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Perché non siamo ancora capaci di prevedere i terremoti

Di fronte alle immagini della devastazione causata dal terremoto in Turchia e Siria, viene spontaneo chiedersi – desiderare – se esiste un metodo per prevedere l’arrivo di un sisma ed evitare così il disastro. Come scrive Pranshu Verma sul Washington Post, però, la questione della previsione dei terremoti è delicatissima. Per più ragioni. La prima è sicuramente l’urgenza con la quale la comunità scientifica mondiale sta da anni cercando un metodo, un modello, una formula che permetta di raggiungere questo obiettivo: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, negli ultimi vent’anni quasi metà delle morti causate da disastri naturali sono dovute a terremoti. Purtroppo, nonostante gli sforzi, ancora oggi la grandissima maggioranza dei geologi afferma che è impossibile prevedere con accuratezza l’arrivo di un terremoto: il motivo principale è che condurre un’analisi costante delle condizioni della crosta terrestre è un’impresa che va ancora al di là delle umane capacità. I movimenti delle placche terrestri, poi, sono lenti ma le fratture avvengono all’improvviso: prevederle è, al momento, impossibile.

Ci sono, ovviamente, tecnologie che possono aiutare a salvare delle vite. Una notifica che arriva sullo smartphone per avvertire che bisogna mettersi al riparo può fare la differenza, e in diversi parti del mondo – per esempio in California, uno degli Stati più esposti al rischio sismico del pianeta – misure come questa sono già state implementate. C’è chi sostiene che con lo sviluppo delle intelligenze artificiali verranno anche modelli capaci di “anticipare” i terremoti con maggiore tempismo. In ogni caso, però, anche nelle previsioni più ottimistiche, si tratta di guadagnare una manciata di secondi. Forse minuti. Un’evacuazione anticipata, organizzata con tempismo e precisione è ancora impossibile.

Negli anni, i tentativi di prevedere i terremoti non sono certo mancati. Tra gli anni Settanta e Ottanta, diversi scienziati in tutto il mondo hanno cercato indizi “circostanziali” che potessero aiutare nello scopo: il comportamento degli animali, le emissioni di radon o impulsi elettromagnetici. John Rundle, professore di fisica e geologia presso l’Università della California, ha spiegato al Washington Post che talvolta da queste ricerche emergevano dei modelli, ma che nessuno era affidabile a sufficienza. Nel 1980, per esempio, dei sismologi americani, dopo aver analizzato numerosi precedenti storici, dissero che dalle condizioni della Faglia di Sant’Andrea in California si poteva capire che “a breve” si sarebbe verificato un terremoto vicino Parkfield. Secondo le loro stime, il terremoto sarebbe arrivato entro il 1993. Non si verificò fino al 2004.

Certo, il progresso tecnologico ha prodotto sistemi come ShakeAlert, usato dall’agenzia governativa americana United States Geological Survey, per analizzare l’intensità delle vibrazioni della terra e inviare poi una notifica sui telefoni delle persone che abitano nella zona potenzialmente interessata dal sisma: una notifica che può far guadagnare fino a 20 secondi in più per trovare riparo. ShakeAlert impiega circa cinque secondi per capire dove le vibrazioni saranno più forti, e deve il suo funzionamento al fatto che Internet e i segnali telefonici si muovono a una velocità superiore rispetto a quella delle onde sismiche. Ma, appunto, si tratta di una manciata di secondi. Qualsiasi scienziato che affermi di aver trovato il metodo per prevedere i terremoti con un anticipo di giorni – in queste ore è diventato virale il tweet di un ricercatore olandese che il 3 febbraio diceva che c’era da aspettarsi un terremoto proprio tra Turchia e Siria – è da guardare con sospetto, insomma. Christine Goulet, direttrice dello U.S. Geological Survey, ha spiegato che indovinare, per qualsiasi ragione, l’arrivo di un terremoto non significa aver trovato il modo di prevedere l’arrivo dei terremoti: «Se fosse facile, lo faremmo», ha detto.