Cultura | Dal numero
Safarà, alla ricerca dei libri perduti
Cristina Pascotto ha fondato una delle case editrici più interessanti d'Italia, consacrata da Povere creature. Ci ha raccontato la sua storia e visione.

Safarà è la casa editrice a gestione quasi familiare che ha intercettato l’uragano Povere creature, anni prima che Yorgos Lanthimos andasse a chiedere i diritti del libro a casa di Alasdair Gray, al quale Safarà ha dedicato nel 2017 il cofanetto cult Lanark – Una vita in quattro libri, la grande opera fantastica inedita in Italia che consacrò l’autore britannico nel 1981.
La traiettoria di Safarà mi ha colpito non solo per l’affinità che sento con le sue scelte fuori moda, ma perché sono andata a cercare la loro sede su Google Maps: una villetta di Pordenone immersa nel verde, del tutto simile alle stradine residenziali del ceto medio dove sono cresciuta col sottofondo di un tosaerba sempre acceso e la sensazione mortifera di dover scappare per poter fare qualcosa di buono. Cristina Pascotto, editor e fondatrice di Safarà, dice di essersi laureata in filosofia a causa della sua passione per la letteratura: è esattamente quel che blateravo anch’io, senza sapere bene cosa significasse. Quando ci siamo collegate, l’ho vista immersa in una stanza enorme, di quelle che da piccola mi facevano sentire smarrita; dalla finestra aperta alle sue spalle sembrava arrivare il verso di un colombaccio. Dietro Cristina, si stagliano due arredi mal assortiti: la consolle anni Ottanta del videogioco Bubble Bubble, regalo del fratello socio fondatore di Safarà e ricordo archeologico delle loro estati ai lidi, e un armadio pieno di libri dai dorsi lisi che non sono mai stati pubblicati in Italia, e che Cristina si è fatta spedire da tutto il mondo perché emanavano una «forza potenziale»: sono i romanzi di ogni epoca e luogo che Cristina fiuta dalla distanza del suo esilio. Safarà non si pone questioni sull’attualità, e predilige la riscoperta di grandi autori dimenticati alla corsa frenetica delle case editrici per stare al passo col presente di Instagram.
ⓢ C’è un’affermazione che ti ho sentito fare durante la presentazione del libro Povere creature che ha preceduto l’anteprima del film al cinema Godard a Milano: «Noi non abbiamo alcun criterio geografico o storico nella scelta dei nostri autori, non abbiamo specializzazioni linguistiche in redazione». Cosa unisce, allora, i libri che fate?
Io trovo in questi libri un nucleo che non ha mai smesso di emanare energia. Si tratta del nostro punto di vista sul reale e sull’immaginario, che per noi sono la stessa cosa, perché crediamo che le storie diventano parte del tessuto della realtà. Noi cerchiamo quest’energia, questo atomo che non smette di emanare forza. Se l’energia è debole, quella non è la nostra casa.
ⓢ Essere a Pordenone, cioè fuori dal rumore dove le cose si fanno e si è sempre aggiornati, aiuta la vostra ricerca?
La nostra posizione è importante e guida le nostre scelte. Il rapporto con la propria città d’origine è un rapporto complesso per definizione; ha radici profonde che, se nutrite nel modo giusto, possono dare frutti inaspettati. Trovo nella vista delle nostre montagne un orizzonte pieno di pace che nasconde il segreto di un fermento nascosto: e questo è per me fonte di grande ispirazione, spingendomi ad andare al nucleo più profondo delle cose. Di certo, si tratta di un luogo che resiste alle seduzioni del nuovo, nel bene e nel male: per lo studio e la ricerca, è il luogo ideale. Per tutto quello che viene dopo, ovvero la vita del libro al di fuori delle mura della redazione, ovviamente questo confine deve essere superato: ma a quel punto il libro è pronto ad andare nel mondo.
ⓢ Poor things fa a storia a sé. Ma è anche una conferma della bontà delle vostre scelte pazienti di anni?
