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Non ci sono più i saldi di una volta?
Come cambia il nostro approccio agli sconti, tra promozioni continue e nuovi rituali collettivi.
Foto di Jean-Cristophe Verhaegen/AFP/Getty Images
Fino a non troppo tempo fa, alcuni se lo ricordano ancora, le pubblicità erano piuttosto oneste nel volerci vendere nuove possibilità di riprogrammare noi stessi, in particolar modo allo scoccare del nuovo anno e in vista dei saldi. I buoni propositi, infatti, si sono sempre sposati benissimo con gli sconti: un nuovo completo per fare ginnastica (per il work-out, diremmo oggi), l’abbonamento per la palestra in promozione, un nuovo paio di sneakers, un trattamento di bellezza per riprendersi dallo stress delle feste: tutto può diventare irrinunciabile nel più classico dei riti propiziatori da primo dell’anno. Ha scritto recentemente Amanda Mull sull’Atlantic che «con le risoluzioni del nuovo anno, la mercificazione dell’inadeguatezza può essere esplicita in un modo che potrebbe sembrare scortese durante la maggior parte dell’anno, e il messaggio è chiaro: hai del lavoro da fare e queste aziende hanno alcuni prodotti che potrebbero fare al caso tuo». Eppure le velleità da cambiamento non sono di certo le uniche spinte propulsive per la stagione degli sconti, uno degli appuntamenti più importanti dell’anno sia per i consumatori che per i commercianti.
Istituiti in Italia durante il fascismo, quando si chiamavano vendite straordinarie o di liquidazione ed erano un incubo burocratico, i saldi sono stati regolamentati per la prima volta nel 1980, quando una legge voluta dal deputato democristiano Aristide Tesini stabilì che fossero le Camere di commercio a decidere i periodi dell’anno (al massimo due, per una durata che non superasse le quattro settimane) durante i quali potevano tenersi. Nel 1991, poi, le date sono state unificate in tutta Italia, almeno fino al 1998, quando si è deciso di dare un margine di maggiore autonomia alle regioni nelle questioni riguardanti il commercio. Oggi le promozioni iniziano più o meno in contemporanea in tutto il Paese (quest’anno il 2 gennaio in Sicilia e Basilicata, il 3 in Valle d’Aosta, il 5 in tutte le altre regioni) e stanno attraversando un periodo di ridefinizione. Molta della sacralità che ammantava l’appuntamento, almeno nell’immaginario collettivo, è andata infatti scemando con l’affermarsi – anche in Italia – di nuovi rituali collettivi come il Black Friday, nato per smaltire la sovrapproduzione e diventato presto il simbolo della fallacità ciclica del modello capitalista.
Quest’anno il venerdì di sconti post Ringraziamento, dopo alcune performance deludenti negli ultimi anni, ha confermato il trend positivo del 2017, spianando la strada alle vendite online. Basta pensare ad Amazon, che nel Cyber Monday (il lunedì successivo) ha registrato il giorno di vendite più proficuo nei suoi ventiquattro anni di storia. Come segnala Il Sole 24 ore, già giovedì 22 novembre le vendite e-commerce hanno segnato un +18% rispetto all’anno precedente, grazie anche agli accessi “privati” tramite newsletter riservate ai clienti abituali, registrando poi +13% il venerdì e +16% il lunedì (sempre anno su anno). Black Friday e Cyber Monday sembrano quindi aver catalizzato una sempre più larga fetta di consumatori, complice lo sdoganamento definitivo dello shopping online (anche in Italia) e la fortunata cadenza temporale, che arriva a ridosso del periodo natalizio e permette di acquistare regali, per se stessi e/o per gli altri, a prezzi convenienti. L’allargarsi della stagione dei saldi, d’altronde, ha anche molto a che fare con il cambiamento delle abitudini di consumo, ora che ogni influencer su Instagram ha un codice sconto da rifilare ai suoi follower mentre i marchi fanno a gara per offrire ai clienti l’adesione a club più o meno “esclusivi”, che garantiscono servizi e promozioni personalizzate in qualsiasi momento dell’anno.
Il confine tra il negozio fisico e quello virtuale si fa sempre più sottile e la sfida per risollevare le sorti del commercio al dettaglio rimane aperta: i saldi invernali intanto stanno già andando bene negli Stati Uniti, mentre in Europa la situazione per il 2019 si prevede più delicata, come segnala Business of Fashion nel rapporto stilato insieme a McKinsey & Company. Si soffre nel Regno Unito alle prese con Brexit, mentre Topshop ha accusato più di altri la crisi dell’high street, complice anche un brutto scandalo di molestie che ha coinvolto l’amministratore delegato Philip Green. C’è (moderatissimo) ottimismo, invece, per la stagione italiana: secondo le stime di Confcommercio si spenderanno all’incirca 325 euro a famiglia, 140 euro a testa, per un totale di 5,1 miliardi di euro. A meno che, naturalmente, non abbiate già comprato tutto a novembre fregandovene dei buoni propositi per l’anno nuovo.