Nel 2024 la Rai ha compiuto un secolo. Cento anni di radio e settanta di televisione, per essere precisi, e per l’occasione, oltre a uno speciale non proprio brillante affidato a Massimo Giletti, il MAXXI di Roma ha allestito una mostra piena di cimeli del servizio pubblico. È stato lì che, tra uno schermo con i video del maestro Manzi in loop e un Renzo Arbore in filodiffusione, ho avuto un’illuminazione, trovandomi di fronte un abito che Patty Pravo aveva indossato in tv negli anni Sessanta. È un tubino nero di velluto liscio con colletto e maniche ricamate in pizzo, un vestito così vertiginosamente corto che solo le gambe di una diva come Patty potevano compensare; in altre parole, un pezzo di moda in stile Sixties all’italiana straordinario.
E così, come usa fare al giorno d’oggi, lontani anni luce dalle scenografie minimaliste in bianco e nero dello Studio Uno di Via Teulada, nonché dal benessere del boom economico, ho preso il telefono, ho aperto Instagram, ho scattato una foto al vestito nero di velluto e l’ho pubblicato nelle mie stories, scrivendo «come vorrei che Patty Pravo avesse un profilo su Vinted». Le visualizzazioni sono impazzite, i messaggi di consenso per questa proiezione fantastica pure.
Il Tinder dei vestiti
È stato in quel momento che ho avuto l’epifania. La rivoluzione silenziosa di Vinted, che ti cambia lo sguardo sul mondo, il Tinder dei vestiti che libera i desideri e ti apre la strada delle infinite possibilità. Immaginare l’armadio di Marta Marzotto e i suoi caftani messi in vendita, o quello di Marianne Faithfull con le sue ballerine argentate, le minigonne di Twiggy, le camicie di Monica Vitti, non era più un sogno così assurdamente irraggiungibile, soprattutto dal momento in cui persino Alexa Chung, icona della moda indie anni Zero, dispensatrice di trend e musa creativa di qualsiasi ragazza nata tra gli anni Novanta e i Duemila che abbia ascoltato qualche secondo di Mardy Bum, ha davvero aperto un profilo dove vende i suoi vestiti. Purtroppo, per colpa della Brexit, noi orfane di Circolo degli Artisti e di programmi su MTV di Carlo Pastore non possiamo acquistarli dall’Italia, ma insomma, è il pensiero che conta. E poi ci si può sempre consolare acquistando i vestiti usati (e forse zozzi) di Paul Mescal, con l’ulteriore consolazione che i soldi della transazione vanno pure a una buona causa, qualunque essa sia.
È l’idea di poter entrare fisicamente nella vita di una celebrità e rovistare nel suo armadio, una sorta di Bling Ring senza criminalità o esproprio proletario, giusto il prezzo della spedizione. E poi, per certi versi, è anche un comodo viaggio nel tempo.
Oltre lo spazio e il tempo
La prima cosa che ho cercato quando ho deciso di scaricare l’app, dopo anni di resistenza dovuta alla pubblicità martellante che mi bombardava su qualsiasi piattaforma e a un certo scetticismo luddista da Millennial cresciuta nei mercati dell’usato, è stata American Apparel. Nella mia personale versione di Ritorno al Futuro in chiave vestiaria, l’idea era quella di ritrovare gli abiti che da adolescente ho bramato ma che non mi sono potuta permettere, tranne in qualche rarissima occasione.
Il risultato della spedizione archeologica è stato sorprendente: in pochi secondi, ero di nuovo nel cuore del Rione Monti, nel 2011, a frugare tra gonne svasate e calzettoni a righe di spugna in pieno stile Terry Richardson della tangenziale est. Un po’ come nel 2015, quando per la prima volta ho installato la dating app più famosa di sempre, trovandoci dentro non solo svariati parlamentari del 5 Stelle ma anche qualche partner più o meno decente, la sensazione è stata quella di aver sbloccato un livello esistenziale in cui niente e nessuno avrebbe più fermato gli impulsi del mio cervello, fossero questi indossare degli shorts di jeans a vita alta come una protagonista di Girls a spasso per New York o farmi offrire la cena da Roberto Fico – nessuna delle due cose è successa davvero, ma insomma.
E così, la gig economy piega il tempo e lo spazio, specialmente quello che intercorre tra Italia e Francia, luogo con più utenti registrati e con i quali bisogna saper tessere delicati rapporti diplomatici al fine di non farsi lasciare recensioni negative. La startup «unicorno» lituana entra a gamba tesa nella crisi etica e materiale del momento, mentre da un lato il pianeta ci implora di consumare meno per evitare l’estinzione e dall’altro troviamo i supermercati con le mele impacchettate singolarmente. Rimettere in circolo tutto ciò che possediamo, svuotare l’armadio come nelle migliori delle tradizioni alla Marie Kondo, in un gesto che più che di mindfulness definirei di mindemptiness, emanciparsi dall’incubo delle passioni nuove e col cartellino, per para-citare il Maestro, e chissà che ci sarebbe sul profilo Vinted di Battiato, il colbacco anni Ottanta? I suoi famosi Persol?
Salvare la Terra un acquisto alla volta
In altre parole, smetterla di comprare cose nuove che non ci servono senza diventare asceti o francescani, dal momento che ne esistono di vecchie in condizioni perfette, o al massimo con qualche macchiolina da segnalare in descrizione. Oltre la comodità di eBay, più efficace di un gruppo su Facebook, la vera svolta di Vinted sta soprattutto nella facilità con cui si riescono a spedire le cose in vendita, facendo sì che i suoi utenti entrino in un circolo vizioso per cui anche chiudere un affare a tre euro sembri sensato.
Parlandone con una ragazza del 2003, campione casuale di zoomerismo, mi spiega che il suo utilizzo di Vinted è molto diverso dal mio da passatista che si fomenta a fare Cash or Trash con i Levi’s non più in produzione: lei, per esempio, vende e compra tutto, persino le cianfrusaglie da buttare, pure i jeans di H&M acquistati a diciannove euro e novanta e rivenduti a quattro, Ok il prezzo è giusto per lo sfruttamento del fast-fashion.
Se video killed the radio star, allora, Vinted killed the senso di colpa nel provare desideri materiali che non si appagano mai davvero se non per qualche momento di trascurabile felicità indotta dall’acquisto di un pile Patagonia a metà prezzo? Certo, spedire pacchi su pacchi, per quanto tu possa riciclare l’imballaggio, non è una soluzione concreta al riscaldamento globale, ma almeno ci evita di accumulare oggetti nuovi che nella maggior parte dei casi hanno una pura funzione simbolica che niente ha a che vedere col bisogno reale.
È il capitalismo, bellezza, e quel paio di scarpe Salomon praticamente nuove che hai trovato da un rivenditore spagnolo con tante stelline nelle recensioni e la foto profilo con il cane in montagna non ti salverà né ti renderà una persona migliore, forse solo un po’ più cool. D’altro canto però, come si dice, se non puoi uscire dal tunnel, arredalo, magari appendendo un abito preso direttamente dall’armadio di Alexa Chung a un terzo del suo prezzo originale.