Cose che succedono | Cinema

Spike Lee ha detto che quello che sta succedendo oggi è una reazione alla presidenza Obama

Recensendo il suo ultimo film Da 5 Bloods, da oggi, 12 giugno, disponibile su Netflix, Peter Bradshaw sul Guardian l’aveva descritto come «un’esplosione di satira e agonia insieme, sul fatto che le morti di persone nere continuino. E contino come tutte le altre». Come se Spike Lee avesse anticipato quanto sarebbe avvenuto dopo la realizzazione del film – la storia di quattro veterani afroamericani che tornano in Vietnam per ritrovare i resti del loro capo squadra – il cui poster, in una nuova versione, è stato utilizzato in queste settimane a sostengo delle manifestazioni del movimento Black Lives Matter.

La scorsa settimana, Lee ha condiviso una sorta di nuovo cortometraggio, che ha unito le riprese del suo film cult del 1989 Do the Right Thing con gli arresti di George Floyd ed Eric Garner. Per questo sempre il Guardian ha deciso di intervistare il regista, contattato in videochat mentre si trovava nel suo studio di Brooklyn, usando le domande inviate al giornale dai lettori e da alcuni fan famosi di Lee, tra cui Halle Berry (a cui ha semplicemente risposto «ti amo Halle, ti amo! Voi non lo sapete, ma il mio Jungle Fever è stato il suo primo film in assoluto»), il regista Ken Loach, Francis Ford Coppola e Lina Wertmüller, affrontando argomenti più diversi. Dal privato («Dove vivresti se non potessi vivere in America?», «Sicuramente nella Repubblica popolare di Brooklyn»), alla morte di Floyd, sino a una riflessione sulla presidenza Obama. «Penso che gli artisti risponderanno in molti modi a questa pandemia, attraverso film, documentari, romanzi, dipinti, fotografie, libri: ne uscirà una grande arte. E gli storici tra molti anni andranno specificamente a vedere come gli artisti hanno commentato, per trarne informazioni utili», ha inoltre detto Lee in relazione al peso degli artisti durante e dopo l’emergenza Covid.

La versione del poster del film “Da 5 Bloods” diffusa durante le manifestazioni

È rispondendo alle domande di tre lettori sconosciuti che l’intervista ha iniziato a muoversi sul terreno della lotta contro le discriminazioni delle minoranze, a cui Lee ha dedicato la sua carriera da cineasta. «La schiavitù nera è stata una piaga non solo americana, ma mondiale. Perché pensi che l’America in particolare lotti per affrontarne le conseguenze?», «In realtà penso che molti altri Paesi dovrebbero lottare contro quelle forme di razzismo che sembra abbiamo solo noi. Ma è questione di quello che la televisione, anche Hollywood, tramanda della nostra storia e della nostra cultura all’estero. Come dici tu, il razzismo e le violenze contro i neri non sono solo qui».

«Pensavi che le questioni razziali avrebbero preso questa piega negli Stati Uniti quando hai diretto Do the Right Thing?», chiede un altro lettore. «Si, ma non avrei mai immaginato tutto questo. Ciò che ha amplificato quanto successo è stata la potenza delle immagini [ne parlavamo qui]. Questo ha fatto la differenza nel mondo: vedere. Vedere che un poliziotto ha soffocato con il ginocchio un uomo, per otto minuti e mezzo prima che morisse». «Perché otto anni di Obama non sono riusciti a fare abbastanza cambiamenti sostanziali nella questione razziale negli Stati Uniti?», «Ottima domanda», risponde Lee. «Ma la verità, è che tutto quello che c’è adesso da noi, il fatto che la questione sia peggiorata, è proprio la risposta diretta all’aver avuto un presidente nero».