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Chloe Malle è la nuova direttrice di Vogue Us Figlia dell'attrice Candice Bergen e del regista francese Louis Malle, dal 2023 era direttrice del sito di Vogue, dove lavora da 14 anni.
Anche la più importante associazione di studiosi del genocidio del mondo dice che quello che sta avvenendo a Gaza è un genocidio L'International Association of Genocide Scholars ha pubblicato una risoluzione in cui condanna apertamente Israele.
La standing ovation più lunga di Venezia l’ha presa The Rock Per il suo ruolo in The Smashing Machine, il biopic sul lottatore Mark Kerr diretto da Benny Safdie.
Il Ceo di Nestlé è stato licenziato per aver nascosto una relazione con una sua dipendente Una «undisclosed romantic relationship» costata carissimo a Laurent Freixe, che lavorava per l'azienda da 40 anni.
La turistificazione in Albania è stata così veloce che farci le vacanze è diventato già troppo costoso I turisti aumentano sempre di più, spendono sempre di più, e questo sta causando gli ormai soliti problemi ai residenti.
Nell’assurdo piano di Trump per costruire la cosiddetta Riviera di Gaza ci sono anche delle città “governate” dall’AI Lo ha rivelato il Washington Post, che ha pubblicato parti di questo piano di ricostruzione di Gaza che sembra un (brutto) racconto sci-fi.
Stasera La chimera di Alice Rohrwacher arriva per la prima volta in tv, su Rai 3 Un film d'autore per festeggiare l'apertura della Mostra del Cinema di Venezia 2025.

Soccer, questo (ex) sconosciuto

Stato dell'arte del calcio Usa: tra un Beckham che parte e un Henry che arriva, hanno imparato o no?

27 Ottobre 2011

Sono passati quattro anni da quando David Beckham lasciò il Real Madrid per i Los Angeles Galaxy. Dopo due parentesi italiane, pare sia l’ora per Becks di tornare in Europa, nel “calcio che conta”, sponda Paris Saint Germain. Ma siamo sicuri che il calcio a stelle e strisce sia ancora così in ritardo rispetto a quello europeo?
Pubblichiamo una mini inchiesta in due puntate su quello che è stato, quello che è diventato e, forse, quello che sarà il fenomeno soccer. La seconda puntata uscirà lunedì 7 novembre.


È un prurito istantaneo quello che sale dalle viscere al tifoso europeo calcistico quando sente pronunciare la parola “soccer”. La storia, d’altronde, ha visto raramente operazioni di marketing più scellerate della scelta di assegnare un nome “altro” a uno sport diffuso in tutto il mondo (e inventato) sotto il nome di football.
La reazione immediatamente successiva al prurito, poi, consiste di una amalgama di superiorità, disprezzo e compatimento tutta vecchio-mondo-vs-nuovo-mondo, ossia “che ne volete sapere voi, pensate al baseball”. Giustificata, sì, fino a qualche tempo fa, o quantomeno ben supportata dagli spietati, incontrovertibili fatti che vedevano il soccer come una realtà annaspante nel mare magnum dell’efficientissimo sport made in Usa. Una roulotte nascosta dall’ombra dei grattacieli di Manhattan. Ma, prima di esclamare il fatidico “e invece” facciamo un passo indietro.

La Major League Soccer, per come la conosciamo oggi, fu fondata solamente nel dicembre 1993, in seguito al patto stipulato con la FIFA per poter ospitare i mondiali del 1994, storica prima edizione fuori dai confini europei.
Il calcio, nel nuovo mondo, iniziano a praticarlo in concomitanza con il vecchio, ovvero nella seconda metà del 1800. L’Oneida FC fu il primo club a nascere, fondato da un gruppo di liceali provenienti da alcune scuole private di Boston, e segnò l’inizio della – seppur limitata – diffusione del nuovo sport, relegato all’angusto ma necessario recinto dei divertissement upper-class. La prima data sventurata per il pallone “as we know it” recita 1871, quando, in seguito alla scissione della English Football Association in due correnti (una per l’utilizzo delle regole del rugby, l’altra per l’evoluzione in quello che è il moderno calcio), i maggiori college statunitensi optarono per l’opzione rugby. Inutile ricordarlo: il football americano, di gran lunga lo sport ufficiale a stelle e strisce, nacque da qui, mentre il calcio fu condannato a un’inusuale (col senno di poi) sordina. Abbandonato dai college, veri motori sportivi del paese, sopravvisse nelle comunità di immigrati, specialmente est europei.