Quello per Povere creature è stato un lavoro totalizzante, che ha avuto bisogno delle nostre migliori energie su moltissimi fronti. Sapevamo da tempo dell’uscita del film e ne aspettavamo trepidamente l’annuncio, riunendoci con le dita incrociate a ogni conferenza stampa di Cannes e Venezia per anni, e rimanendo sempre delusi. Poi finalmente il 28 agosto 2023 il libro è uscito, pochi giorni prima della premiazione a Venezia. A quel punto l’onda è diventata sempre più imponente. Ma devo dire che, contrariamente all’impressione che un simile fenomeno può dare, la storia con Alasdair Gray rappresenta benissimo i nostri inizi di grande umiltà: lui stesso è morto prima di poter conoscere il successo del film. Gray ha avuto fiducia in noi quando eravamo due fratelli che non sapevano niente dell’editoria. Ho costruito tutti gli inizi di Safarà su Lanark con sacro timore e tanta incoscienza ed è una delle vicende umane che ricordo con più gioia: ho preso contatti con la Canongate, storica casa editrice di Lanark, che mi ha risposto in pochi giorni dicendo che Gray aveva piacere di far uscire il libro con noi. La semplicità con cui ci disse di sì è la misura della sua grandezza. A lui, che era anche artista visivo, piacquero perfino le nostre illustrazioni, e così approvò un’edizione assolutamente anomala e che è diventata iconica nel rappresentare la casa editrice. Gray è venuto a mancare poco prima del viaggio a Glasgow in cui avremmo dovuto conoscerci. Ora uscirà tutta l’opera in volume unico in nuova veste con illustrazioni dell’autore a celebrazione del nostro lungo percorso di questi anni.
ⓢ La scrittrice di fantascienza Ursula K. Le Guin parla di «letteratura come borsa della spesa». Riconosci il gusto letterario di Safarà in questa definizione?
Le Guin è un punto di partenza imprescindibile per noi. L’incipit di uno dei suoi libri più celebri (La mano sinistra del buio) è uno dei fondamenti della letteratura, te lo cito in inglese: «I’ll write my report as if I told a story because I was told as a child in my homeworld that truth is a matter of imagination». [Scriverò il mio racconto come fosse una storia, perché nel mio mondo natale mi è stato insegnato che la verità è una questione di immaginazione, ndr] È uno dei più begli incipit della storia intergalattica! Una specie di atto fondativo dell’assoluta istanza di realtà della letteratura. Io penso che la letteratura possa scaturire solo da sorgenti anomale, che debba avere uno svolgimento del tutto eccedente, eccentrico rispetto a quella che noi consideriamo essere una norma. La norma non esiste in letteratura, esiste la tradizione. Il compito della letteratura e di qualsiasi altra attività umana è di spingersi oltre i confini. Le definizioni arrivano sempre dopo. Ma la realtà dell’arte, così come quella della vita, è sempre eccedente.
ⓢ Il vostro catalogo è variegato ma armonico come una sacca della spesa. Cosa c’è, secondo te, nei romanzi Safarà, che non si trova nei romanzi pubblicati oggi in Italia?
Oggi gli editori osano poco. Pubblicano libri di una correttezza formale indiscutibile. Sono scritti bene. Ma la grande letteratura non è scritta bene. È vasta, è minacciosa, a volte disturbante, è sottile. Non ci interessano le storie scritte bene, ma le grandi storie che possono restituirci un frammento di verità, per quanto fragile. Ci devono ispirare una comprensione sempre più profonda di cosa voglia dire essere umani. Vedo in giro tanti romanzi ben scritti, facilmente comunicabili. Vedo libri cauti. Sono impauriti, hanno confini precisi che sembra le autrici e gli autori si siano imposti in partenza. Ma la grande letteratura non ha paura di offendere, non ha paura in realtà di nulla. La letteratura non è un piatto servito in maniera professionale.
ⓢ Quali sono le caratteristiche degli autori Safarà che li hanno tenuti a lungo fuori dal canone, o che hanno impedito loro di diventare famosi in vita? È solo causalità?
Non credo sia casualità. Si trattava di voci inattuali per il loro stesso tempo. Anche loro sono andati controcorrente non assecondando il gusto dominante, qualunque esso sia, perché forse il gusto dominante è un’invenzione. Sono rimasti fedeli alla loro ricerca poetica. Hanno preferito inabissarsi nella loro stessa ispirazione piuttosto che diventare qualcos’altro. E rimanendo fedeli a questo nucleo, hanno finito per creare opere che continuano a emanare energia. Non è un caso che tantissimi nostri autori abbiano avuto un destino tragico. Hanno anticipato i tempi. Erano leggermente fuori fase. Il che è sempre un dolore mentre succede, ma una garanzia di lunga visione. Tanti dei nostri autori condividono questo percorso.
ⓢ La prima autrice che mi ha attirato verso il vostro catalogo è Yuko Tsushima Yuko, Il figlio della fortuna e soprattutto Il dominio della luce, entrambi libri scritti negli anni Settanta in Giappone, che parlano di divorzio, gravidanze isteriche, maternità inadeguate… Come selezionate romanzi in lingue che non parlate?
