Assieme ad altre aziende dell'intrattenimento giapponese, lo Studio ha inviato una lettera a OpenAI in cui accusa quest'ultima di violare il diritto d'autore.
L’Indie Web, il movimento che vuole tornare a Internet com’era prima che i social la rovinassero
Niente influencer, algoritmi, monetizzazione, multinazionali e performatività: tornare all'internet incasinata e creativa di un tempo è possibile. E visto come sono andate le cose in questi anni, forse pure necessario.
Pochissimi sanno usare internet. Anzi, pochissimi sanno davvero cosa sia. Potrebbero sembrare affermazioni deliranti, dal momento che le nostre vite sono quotidianamente mediate dallo schermo e che le nuove generazioni non hanno conosciuto un mondo offline. Ma non è così. Secondo Eurostat, solo il 55,5 per cento degli europei tra i sedici e i settantaquattro anni possiede competenze digitali di base, con l’Italia indietro di dieci punti rispetto alla media (48,5 per cento al Nord e Centro, 36,1 per cento al Sud). Il 90 per cento delle persone non sa usare la funzione “Trova” all’interno di una pagina web, e il 70 per cento non sa distinguere un annuncio da un risultato organico.
Invece, secondo il prestigioso centro di ricerca “Università della Vita di Eleonora C. Caruso”, chiedere a qualcuno di mandarti una mail, o incollarti un testo, o un link, o salvare un’immagine con “download” anziché uno screenshot, può indurre all’esaurimento nervoso, e si registrano casi di persone che si sono fatte esplodere, dopo che il millesimo utente ha chiesto nei commenti informazioni che erano scritte, belle grandi, nel post appena commentato. Allora perché crediamo di saper usare internet? Perché crediamo che internet siano i social network.
Internet ≠ social media
Complice il fatto che in molti (pare il 95 per cento della popolazione) si connettono quasi solo da smartphone, la rete viene percepita quasi unicamente come una sequenza di feed che scorrono verticalmente sullo schermo, da ricevere passivamente, dove di tanto in tanto qualcuno ti invita a cliccare su un link (“in bio” o “nel primo commento”, s’intende). Se i social sono internet, allora è internet il colpevole delle sensazioni negative che avvertiamo a causa di quel feed: pressione sociale, fallimento, ansia, fretta, impotenza, confronto coi corpi e le vite altrui, invidia, relazioni para-sociali che ci deludono, acquisti compulsivi, depressione e paura a causa del bombardamento continuo di brutte notizie… ma c’è un fraintendimento. Questi sono i social network, non internet.
Chi c’era prima del 2007, anno in cui Facebook è arrivato in Italia, lo sa. La rete era fatta di forum tematici, blog, piattaforme per creativi di tutti i tipi, chat IRC e, soprattutto, di siti. Non le landing page verticali con la grafica responsive e quattro informazioni, attenzione, ma quei bellissimi reticolati di pagine Html, diversi uno dall’altro per aspetto, funzione e contenuto. Internet era uno spazio infinito, creativo, anarchico e caotico. “Navigare” lo descriveva perfettamente: sapevi da dove cominciava il viaggio, ma non dove saresti approdato.
Di quell’internet si parla perlopiù come di un bel ricordo, ma esiste qualcuno che vuole farlo rinascere. E forse, ci sta riuscendo.
Make internet small again
L’Indie Web, o Small Web, è un movimento che mira a decentralizzare gli spazi digitali, per toglierne la proprietà alle multinazionali e restituirla alle persone. Il principio è semplice: ricominciare a costruire e visitare siti, anziché affidarci a piattaforme che ci sfruttano e rimbambiscono in cambio di un piccolo spazio in vetrina.
Visitare l’Indie Web all’inizio è come fare un viaggio nel tempo. Ci sono pagine che ricalcano apposta lo stile di quelle anni Novanta, con tanto di frame laterali, sfondi ripetuti e immancabili gif sgranate di Geocities. Altre prendono a piene mani dai primi anni Duemila, ed è un tripudio di grafiche iper complesse e over effettate, musiche, chatbox, pixel art e blinkies. Altre ancora hanno le grafiche pulite e gradevoli dei blog, o quelle funzionali dei siti monotematici. Ma finita l’adrenalina da nostalgia, diventa chiaro che c’è molto di più.
