hanno abboccato alla provocazione e i conservatori hanno colto al volo l'occasione per ribadire che non si può più dire niente.

di Studio
Di cosa si è parlato questa settimana

Il terremoto, la guerra commerciale, le aggressioni in Autogrill, i massacri in Palestina e Cisgiordania. Non la migliore delle estati, vero?

I maschi fragili e piagnoni sono le vere dive di Temptation Island

Come dice Fabrizio Corona, tutti guardiamo il programma in prima serata su Canale 5 “ai fini di un’analisi sociologica”: noi, nella nostra analisi, ci siamo concentrati sul cluster maschile.