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20:02 martedì 1 luglio 2025
L’Unione Europea ha stabilito che sapere quanto guadagnano i propri colleghi è un diritto Lo ha fatto con una direttiva che l’Italia deve recepire entro il 2026. L'obiettivo è una maggiore trasparenza e, soprattutto, contribuire alla diminuzione del gap salariale tra uomini e donne.
Grazie all’accordo tra Netflix e la Nasa ora si potrà fare binge watching anche dell’esplorazione spaziale Il servizio di streaming trasmetterà in diretta tutta la stagione dei lanci spaziali, comprese le passeggiate nello spazio degli astronauti.
Gli asini non sono affatto stupidi e se hanno questa reputazione è per colpa del classismo Diverse ricerche hanno ormai stabilito che sono intelligenti quanto i cavalli, la loro cattiva fama ha a che vedere con l'associazione alle classi sociali più umili.
In Turchia ci sono proteste e arresti per una vignetta su Maometto pubblicata da un giornale satirico Almeno, secondo le autorità e i manifestanti la vignetta ritrarrebbe il profeta, ma il direttore del giornale ha spiegato che non è affatto così.
Una delle band più popolari su Spotify nell’ultimo mese è un gruppo psych rock generato dall’AI Trecentomila ascoltatori mensili per i Velvet Sundown, che fanno canzoni abbastanza brutte e soprattutto non esistono davvero.
A Bologna hanno istituito dei “rifugi climatici” per aiutare le persone ad affrontare il caldo E a Napoli un ospedale ha organizzato percorsi dedicati ai ricoveri per colpi di calore. La crisi climatica è una problema amministrativo e sanitario, ormai.
Tra i contenuti speciali del vinile di Virgin c’è anche una foto del pube di Lorde Almeno, secondo le più accreditate teorie elaborate sui social sarebbe il suo e la fotografia l'avrebbe scattata Talia Chetrit.
Con dei cori pro Palestina e contro l’IDF, i Bob Vylan hanno scatenato una delle peggiori shitstorm della storia di Glastonbury Accusati di hate speech da Starmer, licenziati dalla loro agenzia, cancellati da Bbc: tre giorni piuttosto intensi, per il duo.

La vita raccontata con gli aerei

In Turbolenza David Szalay racconta di distanze geografiche brevissime e rapporti umani incolmabili.

24 Settembre 2019

Ci sono molti modi in cui un’opera d’arte, che sia un film o una scultura o un libro, può riuscire a rappresentare l’epoca in cui è nata, e Turbolenza di David Szalay trova una soluzione originale e interessante: attraverso gli aerei. Non gli aerei intesi in senso ingegneristico, apparecchi in grado di volare da Delhi a Francoforte a una determinata distanza velocità per un determinato numero di ore, ma piuttosto intesi come esperienza di spostamento, come modo in cui hanno modificato – accorciato, sì, ma scavato in senso più profondo – il rapporto dell’umanità con se stessa e con il mondo.

Turbolenza è un libriccino breve e spezzettato in dodici storie corte meno di una decina di pagine – la contemporaneità, appunto: anche volendo, difficile distrarsi prima di averne finita una – che si concentrano su dodici tratte aeree. Non sono racconti di volo: gli spostamenti sono uno sfondo, sono un bell’accessorio le bibite servite a bordo, i sedili reclinati per dormire nelle tratte notturne, gli annunci rituali del capitano, i controlli a terra, i ronzii rilassanti dei reattori una volta raggiunta la quota di crociera. Non è un romanzo di viaggio, e con la letteratura di viaggio non ha niente a che fare, e non è nemmeno un romanzo sul volare o l’aviofobia: la turbolenza del titolo, allora, che c’entra?

C’entra con la vita dei protagonisti che entrano ed escono dalle dodici storie, che non sono racconti indipendenti perché sono tutte legate l’una all’altra, in un lungo viaggio intorno al mondo: si parte da Londra, in viaggio verso Madrid, e nel secondo capitolo si va da Madrid a Dakar, per poi muoversi dalla capitale del Senegal a San Paolo, da San Paolo a Toronto, a Londra. La protagonista del primo viaggio incontra il protagonista del secondo, che a sua volta ha a che fare con l’attore principale del terzo, che ci introdurrà a quello del quarto, e via dicendo. Ogni tratta – ogni storia – ha come titolo soltanto il codice aeroportuale IATA: LGW – MAD, MAD – DSS, e così via. È una scelta che riflette il ruolo del trasporto aereo nella struttura del libro: presenza quotidiana nella vita di una consistente parte della popolazione mondiale, non più vettore attraverso cui visitare soltanto un mondo altro ed esotico, ma affetti, parenti o colleghi di un’umanità sparpagliata come non mai. E le sigle sono quindi familiari, parliamo infatti spesso di Gatwick, di JFK, Orly e Linate, non più di Londra, New York, Parigi e Milano, sintomo di come gli aeroporti, rispetto alle città a cui si appoggiano, sono diventati luoghi diversi e dotati di un’identità loro, smentendo Marc Augé in appena una ventina di anni.

Aerei e aeroporti sono luoghi perfetti per contenere e far viaggiare storie, e sono anche posti che si prestano bene a simboleggiare questo contemporaneo nato il giorno in cui due aerei vennero usati come bomba contro le torri simbolo dell’Occidente. È anche, il mondo aeroportuale, un mondo diverso da quello normale e terrestre, capovolto per molte ragioni, in cui giorno e notte smettono di esistere con i ruoli che siamo soliti attribuire loro, in cui beviamo birre e superalcolici all’alba o insieme a un cappuccino e guardiamo poi film per ore dopo il tramonto senza riuscire a prendere sonno, dormiamo per tutto il giorno e mangiamo senza soluzione di continuità, ce ne stiamo seduti per 12 ore di fila in pace di fianco a due estranei, e il tutto senza che venga disturbata alcuna convenzione sociale.

Le mete del libro formano un anello: si parte come detto da Londra, si attraversa mezzo mondo fino a Hong Kong e Ho Chi Minh City, e a Londra alla fine si torna via Budapest. L’espressione giro del mondo, in questa contemporaneità, ha perso il suo carico iperbolico o futuristico per diventare una cosa semplice e realistica per sempre più persone: il numero di persone che si spostano per via aerea, nel mondo, continua a crescere (più di 4 miliardi di passeggeri nel 2017, più o meno il doppio rispetto a un anno prima) così come cresce la familiarità con tratte, scali e scelte aeroportuali (quello è collegato male, in questo si mangia bene invece, se devi andare in quel quartiere meglio atterrare qui). Le distanze tra i luoghi sono ponti brevissimi, dice Szalay con questo carosello, ma incolmabili quelle tra le persone: ogni storia messa in scena è la storia di un rapporto in cui i ponti, al contrario, sono rotti e instabili, l’empatia azzerata, i sentimenti lasciati indecifrati in lingue sconosciute. Sono madri e figli, donne sposate e amanti, capi e dipendenti, mariti e mogli, e sono tutti chiusi dietro fortezze di imbarazzi e paure, e invece velocissimi nel muoversi dal Canada alla Cina, dalla Cina all’India, dall’India all’Ungheria. È un contrasto semplice, ma le idee in fondo sono tutte semplici, eppure è gestito da Szalay in modo da creare una piccola macchina perfetta: delicato, per riuscire a fare bella letteratura, tagliente, per entrare in profondità nei sentimenti, ed elegante, per ammiccare agli stili di vita e alla contemporaneità.

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