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Gli elettori di Ompundja, Namibia, sono così contenti del consigliere regionale Adolf Hitler Uunona che lo rieleggeranno Si vota il 26 novembre e il politico dallo sfortunato nome è praticamente certo di essere rieletto nel consiglio regionale dell'Oshana.
Edoardo e Angelo Zegna: la quarta generazione della famiglia Zegna diventa Co-Ceo del brand Ermenegildo Zegna, nipote del fondatore del marchio, si sofferma sull'importanza come leader del guardare avanti impegnandosi a formare la prossima generazione di leadership
Dopo la vittoria del Booker, le vendite di Nella carne di David Szalay sono aumentate del 1400 per cento  Nel gergo dell'industria letteraria si parla ormai di Booker bounce, una sorta di garanzia di successo commerciale per chi vende il premio.
Un anziano di New York ha pubblicato un annuncio in cui chiedeva di venire a fumare una sigaretta al parco con lui e si sono presentati in 1500 Lo smoke party improvvisato è stato lanciato dall’attore Bob Terry, che aveva anche promesso di offrire una sigaretta a chiunque si fosse presentato.
Sul canale YouTube di Friends sono stati pubblicati otto episodi mai visti prima dello spin off dedicato a Joey A vent’anni dalla cancellazione, la sitcom è stata pubblicata tutta quanta su YouTube, compresi gli episodi mai andati in onda.
È morto Udo Kier, uno dei volti più affascinanti e inquietanti del cinema europeo Attore di culto del cinema horror, Kier ha lavorato con tutti i grandi maestri europei, da Fassbinder a Von Trier, da Herzog ad Argento.
Negli Usa il Parmigiano Reggiano è così popolare che un’agenzia di Hollywood lo ha messo sotto contratto come fosse una celebrity La United Talent Agency si occuperà di trovare al Parmigiano Reggiano opportunità lavorative in film e serie tv.
I farmaci dimagranti come l’Ozempic si starebbero dimostrando efficaci anche contro le dipendenze da alcol e droghe La ricerca è ancora agli inizi, ma sono già molti i medici che segnalano che questi farmaci stanno aiutando i pazienti anche contro le dipendenze.

La situazione della stampa turca vista da Istanbul

Abbiamo trascorso un pomeriggio all'associazione della stampa turca, per farci un'idea di cosa significa fare il giornalista in un Paese dove i giornalisti finiscono in carcere.

04 Maggio 2017

Come in una seduta di autoanalisi collettiva, si prende la parola per raccontare paure e frustrazioni. «Sono giorni difficili, molti dei nostri amici sono in galera, non c’è molto da festeggiare. Ma proprio per questo dobbiamo restare uniti. Solo uniti siamo più forti», dice una giornalista, lunghi capelli neri e cellulare che scivola veloce tra le mani. Ne arriva un’altra: «Quello che adesso mi fa più paura è l’autocensura, l’idea che non riusciamo a fare il nostro lavoro per timore delle conseguenze». Una donna di mezza età spunta in mezzo alla sala, un foglietto ripiegato tra le mani. Lo srotola e inizia a leggere, singhiozzando: «Amore mio, mi manchi tanto. Mi manca la nostra famiglia. Sono sicuro che ci rivedremo presto. Il tuo amato marito». Suo marito è Murat Aksoy, uno dei 163 reporter turchi che mercoledì ha trascorso la Giornata mondiale della libertà di stampa in prigione. Come decine di altri colleghi – e decine di migliaia di altri turchi in genere – è accusato di legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gülen. Un mese fa, un tribunale aveva deciso di liberare lui e altri dodici sospetti. Nemmeno il tempo di preparare le carte, che un altro giudice li ha arrestati di nuovo. Dalla loro prigione di Istanbul non hanno fatto in tempo a uscire. E i giudici che li avevano scarcerati sono stati sospesi pochi giorni dopo.

Istanbul, un tardo pomeriggio di primavera. Giù dalla finestra al quarto piano del palazzo che ospita l’associazione dei giornalisti turchi brillano le acque del Corno d’Oro. A cinque minuti di cammino c’è Santa Sofia, giusto dirimpetto la moschea del sultano Ahmet. Qui tutti hanno un amico, un familiare, un collega in galera. Dopo il fallito colpo di Stato della scorsa estate, la Turchia è tornata a essere la più grande prigione al mondo per i giornalisti. Molti dei detenuti sono i presunti seguaci di Gülen. Poi ci sono i curdi, i laici, i dissidenti. Il record, va detto, non è del tutto nuovo: giorni simili, la stampa turca li aveva vissuti tra il 2012 e il 2013, quando Gülen stava ancora dall’altra parte della barricata: al potere con Recep Tayyip Erdogan. Ora, però, ci sono anche le purghe di massa – in nove mesi almeno 47 mila arrestati e 140 mila epurati – e una cesura ancora più profonda nella società.

