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Ozempic per (quasi) tutti

In Italia possono assumerlo solo le persone diabetiche, ma negli Usa è diventato uno strumento "pop" per dimagrire, come dimostrano i creator che lo iniettano e documentano tutto su TikTok.

di Giuseppe Luca Scaffidi

Seguendo hashtag come #ozempicchallenge e #ozempicjourney su TikTok verrete catapultati in un sottobosco digitale grottesco (e un po’ disfunzionale) fatto di siringhe, bugiardini, sottofondi chill, corpi endomorfi e sorrisi in favore di camera. Il canovaccio è sempre lo stesso: il tiktoker di turno mette in mostra la sua confezione di Ozempic (un farmaco impiegato come trattamento per la cura del diabete mellito di tipo 2), estrae una siringa dal blister, ruota il selettore sul dosaggio desiderato e procede all’iniezione: la più gettonata è quella via addome, ma c’è chi preferisce concentrarsi sulla coscia o sulla parte superiore del braccio. La challenge consiste nel mostrare i progressi ottenuti nel corso delle settimane sfruttando uno degli effetti del farmaco, ossia l’inappetenza: il principio attivo di Ozempic, la semaglutide, agisce infatti in maniera analoga al GLP-1 (un ormone prodotto naturalmente dall’intestino), aumentando la quantità di insulina prodotta dal pancreas.

Di puntura in puntura, girovita e fianchi si assottigliano, il thigh gap si allarga esponenzialmente e i visi cominciano a sciuparsi. C’è chi, come Aisling Oleary – @spelltris – rivendica le 23 libbre smaltite nel giro di 12 settimane e chi, come Cassie (@_life.of.cassie_), celebra il traguardo dei 75 chili dopo la quindicesima settimana di iniezioni. Negli Stati Uniti, l’utilizzo della semaglutide (con il nome commerciale di Wegovy) come rimedio per la gestione del peso è stato sdoganato nel 2021, quando la Food and Drug Administration (FDA) ha acconsentito al suo impiego off label. Per evitare confusioni è bene tenere presente che i due farmaci sono praticamente identici: contengono lo stesso principio attivo e vengono entrambi distribuiti dall’azienda danese Novo Nordisk. Le differenze riguardano il nome commerciale e la fruibilità: Wegovy è approvato per problematiche di obesità, Ozempic è prescrivibile soltanto ai diabetici di tipo 2.

A prescindere dalle nomenclature, quando si parla di questo farmaco il dato saliente è soprattutto uno: oltreoceano la semaglutide è riuscita nell’impresa di colonizzare l’immaginario collettivo. Paul Jarrod Frank, fondatore del centro estetico PFRANKMD, in un’intervista a Vogue ha spiegato che «Ad eccezione del Viagra e del Botox, non ho visto nessun altro farmaco entrare così rapidamente a far parte del vernacolo sociale della cultura moderna». Lo spunto di Frank poggia su basi di realtà abbastanza solide: le proprietà “miracolose” di questa punturina ritenuta in grado di ridurre la magrezza a un obiettivo a portata di ago hanno penetrato i sogni della società americana, scatenando una sorta di fascinazione interclasse che ha attratto tutti come un magnete, dai massimi sistemi dello star system alla pletora di tiktoker piccolo borghesi desiderosi di allinearsi col peso in vista della prova costume.

In breve: la semaglutide è entrata a pieno titolo nello spazio della cultura pop. Lo ha dimostrato il clamore suscitato dalla provocatoria (e bellissima) copertina del New York Mag di febbraio, che ha dedicato la cover story alle modalità con cui Ozempic sta sradicando «l’appetito dell’alta società». La mania da semaglutide ha stimolato riflessioni che toccano più livelli, a partire da quello più superficiale e gossipparo: c’è chi ha focalizzato l’attenzione sulla fama di cui Ozempic e Wegovy godrebbero nell’ambito delle cerchie ristrette di Hollywood e della Silicon Valley (nulla di cui stupirsi, dato che i tech mogul californiani non hanno mai celato una certa propensione ai digiuni prolungati). Uno dei promotori più illustri del farmaco è stato Elon Musk, che ha ammesso di utilizzare Wegovy per mantenere la sua condizione invidiabile e rimanere «in forma, scolpito e in salute». La semaglutide è anche al centro di dietrologie che fanno capolino quando una celebrity perde peso in maniera un po’ sospetta. Da questo punto di vista, il campione a cui guardare è la famiglia Kardashian: Kim è stata accusata – in assenza di ogni evidenza – di avere seguito un trattamento a base di Ozempic per infilarsi nel minuscolo abito con cui Marilyn Monroe, nel 1962, cantò «Happy birthday, Mr. President» a John Fitzgerald Kennedy, Khloé di dovere al farmaco la silhouette sfoggiata nel servizio di copertina realizzato a gennaio per la rivista Sorbet, un trimestrale di Dubai.

