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21:54 giovedì 25 dicembre 2025
Migliaia di spie nordcoreane hanno tentato di farsi assumere da Amazon usando falsi profili LinkedIn 1800 candidature molto sospette che Amazon ha respinto. L'obiettivo era farsi pagare da un'azienda americana per finanziare il regime nordcoreano.
È morto Vince Zampella, l’uomo che con Call of Duty ha contribuito a fare dei videogiochi un’industria multimiliardaria Figura chiave del videogioco moderno, ha reso gli sparatutto mainstream, fondando un franchise da 400 milioni di copie vendute e 15 miliardi di incassi.
A Londra è comparsa una nuova opera di Banksy che parla di crisi abitativa e giovani senzatetto In realtà le opere sono due, quasi identiche, ma solo una è stata già rivendicata dall'artista con un post su Instagram.
Gli scatti d’ira di Nick Reiner erano stati raccontati già 20 anni fa in un manuale di yoga scritto dall’istruttrice personale d Rob e Michele Reiner Si intitola A Chair in the Air e racconta episodi di violenza realmente accaduti nella casa dei Reiner quando Nick era un bambino.
Il neo inviato speciale per la Groenlandia scelto da Trump ha detto apertamente che gli Usa vogliono annetterla al loro territorio Jeff Landry non ha perso tempo, ma nemmeno Danimarca e Groenlandia ci hanno messo molto a ribadire che di annessioni non si parla nemmeno.
Erika Kirk ha detto che alle elezioni del 2028 sosterrà J.D. Vance, anche se Vance non ha ancora nemmeno annunciato la sua candidatura «Faremo in modo che J.D. Vance, il caro amico di mio marito, ottenga la più clamorosa delle vittorie», ha detto.
A causa della crescita dell’industria del benessere, l’incenso sta diventando un bene sempre più raro e costoso La domanda è troppa e gli alberi che producono la resina da incenso non bastano. Di questo passo, tra 20 anni la produzione mondiale si dimezzerà.
È appena uscito il primo trailer di The Odyssey di Nolan ed è già iniziato il litigio sulla fedeltà all’Odissea di Omero Il film uscirà il 16 luglio 2026, fino a quel giorno, siamo sicuri, il litigio sulle libertà creative che Nolan si è preso continueranno.

Tra moglie e marito

Quanto immaginiamo di una coppia osservandola da fuori? Uno sguardo ad alcuni film e libri anche recenti che rappresentano il matrimonio: Olive Kitteridge, Margaret e Walter Keane, Gone Girl e quei velleitari "non ci lasceremo mai".

15 Gennaio 2015

La storia di un matrimonio è un romanzo di Andrew Sean Greer pubblicato nel 2008. È il mio piccolo benchmark personale quando si parla (quando?) di quel che si nasconde dietro una qualunque storia di un qualunque matrimonio, appunto. Dopo qualche pagina si viene a sapere che il marito è omosessuale, e non è poi una gran scoperta. Più avanti, che i due protagonisti (abitano nella San Francisco degli anni Cinquanta, sono medio-borghesi, abbastanza colti) sono afroamericani. Il secondo colpo di scena, quello vero, riguarda più la manipolazione del lettore che i segreti inconfessabili di un’unione apparentemente perfetta. Ma risponde allo stesso quesito: quanto immaginiamo di una coppia quando la osserviamo da fuori? Quanto siamo disposti ad alterare lo stato del matrimonio, quello altrui come – eventualmente – il nostro?

Con la stessa disonestà nei confronti del lettore gioca Gillian Flynn nel suo Gone Girl, aka L’amore bugiardo. Per metà romanzo racconta la storia della moglie affranta, tradita, forse fatta fuori dal marito (aveva pure un’amante, non può che essere lui l’assassino!). Poi – adesso si può dire, il film tratto da Flynn e diretto da David Fincher ha superato i sette milioni di euro di incasso in Italia – la mostra per quello che è realmente: una povera pazza. Quando Nick e Amy Dunne, i due protagonisti del libro e del film, si chiudono forse definitivamente la porta alle loro spalle, non sapremo mai su che cosa decideranno di fondare il loro equilibrio coatto ma rinnovato. Sul perdono? Sull’eterna frustrazione? Sull’impossibilità (o l’incapacità) di lasciare il coniuge? L’ultimo è il nodo cruciale nella maggior parte dei casi di nera, pure quelli recenti: dal triplice omicidio di Motta Visconti a – forse – l’ancora insabbiatissima vicenda Elena Ceste. Ma qui non siamo su Cronaca vera, quindi procedo oltre.

Il punto è un altro: da una parte si rivendicano per giusta causa diritti anche matrimoniali (a proposito: al cinema c’è ancora Pride, gay e minatori uniti nella lotta delle minoranze), dall’altra il ritratto della coppia al cinema tende all’horror, inteso come genere precisamente codificato. È il 2015, e siamo ancora a Peyton Place.

