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La Nasa smetterà di studiare la crisi climatica perché secondo il suo capo non è una questione che la riguarda Sean Duffy ha detto che la Nasa deve dedicarsi solo all'esplorazione spaziale, non «a tutte queste scienze terrestri».
In autunno uscirà il memoir postumo di Virginia Giuffre, una delle principali accusatrici di Jeffrey Epstein Si intitola Nobody’s Girl, Giuffre lo avrebbe completato pochi giorni prima di suicidarsi, il 25 aprile scorso.
L’equivalente irlandese di Trenitalia ha introdotto una pesante multa per chi ascolta musica o guarda video senza cuffie sul treno Ireland’s Iarnród Éireann (Irish Rail) ha avvertito i suoi passeggeri: da adesso in poi, chi non tiene le cuffie e il volume basso, pagherà 100 euro di multa.
La Mostra del cinema di Venezia non è ancora iniziata e c’è già una prima polemica Ad accenderla è stata la lettera aperta di Venice4Palestine, firmata da decine di artisti italiani e stranieri, in cui si chiede alla Biennale di esprimersi a sostegno di Gaza e contro Israele.
Daniel Day-Lewis non recita più ma ha fatto un’eccezione per il film d’esordio di suo figlio  Sono passati otto anni dalla sua ultima volta, ha interrotto il pensionamento per fare il protagonista nell'opera prima del figlio Ronan.
Il rebranding dell’Eurovision per il 70esimo anniversario non sta andando per niente bene Il nuovo logo, soprattutto, non piace né ai fan né ai graphic designer, che già chiedono di tornare alla versione precedente.
L’organizzazione che monitora la sicurezza alimentare nel mondo ha confermato per la prima volta che a Gaza c’è una carestia Secondo l'Integrated Food Security Phase Classification, organizzazione alla quale si affida anche l'Onu, a Gaza la situazione è di Carestia/Catastrofe umanitaria.
Il nuovo trailer del Mostro conferma che la serie di Stefano Sollima è uno dei titoli imperdibili della Mostra del cinema di Venezia Dopo la prima a Venezia sarà disponibile su Netflix a partire dal 22 ottobre.

Atlante delle isole che non ci sono più

Terremoti ed eruzioni vulcaniche come quella che ha stravolto l'arcipelago di Tonga fanno parte della storia del nostro Pianeta: i volumi scientifici e i racconti mitologici sono pieni di racconti di paradisi naturali cancellati all'improvviso.

23 Gennaio 2022

L’esplosione del vulcano a Hunga Tonga−Hunga Haʻapai ha riportato alla mente certi cataclismi naturali (e soprattutto divini) raccontati nella Bibbia. Ma ci ha inoltre costretto a fare i conti con dinamiche naturali, spiazzanti al limite della beffa. Nell’epoca dei voli supersonici e del digitale ovunque, ci siamo così ritrovati davanti a immagini di isole scomparse nel nulla, coperte dalla cenere e inghiottite dall’Oceano. Ciò che prima era visibile su Google Earth, ora non c’è più. Vivendo in un tempo di accumulo e di ammasso, abbiamo dovuto fare in conti con sottrazione e dispersione.

Gli scienziati hanno calcolato che l’eruzione del 15 gennaio nel Regno di Tonga è stata 500 volte più potente della bomba atomica sganciata su Hiroshima. E che le colonne di gas, fumo e cenere fuoriuscite dal cratere sottomarino hanno sfiorato i 20 km di altezza. Per quanto le conseguenze dell’eruzione siano ancora da misurare con precisione e gli esperti ancora non abbiano capito le cause di un evento di tale violenza, ci sono delle certezze che già adesso rendono quanto successo nell’arcipelago di Tonga uno dei più sconvolgenti disastri naturali della storia recente. L’onda d’urto generata dall’eruzione è stata avvertita in tutto il mondo, il rumore dell’esplosione vulcanica si è sentito in tutto il Pacifico, dalle Fiji all’Alaska. Le onde dello tsunami che è venuto dopo l’eruzione sono arrivate fino in Nuova Zelanda e in Alaska, impiegandoci rispettivamente cinque e dieci ore. Cambiamenti nella pressione atmosferica dovuti all’eruzione del vulcano sono stati rilevati in Europa, a 15 ore di distanza dall’esplosione.