Anche il fattore promozionale ha contribuito alla consacrazione di Ozempic in un portato di costume: su Vox, Emily Stewart ha individuato nella viralità dello spot congegnato dall’azienda uno dei motivi del suo successo: «Molto prima di sapere cosa facesse Ozempic (…) conoscevo a menadito la canzone di Ozempic», ha spiegato. Una réclame facilona che, facendo il verso alla melodia di Magic dei Pilot, ha trasformato il ritornello «Oh, oh Ozempic» in un tormentone, rendendo il farmaco noto a chiunque, diabetici e non. Questo è uno degli aspetti che rimane sullo sfondo quando si tenta di decodificare il fenomeno da un’ottica esterna: oltreoceano, il mercato della salute funziona un po’ diversamente rispetto a quanto accade nei paesi dell’Unione Europea, in cui è vietata la pubblicità diretta al consumatore dei medicinali che richiedono una ricetta medica.

Al contrario, negli Stati Uniti, il paradigma direct to consumer è assolutamente dominante, e rappresenta il 32 per cento di tutto l’advertising per la salute. Questo laissez faire rende perfettamente normale la pubblicizzazione ai consumatori di beni che, in Europa, consideriamo estranei alle logiche del libero mercato, come ad esempio gli psicofarmaci. C’è poi un aspetto pragmatico: la semaglutide copre il 25 per cento del mercato globale per la cura del diabete, ed è un elemento fondamentale per la salute di milioni di persone: un aumento della domanda spropositato ne mette, per forza di cosa, in pericolo la reperibilità. In diversi Paesi, come ad esempio il Canada, l’unico farmaco presente è Ozempic, che può essere prescritto senza ricetta ed è potenzialmente accessibile anche a pazienti non diabetici. Lo scorso 16 febbraio, con una nota ufficiale, il governo australiano ha invitato gli operatori sanitari a prescrivere il farmaco unicamente ai pazienti affetti da diabete di tipo 2.

In Italia, per un mix di fattori demografici (l’età media piuttosto avanzata) e legislativi (le summenzionate restrizioni pubblicitarie), fino a qualche settimana fa di Ozempic si sentiva parlare pochissimo. Il 6 marzo, però, il quadro è cambiato: l’Aifa, sollecitata dalla stessa Novo Nordisk, ha pubblicato una nota per invitare i medici a destinare il farmaco solo ai diabetici. L’altro timore è che lo sdoganamento della semaglutide esacerbare il pregiudizio verso le persone in sovrappeso. Sempre su Vox, Julia Belluz ha delineato una dicotomia che vede contrapposti due fronti: da un lato quello “razionalista” dei medici e dei ricercatori che, incentivati dalla scelta aperturista dell’Fda, considerano la semaglutide una svolta epocale nella cura della obesità; dall’altro, quello “idealista” dei promotori dell’approccio Health at Every Size, contrario alla convinzione che il peso corporeo possa essere considerato un indicatore di salute e restio all’impiego di farmaci che, a loro detta, medicalizzerebbero inutilmente l’obesità, perpetuando una cultura pericolosa che finirebbe per idealizzare la magrezza e la perdita di peso a tutti i costi. Altri interrogativi toccano il nervo scoperto della giustizia sociale: ad esempio, come si svilupperanno le lacune nell’accesso alla semaglutide in un Paese in cui gli stati con i più alti tassi di obesità, spesso, sono anche gli stati con i tassi più bassi di copertura assicurativa sanitaria? Forse, almeno negli States, la magrezza è destinata a rimanere un ideale a portata di ricchi.