Da un paio di settimane è nelle sale Big Eyes di Tim Burton, bellissimo e più psicanalitico di quel che sembra. Agli ultimi Golden Globe l’han fatto correre nella categoria «Commedie e musical», in realtà è pure questo un melodramma dell’orrore.

Da un paio di settimane è nelle sale Big Eyes di Tim Burton, bellissimo e più psicanalitico di quel che sembra. Agli ultimi Golden Globe l’han fatto correre nella categoria «Commedie e musical», in realtà è pure questo un melodramma dell’orrore. È la storia incredibilmente vera di Margaret e Walter Keane: la prima dipingeva quei tremendi quadri di bambini con gli occhioni (appunto) che finivano sui calendari delle casalinghe disperate, il secondo per dieci anni se ne attribuì la paternità. Erano entrambi due freak, ben inteso, e l’unione di convenienza o mutuo soccorso tra picchiatelli (anche più lievi di questi) è prassi assai comune. Ma – mi darete della senonoraquandista della prima ora – c’è dell’altro: ovvero la moglie che si fa da parte perché il marito ha stabilito che è giusto così, in società ci stanno gli uomini, io mi chiudo nella mia stanza tutta per me. Ma no, Cristina Comencini, non mi avrai: anche Margaret sceglie. Sceglie Walter e quella vita da reclusa.

La sua stanzetta, per la precisione, è l’atelier con tutti quei bruttissimi orfanelli che occhieggiano dalle pareti, e non è dissimile dal capanno degli attrezzi in cui Amy lascia gli oggetti che incastrerebbero lo sprovveduto Nick. Sono i ninnoli che scandiscono le giornate di tutte le coppie: i quadretti alle pareti come i regali, i cotillons della gabbia in cui – dice il cinema – si è precipitati, molto spesso manco dorata. Amy lascia come firma le marionette di Punch e Judy, i pupazzi inglesi che se le danno di santa ragione dalla mattina alla sera e che finiscono per ammazzarsi. Sono un tradizionale spettacolo per bambini, del resto si sa che nelle favolette più ingenue c’è tutta la verità, nient’altro che la verità.

Amy lascia come firma le marionette di Punch e Judy, i pupazzi inglesi che se le danno di santa ragione dalla mattina alla sera e che finiscono per ammazzarsi. Sono un tradizionale spettacolo per bambini, del resto si sa che nelle favolette più ingenue c’è tutta la verità, nient’altro che la verità.

Olive Kitteridge – dal 23 gennaio va in onda su Sky Atlantic la bella omonima miniserie ispirata al romanzo premio Pulitzer di Elizabeth Strout – è un’insopportabile comare del Maine, impicciona, bisbetica, ma anche ragionevole nel suo pragmatico cinismo. La interpreta nel film Frances McDormand, e non potrebbe esserci scassapalle più adorabile. Suo marito Henry (Richard Jenkins) è un brav’uomo, distinto, come si usa dire, si lascia far su da quell’altra come vuole, tanto anche a replicare non cambia niente. Ha una farmacia e, morta la commessa storica, si trova ad assumere una giovane bruttina ma di cuore, timida, con una buona parola per tutti, immersa nel suo mondo di gattini e biglietti di Natale. Per un attimo vede la donna che ha sempre desiderato, dolce e docile. Ma ogni sera torna alla tavola di Olive, un cucchiaio di zuppa calda e un altro rimprovero. Non era quella la vita che sognava da bambino, ma che ci volete fare: è il matrimonio, mi è toccata lei, va così. Tanto non cambia niente.

È un film dell’orrore, volutamente ben sistemato tra Rosemary’s Baby e Dario Argento, anche Hungry Hearts, favoloso, esce oggi. Saverio Costanzo ha preso il romanzo di Marco Franzoso Il bambino indaco e l’ha fatto diventare una delle più puntuali ricognizioni della coppia a memoria recente. Vi diranno che è il film dei vegani schizzati, delle ossessioni organic, del troppo amore a chilometro zero. Anche. In realtà è la storia di un uomo (Jude, ovvero Adam Driver) che non sceglie mai e di una donna (Mina, ovvero Alba Rohrwacher) che sceglie troppo per entrambi. Succede quasi sempre. In realtà scelgono anche loro: di sposarsi dopo un niente, e di fare un bambino, e di amarlo troppo, e di amarsi troppo. Io non lascio te, tu non lasci me. È impossibile. Scegliamo tutti, finché una pastasciutta gluten-free non ci separi.

Amy, Margaret, Olive, Mina: le pazze. Ma anche no. Nick, Walter, Henry, Jude: le vittime. Ma anche no. Tutto si sceglie e tutto si tiene, in tutte le storie di tutti i matrimoni. O forse serve una parola nuova. Non chiamiamolo più matrimonio. O forse davvero, quando ci chiuderemo quella porta alle nostre spalle, finiremo tutti per ammazzarci.

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