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«Il carcere è una specie di tappa obbligata per un giornalista turco, fa parte del suo cursus honorum», mi ha detto una volta Can Dundar. Lo avevano appena rilasciato dopo 92 giorni di prigione. Ex direttore di Cumhuriyet, il foglio dell’intellighenzia laica, in carcere c’era finito per un articolo in cui si svelava il traffico di armi verso la Siria su camion dei servizi segreti di Ankara. Erdogan gli aveva promesso che avrebbe pagato un «caro prezzo» e così è stato. Quando l’ho incontrato di nuovo, un paio di mesi dopo, gli avevano appena sparato davanti a un tribunale, mancandolo da pochi metri. Uno strano attentato, la moglie e un deputato a bloccare e disarmare un aspirante killer evidentemente maldestro. A poche centinaia di metri dalla redazione di Cumhuriyet, dieci anni fa hanno ucciso a sangue freddo e in pieno giorno Hrant Dink, giornalista turco-armeno che denunciava il genocidio nel 1915.

In mezzo a tanti giornalisti, c’è uno scrittore discreto ma sempre presente nelle battaglie per la libertà di espressione, dai picchetti fuori dal carcere di Silivri alle manifestazioni in piazza. Burhan Sonmez, uno dei nomi più apprezzati della nuova letteratura turca, tradotto anche in Italia, ha la voce calma ma non rassicura: «È sempre peggio, e sarà sempre peggio. Ma continueremo a resistere». Ma cosa può fare oggi questa Turchia, per resistere? «Ci siamo, e non ce andremo da nessuna parte», dice una giovane reporter. Ceyda Karan, firma nota di Cumhuriyet, processata per aver pubblicato – unico giornale nel mondo islamico – le vignette di Charlie Hebdo, si lancia in un monologo battagliero.

TOPSHOT-TURKEY-GERMANY-POLITICS-MEDIA-DIPLOMACY

Certo, c’è la solidarietà internazionale, ma qui è anche un problema pratico, economico. Almeno tremila sono i giornalisti che hanno perso il lavoro, anche perché i decreti dello Stato d’emergenza hanno chiuso 170 testate. Gulten, che lavorava all’edizione inglese di Zaman, si è dimessa più di un anno fa, appena il giornale di Gülen è stato commissariato. Qualche mese dopo, del resto, l’hanno definitivamente chiuso: «Ora sono disoccupata, è difficile. Ma la solidarietà è importante, sapere di non essere dimenticati». Alcuni casi sono paradossali. Come quello di Ahmet Sik. Nel 2011 fu arrestato dopo aver scritto un libro che oggi molti considerano profetico, L’esercito dell’imam: una denuncia delle infiltrazioni degli uomini di Gülen dentro la polizia e la magistratura. Esattamente quello che oggi sostiene Erdogan. Adesso l’hanno arrestato di nuovo, stavolta per un presunto sostegno a Gülen. Su di lui circola una battuta: «È un po’ come arrestare Martin Luther King con l’accusa di far parte del Ku Klux Klan”.

In Europa, la situazione della stampa turca preoccupa. I governi, di tanto in tanto, la deprecano. Cambiare il corso delle cose, è un’altra faccenda. Anche volendo, come? Ai leader dell’Unione europea Can Dündar chiedeva, quando era ancora in carcere, di non accettare compromessi su «diritti umani e libertà di stampa». In altre parole, di non firmare l’accordo sui migranti con Erdogan. Un paio di mesi dopo, quel patto finì nero su bianco, in calce le firme dei rappresentanti di Ankara e Bruxelles. Cos’è successo dopo, è cronaca recente.

Un uomo legge il giornale filogovernativo, Gunes, che ritrae Angela Merkel con un’uniforme nazista, Istanbul 17 marzo 2017 (YASIN AKGUL/AFP/Getty Images); Un uomo anziano tiene una copia del Cumhuriyet, giornale laico, in una protesta per la libertà di stampa, Istanbul 1 novembre 2016 (OZAN KOSE/AFP/Getty Images); Un uomo giovane legge il Cumhuriyet durante un’altra manifestazione, del 31 ottobre (OZAN KOSE/AFP/Getty Images)
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