C’è la volontà di sottrarsi al capitalismo della sorveglianza e dell’attenzione, la ricerca di spazi più autentici, il desiderio di tornare a un web che stimola la curiosità anziché addormentarla. C’è chi rivendica il valore estetico di un sito personale, chi cerca un ambiente creativo e meno uniforme, chi non ne può più di pubblicità, influencer e metriche di successo, chi vede nel possesso del proprio spazio digitale un atto politico, una forma di resistenza.
Ma come funziona? Non è una domanda scontata, con Google che prioritizza ormai da anni risultati sponsorizzati e l’abitudine, ormai radicata, di aspettare che il contenuto giusto ci passi davanti. Un buon punto di partenza sono aggregatori (come Curlie), directory e webring, che elencano siti segnalandoli per categorie, oppure potete provare questo motore di ricerca che predilige l’Indie Web.
Esistono poi portali come Neocities e Nekoweb, che offrono hosting gratuito e una nutrita community di personal websites, cioè siti che raccolgono… be’, tutto quello che al creatore va di condividere col mondo, dalle passioni alle creazioni artistiche. La userbase al momento è composta soprattutto da nerd di pop culture, artisti e web designer, quindi aspettatevi di venire allegramente aggrediti da esplosioni di colori e disordine creativo (e di perdere qualche diottria).
Se prediligete sobrietà e contenuto, vi consiglio di partire dai Digital Garden, un tipo specifico di personal website dove webmaster si propone di creare una sorta di second brain pubblico, con idee, spunti e materiali sparsi, ma anche vere e proprie piccole enciclopedie tematiche di tutto quello che sa su ciò che lo appassiona. Però al centro dell’Indie Web resta un elemento fondativo: la pagina dei link. Ogni sito che si rispetti ne ha una, e aprirla significa imbattersi in elenchi – a volte essenziali, altre sterminati – di indirizzi consigliati dal webmaster. Possono essere affini per tema, collegati ad altre sue passioni, o semplicemente cose che ha trovato interessanti e utili. La pagina dei link, accuratamente creata da qualcuno per voi, rimette al centro la connessione diretta fra persone, senza algoritmi che filtrino o decidano cosa meriti la nostra attenzione.
Le tre leggi dell’Indie Web
Per comprendere davvero l’Indie Web, è necessario sospendere alcune abitudini ereditate dai social network. Tre, in particolare, sono decisive. La prima riguarda l’assenza di celebrità: non esistono gerarchie di popolarità o trend da inseguire. Qui si condivide per il puro piacere di farlo, senza l’assillo dei numeri.
La seconda è l’anonimato, considerato un valore imprescindibile. In un’epoca in cui la trasparenza coincide con l’esposizione totale di sé, l’Indie Web ribalta il paradigma: non fornire dati personali significa protezione, libertà espressiva, minore esposizione a pregiudizi e ritorsioni (e tanto, se qualcuno vuole fare danni sotto falso nome, lo si fa pure coi social, no?).
Infine, la cosa più importante: esplorare è un atto attivo. Richiede curiosità, intraprendenza, e – per chi desidera costruire un sito – un po’ di pazienza, anche se oggi online si trovano molti modi per crearne uno anche senza conoscere una riga di codice o avere un dominio. I social sono progettati per trattenerci, facili da usare e basati su meccanismi di gratificazione immediata. L’Indie Web, al contrario, apre spazi non recintati, che proprio per questo chiedono un ruolo più partecipe a chi li attraversa.
Il ritorno a un web libero dalle logiche capitaliste, creativo, lento, spontaneo, che appartiene a tutti e non a pochi miliardari, è difficile, ma possibile. È un diritto, un piacere e, in questo momento storico, un’urgenza. Nessuno può dirlo meglio di Tim Berners-Lee, il padre del World Wide Web: «È comprensibile che molte persone abbiano paura e che non siano sicure che il web sia davvero una forza benevola. Ma considerando quanto è cambiato negli ultimi trent’anni, sarebbe una sconfitta e una mancanza di immaginazione dare per scontato che quello che è adesso non possa cambiare in meglio nei prossimi trenta. Se ci arrendiamo a non costruire un internet migliore adesso, allora non sarà stato il web a tradirci. Saremo noi ad aver tradito il web».
Etsy Witches, witchtok, gli antri su Instagram e le fattucchiere di Facebook. Per quanto maldestre e talvolta in malafede, le streghe online ci dicono come sta cambiando il nostro rapporto con internet e con la realtà.
Il caso SocialMediaGirls scoppiato in seguito alla denuncia della giornalista Francesca Barra è solo l'ultimo di una ormai lunga serie di scandali simili. Tutti prova del fatto che se non regolamentata, la tecnologia può solo fare danni.