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Il piumino “centogrammi” è la Democrazia Cristiana dei vestiti

Innegabilmente brutto ma tanto comodo, è stato adottato dai boomer per estendersi come un'infestante a tutte le generazioni. Ed è, paradossalmente, il capo più no-gender che ci sia.

di Jacopo Bedussi

C’è stato un tempo in cui la moda aveva una rilevanza tale da tenere in piedi tutto un indotto di opinioni, regole e doxa popolare in forma di articoli, articoletti, librini, levate di scudi, snobismo, eccentricità, rotocalchi alla fine dei Tg oppure a tarda notte. E anche non troppo lontano nel tempo show tirati su con quattro soldi ma di notevole impatto che vanno dagli “extreme makeover qualcosa” al miliare Ma come ti vesti? con Enzo Miccio e Carla Gozzi che bullizzavano tanto signore di provincia con una segreta passione per il videopoker quanto bomberoni con colletti della polo alzati e garrenti come gennaker al vento, forse lì a compensare spoiler di auto da corsa che non si sarebbero mai potuti permettere.

Ad ogni modo, fino a non molto tempo fa, esistevano i trend, il colore della stagione, il maipiùsenza, una miriade insomma di cazzate che con poco prezzo e poco sforzo venivano spacciate come diktat di stile.
Allo stesso modo, grande era la furia castigatrice e prescrittivista, e quindi no il blu col nero, no il blu col marrone, no il calzino bianco per gli uomini, no le Birkenstock, assolutamente no mai e poi mai il piumino lucido e via così.
Visto oggi, nel tardissimo impero della moda in piena decadenza, letteralmente sull’orlo del crollo, questo recentissimo passato sembra un piccolo mondo antico. Una belle époque arcadica, in cui tutto era più semplice, tutto più comprensibile, i prezzi accessibili, e la frutta sapeva ancora di qualcosa.

Ora è tutto un casino, signora mia, non ci sono più le sottoculture, la moda non sa più essere identitaria, per comprare una borsa ci vogliono tre stipendi, insomma il vecchio muore e il nuovo non può nascere, e in quest vuoto in cui siamo nascono i fenomeni morbosi che ogni giorno vediamo: nello specifico, il piumino centogrammi (inteso in senso generico, non lo specifico marchio, ndr).
Creatura ibrida e versatile, nonché stealth per la proprietà intrinseca e molto decantata da chi lo utilizza di poter essere indossato sotto qualcos’altro, rendendolo invisibile.
E poi ovviamente leggero, cento grammi appunto, come il nome che ne esalta l’aurea perfezione.

Se si fa una breve ricerca su giornali e e-commerce, se ne trovano descrizioni e recensioni entusiastiche: “Un capo che tutti dovrebbero avere nel guardaroba, perfetto infatti per affrontare i primi freddi”, “studiato per evitare l’effetto uovo, che i classici piumini dell’inverno conferiscono quando si indossano”, “Tiene caldo ma non appesantisce” (quasi un claim questo, una unique selling proposition che rimanda ad altri imperituri slogan à la “Fa chic ma non impegna”), “non si sente quando lo indossi”.
Sulla destinazione d’uso poi, non ci sono dubbi, si tratta di un “piumino da mezza stagione sia in look sportivi, sia in contesti più chic”.
E però lo sappiamo tutti che la mezza stagione non esiste più, se ne sente parlare così tanto che ci si è sempre chiesti se questa mezza stagione sia in effetti mai esistita.

Il centogrammi scarta la prova di realtà superando sulla destra: non è vero che la mezza stagione non esiste più, anzi, per orrendo merito del riscaldamento globale viviamo in un’eterna mezza stagione (che capire non sappiamo). Quindici gradi a inizio dicembre? Nessuno si stupisce. Ciclone sventra alberi con pioggia e 8 gradi a giugno? Been there, done that. In questo sonno del meteo che genera mostri, il centogrammi ha acquisito potere, influenza, e ora è lì, impalpabile armatura, cappa sintetica lucente e cangiante pronta a salvare da cervicali e colpi di freddo. E anche in questi acciacchi tradisce la sua natura generazionale. La moda ci ha abituato infatti al processo di percolazione dei segni opposto. Di solito, nel mondo della norma che conoscevamo prima, le cose funzionavano all’incontrario. Dal basso, dalla strada, dai giovani, anche dai giovanissimi, nascevano usi e scintille estetiche, che poi i designer istituzionalizzavano, propagandoli a generazioni più adulte ed alto-spendenti.

Il lato oscuro di questo processo prendeva il nome di giovanilismo, cioè cinquantenni o sessantenni vestiti da ragazzini. Patologia che pare ormai estinta, e ogni stigma sul vestirsi in contrasto con l’anagrafe è anzi ben accolta se non incoraggiata.
Il centogrammi invece è un esempio dell’esatto opposto. La provenienza è infatti chiara, basta guardarci attorno. Nasce come asso nella manica di mamme di provincia e di papà votati alla funzionalità. Brutto, innegabilmente brutto, ma tanto comodo.
I nostri cari boomer (e quanto suona vecchio oggi dire boomer, siamo forse in pieno reflusso linguistico?) hanno iniziato a sfoderarlo con nonchalance senza che noi ne conoscessimo quasi l’esistenza. Non l’abbiamo visto arrivare. Accompagnavi tua madre a fare delle commissioni, con un cielo semi-grigio e poi all’improvviso saliva un po’ di vento freddo? Lei taaaaaac estraeva dalla borsa questo mistico indumento difficile da categorizzare (e del resto tra i plus del centogrammi c’è anche proprio la possibilità di ripiegarlo e tenerlo in borsa, occupa pochissimo spazio, si sa).
Passavi a prendere tuo padre una mattina incerta di ottobre, quando ancora non hanno acceso i riscaldamenti centralizzati? E lui saliva in macchina splendente con una camicia di flanella e sopra il suo bel centrogrammi in versione smanicata.
Curioso anche come dopo la sbornia no-gender degli anni scorsi, il capo più no-gender al momento sia stato adottato da quella generazione il cui binarismo non vedevamo l’ora di combattere. Il centogrammi infatti non si lascia categorizzare, la sua è una vocazione apertamente maggioritaria e interclassista, niente a che vedere per intenderci con i gilet dei finance bros e le derive della destra ultraliberista o fascistoide.

Il centogrammi è fieramente, ostentatamente centrista. Non è polarizzante. Non è elitario. È la Democrazia Cristiana dell’outerwear. È inclusività nel senso più tiepido e uterino del termine. In quanti oggetti possiamo oggi riconoscere queste qualità? Forse antiquate, ma certo rassicuranti, e dio solo sa quanto poco rassicuranti siano i tempi che stiamo passando.
E così, poi forse per osmosi, curiosità, neuroni a specchio dell’affetto e dell’amore che proviamo per i nostri genitori, un giorno ci siamo trovati per caso in una catena giapponese a soppesare e tastare questi oggetti che da brutti hanno cominciato a sembrarci bizzarri ma simpatici. A pensare che alla fine il cappotto lungo è bello, bellissimo, ma è anche vero che non tiene mai caldo quanto vorresti. Che alla fine male che vada lo puoi usare per quei weekend in montagna, oppure per quel viaggio in Islanda, anche solo per proteggerti un po’ dal vento. Tanto è così leggero che se lo metti sotto al cappotto non si vede, e se sei abbastanza svelto da toglierti tutto insieme con gesto abile non se ne accorgerà nessuno.