Studio X Mubi
Quattro film da vedere su Mubi per festeggiare il Pride Month
Tutti scelti dalla raccolta Orgoglio senza pregiudizio: il cinema Lgbtq+ di Mubi.
In occasione del mese del Pride, Rivista Studio e Mubi vi regalano 30 giorni gratis di film, per scoprire il meglio del cinema LGBTQ+ e molto altro ancora (a questo link). E se non sapete da dove iniziare, qui ci sono i quattro film preferiti della redazione.
Le favolose, Roberta Torre (2022)
La storia delle persone transessuali in Italia, e delle donne in particolare, è una storia di persone invisibili. «Era un mondo che non ci prevedeva, che non prevedeva neanche la nostra sopravvivenza», racconta in questo film Porpora Marcasciano, uno dei volti storici dell’attivismo trans in Italia. Le favolose di Roberta Torre, allora, film documentario presentato nel 2022 a Venezia, è un ottimo modo per rivivere almeno un pezzettino di quella storia. E, a proposito di invisibilità, lo fa attraverso una storia di fantasmi e cioè la reunion di cinque amiche, autodefinite “le favolose”, un tempo giovani, sempre in bilico tra “dramma” e “spettacolo”, per ricordare e persino evocare spiriticamente una di loro, Antonia, uccisa molti anni prima dall’aggressione di un pazzo. Anche Le favolose ondeggia con grazia regista tra “dramma” e “spettacolo”, tra frammenti di storie personali, violenze, ricerca dell’amore, e messinscena, teatralità, balli, immaginazione. Ed è un ottimo modo per ricordare, durante il mese del Pride, quanto il domestico e il pubblico si specchino uno nell’altro quando si parla di diritti e libertà. (Cristiano de Majo)
La terra di Dio, Francis Lee (2017)
Fa impressione pensare che La terra di Dio sia il debutto cinematografico di Francis Lee, regista e attore britannico che con questo film del 2017, disponibile su Mubi, ha lanciato la carriera di Josh O’Connor. La terra di Dio racconta la storia di Johnny (O’Connor), un ragazzo prigioniero della fattoria di famiglia in un angolo sperduto dello Yorkshire, che dopo aver visto i suoi amici scappare dal paese in cui sono cresciuti per andare al college o inseguire un posto di lavoro, si ritrova con l’ingestibile solitudine che solo chi ha conosciuto l’isolamento, naturale e sociale, di certi luoghi può comprendere fino in fondo. Nella sua vita irrompe Gheorghe (Alec Secăreanu), coetaneo rumeno che per trovare lavoro quel viaggio lo ha compiuto all’incontrario ed è arrivato nello Yorkshire a stravolgere, suo malgrado, tutto quello che Johnny pensava di sapere su sé stesso, il luogo in cui è nato e l’amore. Arrabbiato, senza prospettive future e con un difficile rapporto con l’alcol, Johnny scopre i suoi sentimenti nei confronti di Gheorghe, che al contrario è calmo, riflessivo e determinato. C’è la campagna profonda, dura e bellissima, ci sono l’omofobia e il razzismo latente del Regno Unito che ha scelto la Brexit, ci sono la diffidenza, i dubbi e un amore che nasce tra due persone diversissime fra loro, ma che per un momento, in un luogo dimenticato da Dio, si sono incontrate. (Silvia Schirinzi)
Mysterious Skin, Gregg Araki (2005)
Paesaggi del Kansas, look anni ’90, teenager problematici, una colonna sonora che comprende Slowdive, Cocteau Twins, Sigur Rós e Robin Guthrie: e già solo per questo la visione di Mysterious Skin varrebbe la pena. Ma se il film del 2005 diretto da Gregg Araki (che ha anche curato il montaggio e scritto la sceneggiatura, adattando fedelmente l’omonimo romanzo del 1996 di Scott Heim) è considerato un piccolo capolavoro, è per via del miracolo che compie: raccontare una delle storie più orribili che si possano immaginare in 1 ora e 45 minuti di atmosfere sognanti e poetiche (senza che per questo il racconto risulti più leggero o meno doloroso, anzi). In quello che forse è il suo ruolo più memorabile, Joseph Gordon-Levitt interpreta Neil, bellissimo sedicenne che si prostituisce con uomini più grandi, mentre il suo nuovo amico Brian (Brady Corbet, l’abbiamo visto in Thirtheen, Funny Games, Melancholia, Forza maggiore) è ancora convinto di esser stato rapito dagli alieni quando era piccolo. Ma quello che è successo 10 anni prima e che ha traumatizzato entrambi non ha niente a che fare con le creature dello spazio: come troppo spesso succede, il male è incredibilmente vicino e familiare, e viene da qualcuno di cui pensavi di poterti fidare. (Clara Mazzoleni)
Blank Narcissus (Passion of the Swamp), Peter Strickland (2022)
Blank Narcissus è un esperimento che – come quasi tutti gli esperimenti – comincia dalla noia. Durante il primo lockdown, il regista Peter Strickland è stato subito sconfitto dalla noia: mentre il mondo scopriva la panificazione e l’attività fisica senza attrezzi, lui passava il dì a non far nulla e la notte, insonne, a guardare classici della pornografia gay degli anni ’70 e ’80. Amante dei podcast e odiatore delle piattaforme streaming, li guardava in dvd, ascoltando «come se fossero podcast», appunto, i commenti dei registi che spiegavano questa scena e si perdevano in quell’aneddoto. L’idea di Blank Narcissus viene da lì, e in effetti il film è quello: il commento di un vecchio regista, inserito nell’edizione in dvd di un suo vecchio film. Le immagini mostrano le avventure erotiche di un giovane bellissimo e le parole raccontano la fine della storia d’amore tra lui e il regista. “Mock commentary”, lo ha chiamato Strickland, un’invenzione di cui va molto fiero. Anche se subito dopo aver professato la fierezza ammette di aver copiato. Ha fatto quello che hanno fatto prima di lui Wakefield Poole, Jack Smith, i fratelli Kuchar, Lou Reed in Berlin e ovviamente il James Bidgood di Pink Narcissus: usare la disarmonia tra parole, musiche e immagini per ricreare il mondo del dormiveglia (lo stesso in cui si ritrovava spesso in quelle notti insonni di inizio pandemia) dove si mescolano realtà, ricordi, immaginazione, desideri. E perché, tutto questo, alla fine? Per fare una cosa che secondo lui ormai non si sa più fare: «Raccontare una storia d’amore, il bisogno di contatto fisico, senza alcuna ironia». (Francesco Gerardi)