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Il quotidiano del Comitato centrale del Partito comunista cinese ha fatto firmare un articolo a LeBron James, che però non lo ha mai scritto È vero che viviamo in un mondo strano, ma ancora non così strano da avere LeBron James tra gli editorialisti del Quotidiano del popolo.
Luca Guadagnino ha rivelato i suoi quattro film preferiti di tutti i tempi nel nuovo episodio di Criterion Closet Una classifica che comprende due film di culto abbastanza sconosciuti, un classico di Wong Kar-Wai e l'opera più controversa di Scorsese.
Il trailer di Hamnet di Chloe Zhao spoilera il finale del film e i fan che lo hanno visto si sono arrabbiati molto Guardandolo si scopre quasi tutto del film, compreso il finale che tanti critici hanno descritto tra i migliori degli ultimi anni.
Al Pacino ha detto che è solo grazie a un cazziatone di Diane Keaton che non ha perso tutti i suoi soldi L'attrice sgridò sia lui che il suo avvocato e lo costrinse a riprendere il controllo delle sue finanze, dandogli dell'idiota.
Secondo l’Onu, il 92 per cento delle abitazioni nella Striscia di Gaza è stato distrutto e chi sta tornando a casa trova solo macerie I pochi edifici ancora in piedi sono comunque inagibili, gravemente danneggiati o inabitabili.
Woody Allen ha raccontato il suo primo incontro con Diane Keaton in un lungo e bellissimo omaggio all’attrice  Su The Free Press, Allen ha ricordato la prima volta che la vide, nel 1969, durante le prove di Provaci ancora, Sam.
Una streamer ha partorito in diretta su Twitch e il Ceo di Twitch le ha scritto in chat durante la diretta per congratularsi con lei Durante il parto, Fandy ha continuato a interagire con gli spettatori nella chat, parlando tra una contrazione e l'altra e facendo pure delle battute.
Bret Easton Ellis ha stroncato Una battaglia dopo l’altra dicendo che è un film brutto e che piace solo perché è di sinistra Lo scrittore e sceneggiatore ha utilizzato il suo podcast per criticare quella che considera una reazione eccessiva dell'industria al film di Anderson

Neanche gli insegnanti sono sulla Salaria

La polemica attorno al caso del liceo romano Righi e i commenti fatti da tanti editorialisti dimostrano ancora una volta che scrivere di scuola è un'operazione complicata quasi quanto insegnare.

22 Febbraio 2022

«Se gli educatori sono terrorizzati da coloro che dovrebbero educare nulla funziona più». Così scrive Concita De Gregorio su Repubblica in merito al caso Righi, il liceo romano dove è stato aperto un provvedimento disciplinare per una docente che ha ripreso una studentessa, impegnata in una coreografia ombelicale da tiktoker, con la brutta uscita: «Non stiamo mica sulla Salaria».

Alle orecchie di chi insegna, la frase della giornalista suona in modo bizzarro, quasi siano gli educatori a dover terrorizzare a loro volta. E basterebbe sfogliare qualsiasi manuale di pedagogia per sapere che educare non è terrorizzare. Anzi. Ma scrivere di scuola, va detto, è operazione complicata, da sempre. Domenico Starnone, dopo anni di servizio e brillanti rubriche sulla vita scolastica, non è mai riuscito a farsene paladino. Non è detto che chi sia addentro al mondo dell’insegnamento sia capace di interpretarlo nel modo giusto. Vedi le recenti dichiarazioni di Ricolfi e Mastrocola, che propongono di sfruttare la Dad per propinare in classe videolezioni dei grandi maestri della letteratura, molto più interessanti di quelle dei docenti. «Gli insegnanti dovrebbero avere l’umiltà di accettare che le grandi lezioni le fanno altri. Forse è questa una delle grandi promesse future della tecnologia». Wtf, scriverebbero i ragazzi.

Oggi ai docenti vengono richieste diverse competenze − emotive, digitali, burocratiche − e lavorare a scuola diventa una sfida sempre più alta, dove è bene lascarsi guidare, oltre che da anni di esperienza e continui corsi di formazione, soprattutto dal buon senso. Dall’ultimo arrivato, appena pescato dalle graduatorie di terza fascia, alla docente prossima alla pensione che ancora rimpiange il registro cartaceo, sono tutti chiamati al lavoro di squadra, alla riflessione, al confronto, membri consapevoli di una comunità educante che coinvolge le famiglie, il territorio, e non si limita alla sola didattica o a un registro affollato di livide note disciplinari.

«La frase “non sei sulla Salaria” rivolta a una ragazza che in classe si fa un videoselfie da postare su TikTok scoprendosi il corpo non è un distico elegiaco, certo. Ma non è neppure un’ingiuria: è un modo di dire colloquiale, altrove si dice “pari uno scorfano” senza che la protezione della fauna ittica insorga. A Roma sulla via Salaria ci sono persone che si offrono al mercato dei corpi, dire “non sei sulla Salaria” significa stai composta, per favore, che sei a scuola». Certo la docente poteva usare parole diverse, si legge in professorese antico. Dunque, se la ragazza si è sentita offesa dalle dichiarazioni poco lusinghiere è una questione accessoria, il problema è la mancanza di decoro, di rispetto, di disciplina: non mi importa chi sei o cosa pensi, ma come obbedisci. Nelle polemiche di questi giorni si invoca a gran voce il ritorno della divisa scolastica, di una disciplina ferrea, si ricorda con nostalgia di quando gli insegnanti erano una categoria rispettata, e ci si dimentica che insegnare è, comunque, un lavoro di vocazione (perifrasi, volendo, per sottopagato) dove chi insegna lo fa al servizio della comunità in cui si trova, adeguandosi e rispettando la storia di ogni studente anche e soprattutto se lontano dalla propria.

E mai come nel ruolo di docente si è tenuti a pesare le parole, le definizioni, a rispettare ogni suscettibilità. Soprattutto ad aggiornarsi. Chi insegna deve essere irreprensibile innanzitutto con sé stesso. Non è pensabile che un insegnante fumi davanti ai suoi studenti – anche fuori dai cancelli della scuola – o che monti su un motorino senza casco, così come non è accettabile che ci si rivolga a una studentessa col solo intento di mortificarla. A scuola si apprende anche per imitazione, e il modello sociale di riferimento non può essere di scarso valore. Ben vengano allora le proteste degli studenti, che intanto manifestano ai cancelli della scuola indossando minigonne e top aderenti, allestendo striscioni con su scritto “Righi zona fucsia”, perché siano loro a chiedere rispetto dagli insegnanti checché ne pensino gli adulti, radunati in interminabili assemblee tutte ancora online a rivangare nostalgici una scuola e una disciplina che per fortuna non esiste più.

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