La prima American Soccer League nacque nel 1921, si estendeva da Boston a Philadelphia e inizialmente, grazie agli ottimi salari proposti, riuscì ad attirare un buon numero di giocatori europei, specialmente austriaci e ungheresi. Nel 1926 un match della tournée estiva del Hakoah Vienna attrasse 46.000 spettatori, record che venne battuto solamente nel 1970 dai New York Cosmos. Il successo durò poco, a causa di una ribellione della ASL nei confronti dell’organo di controllo del calcio americano, la United States Football Association, che “chinò il capo” dinanzi ad alcune regolamentazioni imposte dalla FIFA e concernenti l’ingaggio di giocatori stranieri. Per farla breve, la scissione della federazione dalla USFA, e la conseguente crisi economica del 1929, lasciarono gli Stati Uniti senza una lega professionistica nazionale fino al 1961.
La fine della guerra, le migliorie nella comunicazione e nei trasporti, l’enorme crescita della comunità latina portarono un nutrito numero di investitori e imprenditori a interessarsi al calcio, con la nascita prima della International Soccer League e della North American Soccer League poi, quest’ultima nel 1967, anche riconosciuta dalla FIFA.

Il noioso preambolo analitico finisce qui, e, pur con ancora poche luci e molte ombre, dagli anni ’70 si entra nel periodo finalmente d’oro del soccer, quello dei riflettori, dei milioni di dollari, degli eventi mediatici entrati a pieno titolo nella storia del soccer, pardon, football, mondiale. Il big bang arrivò nel 1975 e fu udito in tutto il mondo: Pelé, ormai 35enne, firmò un contratto con i New York Cosmos. La politica delle squadre americane, che arrivarono a un numero di 24 nel 1978, era chiara e si è mantenuta in vita fino a oggi: reclutare i migliori giocatori del mondo, solitamente a fine carriera, per dare una visibilità globale al campionato, e insieme catturare l’attenzione del pubblico di casa. Dopo O Rei arrivarono negli Usa nomi del calibro di George Best (1976, Los Angeles Aztecs), Giorgio Chinaglia (1976, appena ventinovenne, sempre sponda New York), Gordon Banks (1977, Fort Lauderdale Strikers), Gerd Müller (1979, sempre Fort Lauderdale Strikers), Franz Beckenbauer (1977, New York Cosmos).

In una decina di anni il soccer crebbe vertiginosamente: come sport forniva un’alternativa ideale a hockey, football, baseball, che richiedevano un eccessivo sforzo economico per la necessaria attrezzatura, ma anche al basket, che precludeva per selezione naturale chi non dotato di determinate qualità fisiche; si sviluppò enormemente a livello giovanile; giocatori europei e sudamericani confluivano in numero sempre maggiore in quella che sembra essere tornata, per la seconda volta nella sua storia e per la prima nella storia sportiva, la terra promessa.
Ma il sostanziale dilettantismo imprenditoriale dei manager, i facili entusiasmi e il caro vecchio paraocchi stavano per portare la NASL in un nuovo ennesimo baratro. L’anno fu il 1984, quando ci si accorse che, per i costi troppo alti e i guadagni troppo limitati, non si poteva più alimentare il corpo non più sano di una lega professionistica, e gli Stati Uniti si ritrovarono di nuovo orfani del soccer.

Il 4 luglio 1988, però, Henry Kissinger in persona annunciò che di lì a sei anni il campionato del mondo di calcio (e avrà dovuto pronunciarlo football, quella volta, per forza) si sarebbe tenuto in Nord America. Ma l’accordo stipulato con la Fifa stabiliva l’impegno della USSF nella creazione (di nuovo) di un campionato ufficiale. E nel 1993, moderna fenice a stelle e strisce, ecco che nasceva dalle ceneri di un mucchio confuso di acronimi, vocali e consonanti la Major League Soccer, che avrebbe mosso i primi passi nel mondo sportivo statunitense due anni dopo quella World Cup per noi italiani così funesta alla memoria. Siamo arrivati allo storico marzo 1996.

(la seconda parte verrà pubblicata lunedì 7/11)

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