Tranne La grazia di Paolo Sorrentino, ma non per volontà: la sua assenza è solo una questione burocratica.
È morto Robert Redford, una leggenda del cinema americano
Aveva 89 anni, nessun attore americano ha saputo, come lui, fare film allo stesso tempo nazional popolari e politicamente impegnati.

Nella sua vita, Robert Redford ha fatto talmente tante cose che è impossibile metterle tutte in un coccodrillo. È stato l’attore protagonista di una Hollywood che non esiste più, allo stesso tempo nazional popolare e politicamente impegnata. «Al suo culmine, negli anni ’70, pochi attori potevano vantare lo star power di Redford, notevolmente amplificato dai capelli biondi, dalla mascella scolpita e dal sorriso perfetto. Con il suo attivismo a difesa dell’ambiente, il suo approccio al cinema fermamente anti establishment e gli sforzi pionieristici a sostegno del cinema indipendente, Redford è riuscito a usare la fama per sovvertire lo status quo e imporre la sua agenda creativa», così scrive Steve Chagollan su Variety.
Quegli anni ’70 perfetti, dunque. I film memorabili di Redford sono tanti, troppi, e la lista completa si fa prima ad andare a trovarla su Wikipedia. Ma da questa lunga lista è inevitabile estrarre quella che in inglese si definisce la stellar run che lo ha fatto ascendere, in relativamente poco tempo, allo status di leggenda vivente di Hollywood e del cinema americano tutto. Butch Cassidy, Come eravamo, La stangata, I tre giorni del condor, Tutti gli uomini del Presidente: se proprio si fosse costretti a dire cinque film con Robert Redford protagonista che chiunque dovrebbe vedere almeno una volta nella vita, sarebbero questo cinque. Sarebbe una lista incompleta e imperfetta – A piedi nudi nel parco è la più deliziosa delle commedie (e anche il film che lo ha reso famoso), Il migliore ha scritto le regole dello sport movie americano, La mia africa un film-monumento che si trova in tutte le classifiche dei migliori film di tutti i tempi, Proposta indecente è una pietra miliare del thriller erotico – ma probabilmente basterebbe a rendere l’idea dell’immensa presenza e influenza che Redford ha esercitato sul cinema, di nuovo, sia nazional popolare che politicamente impegnato di quegli anni.
In tempi recenti si faceva vedere sempre di meno, ma ovviamente la sua figura è sempre rimasta centrale nel cinema americano grazie anche e soprattutto al festival che è una parte enorme della sua già enorme eredità, il Sundance Film Festival. Tutti i cinefili, e anche tanti che cinefili non sono, sanno di cosa parliamo: è qui che abbiamo incontrato per la prima volta o conosciuto meglio registi che ora sono venerati maestri, come Quentin Tarantino, Kevin Smith, Robert Rodriguez, Jim Jarmusch, Darren Aronofsky, Christopher Nolan e James Wan. Come è facile intuire, il nome del festival viene dal nome di quello che è forse il personaggio-icona interpretato da Redford, il Sundance Kid che viveva e moriva al fianco di Butch Cassidy. Nella sua tenuta nello Utah, assieme a Sydney Pollack, Redford aveva creato il Sundance Film Institute, a cui poi fu attaccato l’omonimo festival.
Che crediate o meno all’universo come entità senziente, consapevole dell’esistenza degli esseri umani e abbastanza interessato alle vicende delle persone da mandare loro messaggi più o meno decifrabili, la prossima sarà l’ultima edizione del Sundance che si terrà nella casa che Redford si era scelto dopo aver lasciato Hollywood, la casa in cui il 16 settembre è morto, a 89 anni. Dal 2027, infatti, il Sundance Film Festival non si terrà più a Park City, Utah, e si sposterà a Boulder, Colorado. Ma resterà, sempre e per sempre, il festival di Robert Redford.

Come si costruisce un ecosistema editoriale che sfida le convenzioni e racconta la contemporaneità? Ne parlano Valentina Ardia, editor in chief, e Cristiano de Majo, direttore esecutivo, domenica 14 settembre, ore 12.