Stili di vita

Tovagliette — Carbonara

Insulti, lettere minatorie, scomuniche: ecco cosa succede a chi cerca di descrivere la cremosità violenta della carbonara.

di Tommaso Melilli

Paul Rozin è un illustre docente di psicologia dell’università della Pennsylvania. Com’è noto, le leggi dell’accademia costringono chi vi lavora a concentrare le proprie ricerche su alcuni argomenti specifici, se non addirittura, per tutta la vita, su un argomento solo. Paul Rozin, per esempio, è considerato il più importante esperto mondiale del disgusto. Le sue ricerche si basano su due concetti fondamentali, che secondo lui convivono nella nostra mente ogni volta che ci troviamo davanti a qualcosa da mangiare: la neofilia, da una parte, è la curiosità che proviamo verso ingredienti nuovi e sconosciuti al nostro palato; la neofobia è invece, com’è facile intuire, il sentimento opposto per questi stessi ingredienti, che può spaziare da una moderata diffidenza alla la paura, fino all’orrore.

Per Rozin entrambe le sensazioni sono sempre presenti, sebbene con intensità diverse, nella psiche dell’essere umano che dice «buon appetito». Per alcuni di noi, la neofilia è dominante, mentre per altri comanda la neofobia: nella maggior parte dei casi, le due tendenze si mescolano in modo indistinguibile. L’orrore e la paura per un ingrediente sconosciuto, secondo Rozin, sono la valvola di sicurezza, istintiva e animale, che ci protegge dalla nostra scatenata curiosità.

Tuttavia, raramente mangiamo gli ingredienti tali e quali: li mangiamo mescolati gli uni agli altri, e soprattutto li mangiamo brasati, bolliti, spadellati, marinati, sferificati e fritti, in alcuni casi molto fritti. Quando cuciniamo ingredienti o piatti di origine lontana, tendiamo a modificare la ricetta, quasi inconsciamente, sostituendo salse, spezie e tecniche appartenenti alla nostra tradizione. Attenuiamo così il conflitto fra neofobia e neofilia, trovando un compromesso fra la curiosità per ciò che è diverso e il terrore.

Voilà: è per questo che i francesi mangiano la carbonara con la panna. Non è colpa loro, è psicologia. Ora, a me la carbonara non fa nessuna paura, anzi. Sono invece terrorizzato all’idea di scriverne la ricetta. La mia ricetta della carbonara non andrà mai bene. Inutile dire che non ci va assolutamente la cipolla, che si deve cominciare col guanciale a secco nella padella, facendolo sudare fino a quando diventa appena croccante. Non mi salverà specificare che il guanciale non va tagliato con un coltello professionale, che creerebbe dei cubetti troppo cubici, mentre invece, tagliandolo con un coltello da tavola, di quelli seghettati che non tagliano mai, il guanciale sarà piacevolmente imperfetto, con qualche minuscola propaggine quasi carbonizzata. Sarà vano dire che le uova devono essere a temperatura ambiente, e che servirà un tuorlo per ogni cento grammi di pasta più uno per la zuppiera. Senz’altro i tuorli verranno sbattuti con del pecorino grattugiato, molto pepe nero e un pizzico di sale. E poi la scelta della pasta: dirò che chi conosce i segreti della carbonara sa che gli spaghetti vanno bene, ma molto meglio sono le mezze maniche. Perché quando si mescola rapidissimamente tutto quanto nella zuppiera con poca acqua di cottura il pezzetto di guanciale s’intrufola inevitabilmente nella mezza manica, non visto, producendo così il fenomeno noto come “sorpresone”. Specificherò che si dovrà aggiungere altro pepe e altro pecorino sul piatto, che tutto andrà consumato velocemente. Ricorderò che l’unità di misura, per la carbonara, non sono i grammi di pasta: sono i pacchi.

Ma tutto ciò non basterà. Perché già so cosa succederà ora che ho cercato di descrivere la cremosità violenta della carbonara: riceverò insulti, lettere minatorie, scomuniche, c’è chi auspicherà punizioni, damnatio memoriae, ostracismo, esilio. Spero solo che una volta che i troll mi avranno catturato, quando mi guarderanno prima di decidere il colpo di grazia, ci sarà magari un troll che si lascerà un po’ intenerire e dirà ai suoi compagni che, insomma, non è colpa mia: è psicologia.