Come ti dicevo, non abbiamo redattori specializzati per aree geografiche. Tutto parte da una sorta di caccia al tesoro. Perché non è detto che i libri siano tradotti in lingue accessibili. Quando succede è una gioia, l’aggancio è più facile. Ma a un certo punto si deve delegare ad altri professionisti. Ora, ad esempio, sto valutando uno scrittore bulgaro e ovviamente devo avere fiducia in occhi altrui. Le persone che delego sanno bene che non è la storia a interessarmi. Una cosa che dico sempre quando uno stagista ci accompagna per qualche tempo e fa le schede di lettura è: non perdete tempo a farmi il riassunto, non scrivetemi la sinossi, sul serio non è così importante; ditemi come accade quel che accade, cercate di valutare la chimica letteraria dell’opera: c’è il nucleo che brucia da tanto tempo? L’energia che può portarlo lontano? Se è così, il libro avrà tutto il mio interesse.
ⓢ Pubblicate più donne che uomini?
Non saprei. Così come provenienza ed epoca non rientrano nei parametri di selezione delle opere, nemmeno il genere rientra nel ragionamento. Spesso leggo i libri senza chiedermi se li abbia scritti un uomo o una donna. Certo, le autrici donne hanno molto da dare nel campo del notturno rispetto agli autori, perché nel corso della storia dell’editoria qualcosa è mancato loro, e noi vogliamo esprimere il loro comune denominatore inespresso.
ⓢ Riusciresti a tracciare, nell’ambito del vostro catalogo, una specie di sotto-famiglia di cui fanno parte questo genere di libri lunari?
Sicuramente ne fa parte la messicana Amparo Dávila, una colonna del nostro catalogo: regina del perturbante e della soglia. Abbiamo pubblicato la sua opera completa in due volumi, il primo è una selezione, il secondo raccoglie tutti i racconti. Davila è una scrittrice nascosta e sotterranea che ebbe un breve momento di successo in Messico, ma pur sempre in una società maschilista. Fu scoperta tardissimo, è mancata da qualche anno. Prima gli studenti fotocopiavano i suoi testi per poterli studiare.
ⓢ E qualche libro così scritto da un uomo?
Il brasiliano Victor Heringer, che ha scritto pochissime opere, ma dal carattere esplosivo, profondamente umano. È morto suicida prima di compiere trent’anni, ma ne L’amore degli uomini soli assume il punto di vista di un uomo di mezz’età che nella vita ha visto tutto, e sebbene sia morto ventinovenne, la sua voce è perfettamente credibile!
ⓢ Le altre scoperte come avvengono?
Leggo la stampa dell’epoca, seguo case editrici affini in tanti Paesi. Per esempio per La sete di Marie Claire Blais, l’editore Fitzcarraldo – che aveva deciso di pubblicarlo poco dopo di noi – mi ha incontrato a Roma per discutere del progetto comune. Per il resto, scavo: mi baso su vecchie librerie dell’usato sparse in tutto il mondo e qualche piattaforma che mi è di grande aiuto. Per poche sterline o pochi euro, riesco a farmi arrivare sulla scrivania vecchie edizioni malandate, che arrivano dopo così tanto tempo che quasi mi dimentico che le stavo aspettando. Libri malconci che sono un assoluto tesoro, perché possono essere dei futuri Safarà: libri da portare a nuova vita, da mettere sotto occhi nuovi di nuovi lettori.
ⓢ Prendi cantonate?
In realtà, solo una piccola parte diventano Safarà. Più spesso sono epic fail. Libri deludenti o libri molto belli ma non nelle nostre corde. È una percentuale minima quella dei libri per cui possiamo fare qualcosa: storie piccole o storie di centinaia di pagine, basta che sentiamo l’incastro con noi. Ci domandiamo: con l’atmosfera che abbiamo creato qui a casa Safarà riusciremo a supportare al meglio quest’opera e a darle la luce più forte? Come editori sentiamo fortissima questa responsabilità.
ⓢ Ma com’è iniziato tutto?
Negli anni dell’università, mio fratello (Guido Giuseppe Pascotto) aprì nella nostra città una piccola ludoteca e fumetteria, che chiamammo Safarà, un sostantivo arabo che significa viaggio in senso sia fisico che spirituale e ultraterreno. Eravamo legati a questo nome perché lo avevamo conosciuto sulle pagine di Dylan Dog: si tratta di un luogo che è apparso in molti albi da una qualche fenditura dello spazio e del tempo, e che al suo interno ospitava oggetti che non avevano prezzo, ma solo valore: ci è sembrato il nome ideale per celebrare il valore inestimabile della lettura. Safarà divenne un luogo di incontro per appassionati di fumetti, giochi, scacchi. L’idea folle di fondare una casa editrice a un certo punto sembrò quasi naturale. Ma rimase in sospeso per diversi anni, mentre io e Guido completavamo i nostri studi e cercavamo, in generale, di crescere. Fino al 2015, quando ci siamo guardati in faccia e all’improvviso abbiamo capito che era arrivato il momento.
L’intervista è originariamente uscita sul numero 59 di Rivista Studio, “La minore età”, che potete trovare nello store online qui.