Il gruppo di pseudo vigilantes recentemente salito agli onori della cronaca è il frutto di anni di demagogia su sicurezza e criminalità. Sui social, certo, ma anche in politica.
«Da donna, sono veramente stanca di avere paura a girare da sola per strada, a portare fuori il cane. Vedo solo facce che mi terrorizzano, che mi fissano con uno sguardo fastidioso. Io, da donna, ogni giorno ho paura». Abbiamo bisogno di fare qualcosa, mi appello al sindaco Giuseppe Sala. Oppure ancora: «Questa mattina, alle 11, in corso di Porta Nuova, nel cuore di Milano, sono stata inseguita e assalita da uno squilibrato, non saprei come altro definirlo».
Milano, in numeri
Negli ultimi anni, a Milano, la parola “sicurezza” è diventata una vera e propria ossessione. Tema centrale del dibattito pubblico – specie in vista delle comunali del 2027 – si è trasformata in un trend alimentato dalle lamentele social di influencer più o meno note, contribuendo a definire, ogni giorno di più, la geografia della paura urbana. Ad accendere l’attenzione mediatica, e quindi politica, nel luglio 2023, è bastata una storia su Instagram di Chiara Ferragni che, senza citare alcun tipo di dato e basandosi solo sulle esperienze personali di alcuni amici suoi, definiva la situazione “fuori controllo”.
Negli ultimi dieci anni, però, i reati a Milano sono calati del 28,9 per cento (dati Ministero dell’Interno): – 60 per cento nei furti in abitazione, – 36 per cento per le auto in sosta, – 2,4 per cento nelle rapine agli esercizi commerciali. Gli omicidi restano bassi, mentre ad aumentare sono le violenze sessuali e le truffe informatiche, che oggi rappresentano il 10 per cento delle denunce.
E così il sindaco Sala, dopo aver inizialmente attenuato le critiche di Ferragni, ha istituito subito dopo un comitato dedicato, composto dall’ex capo della polizia Gabrielli e dagli assessori alla Sicurezza e al Welfare. A febbraio 2024, gli agenti in città sono saliti a 3.037 (+242 rispetto al 2023), con l’obiettivo di raggiungere quota 3.350 entro fine mandato. Sono stati introdotti i “vigili di prossimità” (216 agenti) e raddoppiate le pattuglie notturne (da 13 a 26). Qualche mese dopo, però, Gabrielli ha lasciato l’incarico. Sala ha così assunto personalmente le deleghe alla Sicurezza, che ora condivide con la sua vice Scavuzzo.
Il quadro si è aggravato con la morte di Ramy Elgaml, 19enne di origini egiziane residente nel quartiere Corvetto di Milano, avvenuta nella notte tra sabato 23 e domenica 24 novembre 2024, mentre veniva inseguito da una volante dei carabinieri mentre scappava in motorino. Nel frattempo, sono nati gruppi di “ronde anti-maranza”, mentre a dicembre 2023 il ministero ha istituito sei “zone rosse”. A fine marzo 2024 sono state 132.742 le persone identificate e 1.313 i daspo emessi.
L’odio
È in questo scenario che, tra periferie, forze dell’ordine e cittadini, si alimenta un odio sociale che cresce come un cortocircuito, dove la sicurezza diventa una sensazione di minaccia continua, spesso più percepita che reale, e si traduce in uno scontro quotidiano di paure, angosce e diffidenze reciproche. Un tema sempre più polarizzante, spesso strumentalizzato dalla destra populista.
È per provare a capirne di più che ho deciso di passare una notte di inizio primavera a bordo di una volante della polizia. Scegliendo, anche se una notte non può mai essere abbastanza, uno dei modi possibili per poter osservare la città con occhiali diversi. Dall’una alle sette del mattino ho percorso le vie di Milano insieme a un Commissario Capo funzionario e a un Agente Scelto.
Un’esperienza potente di immersione urbana, tra continue segnalazioni: alcune (troppe) donne in pericolo per liti familiari, uno scassinatore alla ricerca di farmaci, una minorenne scappata con il fidanzatino, un uomo con istinti malsani. Ma i veri protagonisti di una qualsiasi notte milanese, definita tranquilla rispetto agli standard, sono sembrati essere gli adolescenti. Tra divertimento e risse, sono protagonisti indiscussi di un sottobosco, teatro di profondo disagio e bisogno di ascolto.
Si muovono tra chiese diventate discoteche, feste, club privé. Sono ragazze e ragazzi del centro e della periferia, vestiti di tutto punto, in un viavai continuo tra selfie e pellicce, a volte finte, a volte vere. Unghie laccate e lunghissime, vertiginosi tacchi, orologi d’oro ai polsi. Gambe nude senza sentir freddo, labbra e nasi modellati dalla chirurgia. Spesso in uno stato percettibile di alterazione tra alcol e droghe.