Eppure, senza scomodare per forza il mito di Atlantide, di paradisi spazzati via da mappe e cartografie − quello polinesiano è lambito da spiagge bianche e barriere coralline ricoperte da foreste tropicali − sono piene pubblicazioni scientifiche e volumi di mitologia. Le cause? Sempre le stesse: eruzioni vulcaniche, terremoti, catastrofi varie ma soprattutto il global warming, che si sta rivelando peggio di una piaga ultraterrena.

Uno degli ultimi  scorci di terra divorati dal mare riguarda Tebua Tarawa e Abanuea, coppia di isole della Repubblica di Kiribati, sommerse nel Pacifico nel 1999. La prima, priva di abitanti, era usata soprattutto come base per i pescatori locali. La seconda, il cui nome per ironia della sorte, significa “la spiaggia che dura a lungo”, era disabitata da tempo. Entrambe sono scomparse per l’innalzamento del livello dei mari dovuto al riscaldamento globale. Recente è anche la vicenda di Jólnir, ex isola vulcanica a sud dell’Islanda, chiamata così in onore del dio Odino. Affiorata nel 1966 a causa dell’attività tettonica, si è inabissata poco dopo insieme al vulcano che l’aveva generata.

Sempre a nord, si trova, o meglio, si trovava Jordsand, microscopica porzione di terra danese nel mare dei Wadden. L’oasi, chiamata Isola del Cervo, pare fosse un tempo collegata alla terraferma. Ma territorio si è via via come prosciugato: nel 1200 la superficie era di 20 km², nel 1600 era scesa a 6. Alla fine dell’800 una violentissima tempesta distrusse quello che era rimasto: una semplice collinetta. Oggi il nome dell’isola rivive in una delle più antiche organizzazioni ambientaliste della Germania, la Verein Jordsand, istituita nel 1907.

Il tour fra le isole “che non ci sono più” prosegue fino al Golfo del Bengala. Qui si trovava fino a poco tempo fa Lohachara, situata nell’area del delta dei fiumi Gange e Brahmaputra, al confine fra India e Bangladesh. Contava diecimila abitanti, gli stessi di Bordighera o Caorle, e negli anni Ottanta è stata rapidamente risucchiata nei gorghi oceanici. Nessuna lenta erosione, ma ondate violente, cadute come frustate su villaggi, campi e riserve di acqua dolce. Una fine velocissima, causata ancora una volta dal global warming.

Andando più in là nel tempo scopriamo la storia di Antirodi, sommersa nel golfo del porto di Alessandria d’Egitto intorno al 300 d.C. in seguito a non precisate catastrofi naturali. Narra la leggenda che proprio qui si trovasse il Palazzo reale di Cleopatra, circondato da giardini e da un piccolo porto. Oppure quella dell’Ilha Sabrina, spuntata quasi all’improvviso dal mare nel 1810 a pochi km dalle Azzorre, innalzatasi fino a quasi 150 metri e poco dopo tornata negli abissi marini.

Anche in Italia non mancano apparizioni e sparizioni miracolose. Come quella di Zanara, scoperta a metà tra il Giglio e Giannutri tra il 1589 e il 1720, riprodotta nel 1670 nella Carta di Stato del Papa e poi sommersa fino a trenta metri di profondità, mezzo secolo più tardi.

Ma il caso più eclatante di tutti è legato alla Ferdinandea. Avvistata nel 1831 nel canale di Sicilia, tra Sciacca e Pantelleria, dopo un’eruzione vulcanica sottomarina, scomparve l’anno dopo. Una vita brevissima a cui fa da contraltare la lunga diatriba legata al suo passaporto. L’isoletta, infatti, citata da Flaubert e Giulio Verne, era un punto di attracco strategico sia mercantile che militare nel Mediterraneo e faceva gola a Inghilterra, Regno delle due Sicilie e Francia. Se la contenderanno qualche mese, giusto il tempo affinché la natura rimettesse le cose a posto, facendola nuovamente scomparire sott’acqua. Della Ferdinandea si è tornati a parlare nel 1986 quando la Marina americana la scambiò per un sottomarino libico e la colpì con un missile. Come a dire: la natura non si accontenta solo di farsi beffe dell’uomo, ma vuole infierire.

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