Stili di vita | Coronavirus

Ci vediamo al parco

Con i locali chiusi e le case troppo pericolose, le passeggiate all'aperto sono diventate il modo per incontrarsi.

di Corinne Corci

La scena della passeggiata tra Natacha e Jeanne in Racconto di primavera, di Eric Rohmer

Se c’è stata una sola cosa indiscutibile del 2020, e per come stiamo trascorrendo questi momenti introduttivi lo sarà con molta probabilità anche del 2021, è che nessuno ha mai avuto voglia di camminare così tanto. Di passeggiare anzi, che è un po’ come “abbandonarsi”, e quindi muoversi senza avere alcuna pretesa di fare attività fisica o l’idea di raggiungere alcun luogo, va bene anche girare in tondo: soprattutto al parco. Durante il primo lockdown capitava di scendere in strada nel tentativo di sfuggire a tutte le nostre assenze, che a casa le leggi di gravità sembrano sempre sospese, muoversi non è mai muoversi veramente, e a un certo punto a Milano sembrava che tutti avessero riscoperto il fascino di mangiarsi il pranzo al sacco sul prato (almeno nella versione che ce l’ha fatta, il Bento). Avevamo iniziato a passeggiare, ci siamo accorti di quanta attrattiva potesse suscitare in noi qualsiasi tipo di superficie erbosa e abbiamo continuato a farlo, anche adesso, per rivedersi e vedersi per la prima volta. “Vediamoci per una passeggiata al parco” ce lo scriviamo. È diventato necessario fornire e chiarire anticipatamente la giustificazione per incontrarsi perché senza i bar e i ristoranti, senza che uscire voglia più dire chiudersi da qualche parte, “una passeggiata al parco” in qualche modo ci deresponsabilizza. Così che passeggiare sia diventato una scusa, e ogni cosa sia diventata una scusa per farlo.

Si passeggia al parco da soli, con i colleghi, gli amici, è una scelta obbligata durante i primi appuntamenti. Immaginavamo potesse essere un modo suggestivo per impostare una conoscenza, i prati, i fiori, le panchine, sentirsi un po’ come i due della trilogia Before di Linklater che tutti e tre i film sono sempre un innamorarsi camminando per i parchi e le strade e sui ponti (esiste uno studio del 2013 secondo cui per capire se un uomo è innamorato dovremmo guardare il modo in cui passeggia in compagnia, per presentarlo alcune testate avevano scritto “Why fall in love when you can walk in to”). Ma passeggiando c’è sempre solo il camminarsi accanto, dietro e davanti, il guardarsi di lato, rientra tutto in quella nuova grammatica dei comportamenti misurati in cui ogni azione sembra compiuta da troppo lontano. Adesso poi si sono aggiunti gradi di difficoltà ulteriore, fa freddo, magari piove, rimandiamo che altrimenti finisce come Quel freddo giorno nel parco di Altman su un date casuale che andava talmente bene che poi lei lo accoltella. Ci salutiamo con quella sensazione deprimente di non aver fatto abbastanza per salutarsi ma piuttosto di essersi solo percepiti sotto agli strati di mascherine e sciarpe.

È il momento di passeggiare al parco, anche per lavoro come ha spiegato Reuters, riflettendo su come questa sia diventata nel corso del 2020 la modalità preferita da molti datori e direttori europei per organizzare un colloquio o un meeting pur mantenendo gli accorgimenti necessari previsti dall’emergenza sanitaria (distanza fisica, parlare all’aria aperta, mascherina, nessun impianto di ventilazione). È il momento di farlo per tutto, per andare in posta allungando la strada, pascolare con il cane, passo a trovarti, ti porto una cosa: «Tranquillo vengo io, così passeggio».

Stando a quanto riporta il Guardian, uno dei motivi per cui abbiamo rilanciato la passeggiata al parco dipenderebbe dall’aver abbandonato un certo modo di “camminare distratto”. A causa dei vari lockdown (o grazie a loro), abbiamo notato che avevamo dimenticato da tempo come si dovrebbero guardare le cose, e la natura delle grandi metropoli ci è sembrata perfetta e a portata di mano per provare a recuperare tutto quel patrimonio visivo a cui abbiamo dato sempre meno importanza negli anni. Lo ha raccontato anche Ray Bradbury in una piccola opera di fantascienza pubblicata nel 1951, The Pedestrian, in cui il protagonista intrappolato in una città in cui nessuno esce di casa vaga senza meta, per ricordarsi di essere al mondo stupendosi della bellezza delle foglie cadute sui marciapiedi.

C’è stato un momento in cui la telefonata era un gesto dissidente. Prima che il mondo cambiasse e che chiamarsi – come se non avessimo già abbastanza traumi – diventasse necessario, lo è stata anche la passeggiata, riservata ai giorni di sole, ai genitori, madri, padri, nonni, a quelli che li vedevi sciamare su e giù in attesa che si diradassero le file fuori dai locali: più che dissidente, funzionale. E adesso che sono esplose, che abbiamo per forza riscoperto quanto siano piacevoli, ora che camminare è diventato anche un socializzare svilente, poco intenso, limitante e limitato, che uscire è solo uscire, è difficile immaginare per quanto tempo ancora potranno essere abbastanza.