Secondo una recente ricerca (Casa del Giovane, Fondazione Exodus, Università di Pavia), sette adolescenti su dieci in Lombardia fanno uso di sostanze stupefacenti, il 2,1 per cento consuma cocaina e quasi il 2 per cento eroina. Uno su due beve fino a ubriacarsi, l’8,8 per cento lo fa almeno una volta alla settimana, e per la prima volta le ragazze superano i ragazzi nella spesa in alcolici. A questo si aggiunge che sei su dieci hanno giocato d’azzardo almeno una volta nella vita e solo il 27 per cento considera la ludopatia una malattia. Uno su due non è soddisfatto della propria immagine corporea. Tre su dieci si sono volontariamente procurati dolore fisico.
È in zona Stazione Centrale, in un club privé, che scatta una rissa a un compleanno. “Un tipo si è buttato su una tipa”, dice il buttafuori: in quindici hanno iniziato a picchiarsi. “Ci tengo all’immagine del locale”, dice il proprietario, preoccupato per le recensioni online dopo l’accaduto. Stesso scenario in zona Sempione, dove, all’interno di un locale, un turista si è preso una bottigliata in testa.
È in periferia che, verso le 3, a bordo di un mezzo della 91, alcuni uomini spruzzano uno spray al peperoncino e minacciano con un coltello, poi insegueno per strada un quattordicenne. Il mezzo è fermo, l’autista a bordo, l’ambulanza e molte volanti della polizia già presenti. Ragazze e ragazzi, circa una decina, si muovono istericamente sul marciapiede in visibile stato di alterazione. Urlano contro gli agenti. Una ragazza piange disperata, dice che ha paura, che è normale averla. Sono pieni d’ira, si agitano, sfidano. Gli agenti mantengono la calma, spiegano loro che sono lì per aiutarli, ascoltano il loro sfogo e gli intimano di allontanarsi quando si fanno troppo sotto, troppo aggressivi.
Il loro amico verrà ritrovato poco dopo, senza scarpe e con qualche botta in testa prontamente medicata sul posto. È il ritratto di una rabbia sociale profonda, che urla e passa attraverso la mortificazione di sé, che si sia poveri o si sia ricchi. Sembra il segno evidente di una depressione macro sociale da un lato, perché generata da una società sempre più competitiva, e micro sociale dall’altro, perché scaturita da famiglie problematiche che vivono condizioni difficili. E se la scuola non riesce a essere rifugio sano, diventa uno spazio patogeno. In una città sempre più polarizzata, è il Miur a evidenziare la correlazione tra il tasso di abbandono scolastico e il costo degli immobili. Nelle aree con valori immobiliari più bassi, la dispersione scolastica raggiunge picchi del 24 per cento, mentre nelle zone con immobili di valore superiore ai 5.000 euro al mq, la percentuale scende tra lo 0,2 per cento e il 4,1 per cento.
D’altra parte, ad ascoltare ogni notte e ogni giorno quel disagio, ci sono poliziotti e poliziotte, operatrici e operatori sanitari delle ambulanze, vigili del fuoco. Il cui stipendio, per un agente semplice, non supera i 1250 euro al mese, per un vigile del fuoco i 1500 e per un operatore socio-sanitario circa i 1400.
Tutto in una notte
Una notte, certo, non è sufficiente, ma è abbastanza per intuire che forse, più che ascoltare le lamentele di influencer che vedono la città dall’alto dei loro attici, è il grido dell’adolescenza della città che va invece urgentemente ascoltato. Ma quell’ascolto non può essere relegato solo alla polizia e tantomeno agli operatori sanitari. Daspo e zone rosse non sono soluzioni definitive.
E per evitare ronde notturne “anti-maranza”, che alimentano solo violenza, alla città servono forse più psicologi di strada, progetti di supporto alla scuola. Servono politiche giovanili basate sul desiderio, capaci di indicare traiettorie di formazione senza giudizio, che rendano quegli adolescenti protagonisti di sogni semplici, invece che vittime della prestazione sociale, fisica e intellettuale. A servire, oltre al controllo e alla prevenzione, sono spazi di ascolto che permettano a chi abita la Milano difficile di prendere parola nei tavoli decisionali che contano, invece di essere sempre rappresentati da chi vive privilegi lontani da quei bisogni.
Infine, a servire, sono spazi di presidio umano e popolare che rimangano aperti la notte, come lo sono i negozi dei bengalesi tanto ostracizzati; zone illuminate; servizi gratuiti per chi si muove in solitudine la notte in città. Servono spazi di incontro alternativi e di costruzione, dove l’autodistruzione non sia priorità. E chissà che questa, in vista delle prossime elezioni, non diventi solo una battaglia regalata alle destre populiste, ma l’occasione per costruire un progetto più ampio e di visione, che affronti il tema della sicurezza non solo come privazione di libertà, ma come spazio di invenzione per ripensare la città.

Da "Abitare Futuro", il nuovo numero di Urbano, dieci domande a Carlo Ratti sulla prossima Mostra Internazionale di Architettura a Venezia, che più di tutte le edizioni precedenti coinvolgerà la città come fosse un’unica, enorme arena di incontro di pensieri e nuove idee.